Federica Furino, Gioia 18/06/2010 (uscita 11/6), 18 giugno 2010
Gigi Buffon porta all’anulare della mano destra un rosario da dito: «Devo farmi perdonare quello che dico in campo»
Gigi Buffon porta all’anulare della mano destra un rosario da dito: «Devo farmi perdonare quello che dico in campo». La cosa più bella del suo mestiere è «stare su una figurina. Da piccolo ci giocavo, ero quasi malato. Potrei fare lo Sgarbi degli album dei calciatori». Ha detto che i figli gli hanno fatto tirare una saracinesca sul passato e aprire una porta sul futuro: «Vero. Ma resto un malinconico e un nostalgico. Contento di esserlo». Qualche hanno fa cadde in depressione: «Il lavoro non mi gratificava più, non avevo più voglia di niente. Mi svegliavo la mattina senza obiettivi. Lì ho capito che non potevo vivere di solo calcio». Il suo ricordo principale dei Mondiali 2006 è il gol di Grosso con la Germania: «In finale ai rigori ero straziato psicologicamente. Quando l’arbitro ha fischiato la fine dei supplementari non avevo più un barlume di forza emotiva. Sapevo di non avere la testa per parare i rigori. Dopo la fine della partita sono svenuto negli spogliatoi ed è un miracolo che non sia successo in campo». Dicono che l’attaccante è egoista, il difensore generoso e il portiere tende alla follia. Corrisponde? «Il portiere subisce. Tutta la vita. Poi arriva a casa e subisce anche lì».