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 2010  giugno 11 Venerdì calendario

GREGGIO E POTERE, L’IMPERO DELLA BRITISH

Il nemico numero uno degli Stati Uniti d’America, il mostro della marea nera, è un signore magro, con 53 anni addosso portati con la faccia da bambino, i capelli ricci e una laurea in geologia ottenuta all’Università di Edimburgo nel 1982. Si chiama Tony Hayward, è il numero uno della Bp, ed è sul suo sedere che Barack Obama vorrebbe scaricare la propria rabbia per il disastro del Golfo del Messico. «Uno come Hayward per me non avrebbe potuto lavorare». il direttore esecutivo del colosso inglese, dunque la responsabilità è sua. In astratto non fa una piega.
Eppure Hayward è un ecologista convinto. All’inizio della carriera andava in giro a scavare la terra nei mari del Nord e il suo pallino - basta andarsi a rileggere i discorsi consegnati al sito della compagnia - sono sempre stati sicurezza e rispetto dell’ambiente. Ma ci sono cose e problemi che finiscono per diventare più larghi delle nostre braccia. «Non ci dormo la notte per questa storia e non me ne frega niente se rischio la galera. Voglio solo risolvere il problema e sono l’unica persona in grado di farlo». Solido nonostante la tormenta, per questo la Bp lo ha scelto come leader. Ma il nemico numero uno degli Stati Uniti non è certo stato il solo geologo alla guida della compagnia.
Quando il suo collega George Reynolds arrivò in Persia, accarezzò la terra, ne tirò su un pugno e ne annusò l’odore, chiamò il suo assistente di viaggio, lo guardò negli occhi e gli disse: «Si scava qui, stavolta diventiamo ricchi». Ci vollero otto anni per vedere il primo pozzo, ma Reynolds non aveva torto. Era il 1901 e la storia della British Petroleum, la Bp, l’Impero Britannico fatto a oro nero, comincia in questo modo, con una versione letteraria ma non molto lontana dal vero che porterà il gruppo, in una corsa lunga cent’anni, a diventare il più importante dell’Inghilterra, a produrre 2,53 milioni di barili al giorno e a fatturare 246 miliardi di dollari l’anno grazie a novantamila dipendenti e a cento Paesi in cui far lavorare le trivelle. Un capolavoro. Se non fosse per qualche sgradevole incidente di percorso. Il peggiore del recente passato: l’esplosione a Texas City nel 2005, che costò la vita a 15 persone e la perdita devastante delle condutture nella baia di Prudhoe in Alaska. Niente che abbia impedito di andare avanti sempre allo stesso modo.
Nel 1914 il gruppo anglo-persiano fu sulla soglia della bancarotta, i costi erano troppo alti, i trasporti faticosi, e l’idea di lasciare perdere tutto fu presa seriamente in considerazione, finché Winston Churchill, Lord dell’Ammiragliato, non spiegò ai colleghi che quei pozzi, quella terra e quella energia erano decisivi per il futuro del Paese. Lo guardarono strano, ma finirono per credergli e con l’aiuto della Royal Navy il business improvvisamente decollò. Era il futuro che prendeva corpo. Quando arrivò la Seconda guerra mondiale il petrolio diventò una risorsa strategica e nel 1939 Bp, Shell e le altre aziende del settore furono raccolte in un unico pool. Il resto è un volo rapido, la ricostruzione, gli affari che si allargano, il mercato globale, finché nel 1987 il governo cede la sua quota e la Bp si fonde con Amoco. Nel 2000 arrivano Arco e Burmah Castrol, gli utili sono di quasi 17 miliardi l’anno e le riserve superano i dieci milioni di barili.
Tutto bene fino al 20 aprile, gli affari vanno a gonfie vele, i rapporti con gli americani sono magnifici, poi il mare diventa nero e la storia prende la piega del dramma. Un danno ambientale incalcolabile che fa crollare il valore di mercato della Bp da 122 a 73 miliardi di sterline nel giro di due settimane. Il titolo crolla in Borsa e le relazioni tra Usa e Gran Bretagna si fanno impossibili. E mentre un sempre più magro Tony Hayward prepara il dossier da presentare il 17 giugno al Congresso americano davanti alla Commissione Energia e Commercio, il ministro della Giustizia Eric Holder rassicura i suoi concittadini: «Prometto che nessuno di voi pagherà un dollaro per la pulizia del Golfo». Lo ripete come un mantra, mentre dalla City, al di là dell’oceano, accusano il suo presidente, Barack Obama, di avere «una questione personale e pregiudiziale nei confronti della Bp», ma di sicuro stavolta non basteranno le parole per fermare l’angoscia.