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 2010  giugno 11 Venerdì calendario

L’ASSASSINO: MARTIRE, ARTISTA OPPURE MOSTRO?

Scriveva Victor Hugo che già a vedere da vicino una ghigliottina, l’idea della pena di morte ti avrebbe fatto orrore. Chissà cosa avrebbe scritto se avesse visto la realizzazione della «macchina» che in Nella colonia penale Kafka descrive minuziosamente. Il condannato giace legato, supino, e un congegno di erpici incide sul suo corpo il comandamento che ha violato... Realizzata nel 1975 dal francese Jacques Carelman, la Machine de la Colonie pénitentiaire chiude in pratica la mostra Crime & Châtiment (progetto di Robert Badinter, sotto la direzione di Jean Clair, al Musée d’Orsay, sino al 27 giugno) che l’altro antico strumento di morte, recuperato dai depositi del Fort d’Ecouen, apre con il suo carico di terribile ambiguità. Era nata in nome dell’eguaglianza, per mettere fine alle torture...
Crime & Châtiment, ovvero Delitto e Castigo, è un’esposizione particolare. Da un lato c’è l’elemento giudiziario, la storia dunque delle istituzioni, dall’altro l’abolizione della pena di morte, dunque la metafisica del male. In mezzo c’è la cronaca nera, membra tagliate, corpi violati, e il suo riecheggiare miti antichi: Salomè che brandisce la testa di Giovanni Battista, Macbeth con le sue streghe e i suoi pugnali...
Si comincia con una morte egualitaria e artigianale e, senza quasi accorgersene, si passa a una morte in serie, massiccia e automatica grazie alla quale la testa mozzata va a forgiare la sensibilità artistica, plastica e scientifica dei secoli successivi. Da oggetto morto che cade in un paniere, diviene oggetto di meditazione, fascino e manipolazione: da Poe a Baudelaire, da Bertillon a Lombroso, l’elenco è sterminato. Nel Novecento, il crimine come pura opera d’arte, appannaggio degli spiriti aristocratici, compie il suo salto finale e trasforma l’assassino in ideologo. I surrealisti fanno della parricida e matricida Violette Nozière e delle sorelle Papin che trucidano le loro padrone, eroine della lotta di classe. La società diviene il male, il crimine la sua riparazione. Come scriverà Breton nel Manifesto del movimento, l’atto surrealista più puro è sparare sulla folla...
Nei diari di Camus il nome di Dostoevskij ha un posto d’onore. Delitto e castigo non gli sembra un romanzo, ma una specie di meteorite mostruosa per ciò che emana: il bene e il male, i limiti dell’agire e i motivi, religiosi, politici metafisici, che conducono a rispettarli oppure a infrangerli. Raskol’nikov è un piccolo Napoleone dall’anima confusa, un figlio del secolo dell’incredulità e del dubbio che si arroga il diritto morale di affrancarsi dalle leggi: uccido, dunque sono.
A partire dall’Ottocento, le prigioni hanno ormai visto i medici prendere il posto dei sacerdoti e dei filantropi nella cura delle «anime» dei carcerati. Sono loro che ora raccolgono le parole del detenuto, la confessione «laica» e scientifica che sostituisce quella religiosa. stato un processo lento. Racconta Vasari che dovendo Leonardo dipingere l’Ultima cena e non sapendo come raffigurare la testa di Giuda, «ritratto dell’ignominia», prese a modello un priore che lo angariava... La tipologia dell’«uomo cattivo» comincia con la fisiognomica di Lavater a metà del Settecento; la frenologia di Gall, che dallo studio del cranio indovina lo spirito dell’individuo, è del primo Ottocento. L’«uomo criminale» di Lombroso chiude il secolo: c’è una teoria, dei tratti fisici ben precisi, una statistica che l’antropologia criminale di Alphonse Bertillon trasforma in metodo d’indagine: impronte, identikit, ritratto segnaletico. La prigione è ormai un’istituzione: sorvegliare è punire, più che espiare.
La mostra mette in scena tutto ciò con dovizia di particolari. Il rapporto tra follia, genio e crimine nei dipinti di Delacroix e di Schiele, di Goya e di Géricault, le «femmes fatales» e le «femmes criminelles» che hanno in Charlotte Corday, assassina per David, santa per Baudry, un’icona. Ma c’è anche spazio per gli eroi popolari in negativo, il Fantomas della Belle poque, nato dalla fantasia di Souvestre e Allain, che confessa di «saper ammazzare come nessuno al mondo», gli apaches che popolano le periferie di Parigi e le pagine dei quotidiani popolari, i killer seriali della repubblica di Weimar ritratti da Grostz.
Nello spazio di un paio di secoli, insomma, il crimine cambia volto. Caino, Edipo, Oreste, Medea lasciano il posto al martire rivoluzionario prima, al bandito di strada poi, all’assassino come artista e all’assassino come degenerato... Negli anni Trenta del Novecento, la rivista Acéphale di Bataille mette in copertina un disegno di Masson: è un uomo senza testa, ridotto alla sua componente animale, il cui sesso è nascosto da un teschio, abominevole monarca che si è fatto Dio e incarna l’uomo nuovo. La «banalità del male» si incarica di fare il resto e oggi fra delitto e castigo non si capisce più bene se ci sia un vincitore. E se sì, in nome di che cosa.