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 2010  giugno 11 Venerdì calendario

L’ALTRO MONDIALE. A SUD, NEL GIRONE DEI BABY CALCIATORI COSTRETTI A TRUCCARSI L’ETA’


Quando l’arbitro pronuncia i loro nomi, li senti imprecare a bassa voce. Tremano, tutti in fila, con le scarpe grondanti di grasso e le maglie impregnate di ammorbidente e sudore.
La cerimonia della "distinta", l’abituale elenco dei giocatori prima della partita, è il momento più drammatico per i calciatori "truccati". Ragazzi con un nome e una data di nascita fasulli. Quattordicenni spacciati per undicenni. Giocatori clandestini, schierati in campo per non perdere. In Sicilia sono un esercito.
Hanno circa quattordici anni e davanti agli ufficiali della Federazione calcistica devono dimostrarne undici. Se il direttore di gara si insospettisse, ad alcuni di loro non resterebbe che attaccare le scarpe al chiodo.
I dirigenti glielo ripetono di continuo: "Mi raccomando picciuttazzi, sorridere, non stare mai sotto la luce e radersi sempre, quattro o cinque ore prima della partita". Le prime due regole del "truccato" le ricordano come l’Ave Maria. La terza, invece, spesso non hanno mai avuto bisogno di osservarla. In fondo, quando le scuole calcio li trasformarono in "clandestini", molti di loro avevano appena undici anni. A quell’età, falsificare i loro cartellini è semplice. I dirigenti scelgono gli adolescenti più bassi, quelli che dimostrano qualche annetto in meno. Sul cartellino del giocatore, grazie ad una raffinata tecnica artigianale, cambiano nome e data di nascita. In questo modo la società può schierare ragazzi di quattordici anni (categoria giovanissimi) in una squadra di undicenni (categoria esordienti). Armati di forbici, timbri, pinzette e stampanti, i dirigenti passano giornate intere chiusi negli uffici della sede fabbricando calciatori illegali. Il più delle volte lo fanno solo per il gusto di vincere. Ma quando c’è di mezzo la mafia, le cose si complicano. A Napoli, per esempio, la Camorra falsifica i cartellini dei giocatori per vincere facile, scommettendo fior di quattrini sulle partite dei campionati giovanili.
Nella Gomorra siciliana del pallone, il più forte "clandestino" si chiamava Alfonso Sclafani e, prima che la guerra di "religione" tra gioco a uomo e gioco a zona imperversasse anche nel calcio giovanile, ricopriva il ruolo di libero in una rinomata società agrigentina. Fino a qualche anno fa il suo nome era sulla bocca di tutti: tecnica, tenacia, atletismo e una straordinaria visione di gioco. Nelle difficili partite in trasferta, o nei tornei nazionali, Alfonso Sclafani, classe ’82, diventava Giuseppe Sclafani, nato nel 1985. "Una volta mi portarono a Firenze a giocare con gli esordienti un prestigioso torneo di calcio nazionale" racconta Alfonso. "Avevo 14 anni e venivo dalla mia migliore stagione: campione provinciale con i giovanissimi, titolare nella rappresentativa provinciale. Stravincemmo il torneo. Ed è chiaro che in mezzo ai giocatori più piccoli di età facevo la differenza. Un dirigente dell’Empoli mi regalò un gagliardetto promettendomi di venirmi a trovare in Sicilia. Erano "molto, molto interessati", mi disse".
L’Empoli mantenne la sua promessa e dopo meno di un mese mandò dalla Toscana un talent scout per visionare il giocatore e accaparrarsi il più presto possibile il suo cartellino. "Quando poi il dirigente scoprì che ero dell’82 andò su tutte le furie. Ricordo ancora le urla che venivano fuori dagli uffici della scuola calcio. Fece le valigie e se ne ritornò in Toscana. Loro continuarono a schierarmi in altri tornei. Nel campionato giovanissimi ero Alfonso Sclafani, nei tornei esordienti mi trasformavo in Giuseppe Sclafani. Non avevamo scelta. Eravamo dei ragazzini e loro ne approfittavano".
Così il nome di Alfonso, che, forse, "se non fossi nato in Sicilia" dice, sarebbe potuto finire sulle pagine della Gazzetta dello sport, finì nelle liste dell’ufficio di collocamento. Alfonso oggi ha 27 e fa l’idraulico. A volte i clienti lo riconoscono, si ricordano dei suoi goal, delle sue imprese, che lui racconta tra una perdita d’acqua da riparare e uno scarico da sostituire.
Alfonso ha dato tutto al calcio. Pessime pagelle, una caviglia a pezzi, ginocchia lacerate, e un’intera adolescenza passata a rincorrere una sfera in un rettangolo di terra e polvere. Dal calcio, vigliacco, non ha ricevuto nulla in cambio. E oggi, l’unico pallone che rincorre è quello stampato in rilievo sulle insegne dei Bar dello Sport.
Domenico Lo Sciuto è un nome di fantasia. Quello vero si può ancora trovare negli almanacchi del calcio. Domenico, che in passato ha giocato in serie C, oggi milita in una squadra del campionato di Eccellenza. A svelare il nome della società non ci pensa nemmeno, perché quello che confessa potrebbe compromettere il suo futuro e quello di centinaia di calciatori. Domenico guadagna 50 mila euro netti a stagione: "Sono tanti" dice "ma sono tutti in nero. In quindici anni di carriera professionistica sono sempre stato pagato così".
Domenico Lo Sciuto per lo Stato italiano è un disoccupato con tre bocche da sfamare. Un cittadino idoneo per la social card, che Domenico usa per "comprarci i pannolini ai picciriddi". E se Lo Sciuto si ritrova a fine mese in tasca un obolo dallo Stato, per il suo club i profitti provenienti dall’evasione fiscale sono incalcolabili, perché Domenico nella sua squadra non è l’unico calciatore "disoccupato". E la sua società, al Sud, non è la sola fuorilegge. "A volte ti fanno firmare un contratto di 13 mila euro a stagione, ma poi te ne promettono altri 40 mila in nero. Sono accordi verbali e non vengono quasi mai rispettati. I dirigenti registravano in Lega solo il primo anno di contratto. Se il giocatore rendeva, allora registravano anche il secondo. Altrimenti, ti ritrovavi a fine anno senza squadra".
La Lega calcio siciliana ha sempre covato qualche sospetto e per bocca di Stefano Saitta, presidente del Comitato palermitano del Settore giovanile e scolastico della Federazione gioco calcio, ammette: "Qui da noi il mondo del pallone non è un’isola felice. piuttosto lo specchio del degrado sociale. E c’è sempre chi prova a fare il furbetto".
"Furbetti", come quelli che falsificano i certificati medici, secondo l’ex presidente regionale del Settore giovanile Aldo Violato, "uno dei più gravi mali del calcio giovanile siciliano". Il cosiddetto attestato di sana e robusta costituzione è un requisito necessario al fine di ottenere dalla Lega il cartellino del giocatore, sia esso un professionista o un esordiente. Senza quello non si gioca. Ingaggiando un medico di comodo, la società organizza certificazioni di massa. I controlli vengono fatti per telefono. Un problema spinoso per la Federazione, difficile da monitorare, essendo le responsabilità dei test medici esclusiva competenza dei club.
In Sicilia sono 650 le società di calcio giovanili e dilettantistiche, contro le 2.500 della Lombardia. I calciatori siciliani che militano nelle rose della serie A sono solo dodici contro i settanta giocatori lombardi e i cinquanta veneti (secondo dati riferibili alla stagione 2008/09). Non c’è traccia, invece, di siciliani tra gli azzurri campioni del mondo in Germania e nella rosa in partenza per il Sudafrica. In una regione dove il tasso di disoccupazione giovanile è del 43 per cento, solo uno su diecimila tesserati ce la fa.
Alfonso Sclafani non ce l’ha fatta. "Conservo ancora quel gagliardetto dell’Empoli" racconta: " sempre lì, appeso sul capezzale del mio letto". Quando la sera torna a casa, stremato dal lavoro, prima di andare a dormire gli lancia un’occhiata : "Chissà" si ripete "se solo non fossi nato in Sicilia...".