Malcom Pagani, il Fatto Quotidiano 11/6/2010;, 11 giugno 2010
LE SIGARETTE CON SCIREA SUL TETTO DEL MONDO
(per vedere domande e risposte aprire il frammento) - Anche più di una? ”Finito un
pacchetto, se ne apriva un alt
ro ” E ride, Dino Zoff, a 40
anni, con la Coppa del mondo
in un caveaux madrileno e la
doppia divisa con Scirea, su una
terrazza con vista sul passato, perché
intuire la cima, quando si è
partiti dal basso, vale un Perù. Si
abbandona oggi ripensando a ieri,
alle nuvole di fumo aspirate con
Gaetano sopra le teste dei poliziotti
schierati intorno all’albergo, alle
feste da officiare all’ultimo invito
utile, all’operaio meccanico che fu
e al portiere che seppe mettere la
barriera tra un destino e il futuro
che desiderava. Tuorli d’uovo per
la crescita, legna da spaccare nel
fienile e poi una maglia di lana grigia
con lo stemma Nazionale da indossare
a qualunque meridiano.
Dell’Italia Zoff è stato l’accigliato
custode per un quindicennio.
’Forrest Gump” a Euro ”68 tra monetine
che cadono dal verso giusto
e medaglie d’oro, uditore e testimone
di enciclopediche staffette a
Mexico ”70, azzurro tenebra nel
’74, colpevole lapidato ad Argentina
’78, figura omerica in Spagna
nell’82, dipinto di Guttuso, icona
di N ew sw e e k e dittico mitologico:
’Mostruosa parata di Zoff. Zoff, ancora
Zoff!”, che mentre Fabio Capello
deride Wembley, spinge l’i ngegner
Ugo Fantozzi diretto verso
un cineforum aziendale con sottotitoli
in cirillico, a infrangere in un
raptus la finestra del vicino. ”Scusi,
chi ha fatto palo?”
Insomma Zoff, come andò?
Come andò cosa?
La notte in cui diventammo
Campioni del mondo...
Meno eccitante di quanto si immagini.
Non facevamo sceneggiate
all’epoca.
Non ci deluda...
Allora le telecamere non c’e ra n o
ma comunque, ci sarebbe stato poco
da vedere. Facemmo il giro di
campo, brindammo, cenammo e
poi, a schema libero, allentammo
la tensione parlando quasi fino
all’alba.
Lei in Spagna non faceva altro.
Portavoce unico e capitano di
una squadra furibonda con la
stampa e in silenzio assoluto.
Un paradosso. Quello che andava
meno d’accordo con i giornalisti
ero proprio io. Da mesi, senza sensibili
eccezioni, ci massacravano
allegramente. Bearzot ne sopportava
tantissime. Però ero il capitano
e sulla carta d’identità c’e ra
scritto febbraio 1942. Toccò a
me.
La goccia che assetò il pozzo, fu
l’insinuazione della liasion sentimentale
tra Rossi e Cabrini.
Ogni mattina leggevamo troppe
sciocchezze. Stravolgevano la realtà.
L’informazione era violenta,
provocatoria, ci costringeva a difenderci,
a giustificarci, toglieva
concentrazione. Così tagliammo.
Zac. Ci stancammo e assunta quella
decisione, iniziammo a liberarci.
Anche degli avversari.
Quando capì che ce l’av re m m o
fatta?
Dopo la partita con il Brasile. Loro
erano quasi imbattibili. Se superi
inferni del genere, puoi lasciarti alle
spalle chiunque.
Bearzot disse che il suo bacio
sulla guancia al Sarrìà fu il momento
più intenso di tutta la
Coppa del Mondo.
La nostra alchimìa si chiamava Vècio.
Un generale davanti alle truppe.
Mai curvo, che soffiasse la buona
o la cattiva sorte. Con Bearzot
non c’era bisogno di parole. Sguardi
e dialetto, tutto lì.
Capitano, mio capitano.
Bearzot è colto, riflessivo, profondamente
friulano. Gente che crede
nel lavoro, nell’impegno,
nell’onestà. Atteggiamenti che oggi
sembrano anacronistici.
Lei lasciò poco dopo. A
41 anni.
A Göteborg, in un pomeriggio
di vento.
Avrei potuto continuare,
non c’è dubbio.
Ma preferii fermarmi.
C’è un momento
ideale per attraversare
la linea.
Dopo una dittatura
di oltre vent’anni e
molti portieri di riserva
italiani in crisi
depressiva, da Bordon
a Castellini.
(Ride) Ma no, di Castellini
ero molto amico, ogni tanto
sulla mia occupazione militare
del ruolo, scherzavamo.
Anche se avvenne tardi, conquistare
il Mondiale mi
cambiò la vita. Quello
che in carriera non
riuscivo a offrire
con lunghi discorsi,
interviste,
parole
inutili, io
dovevo
darlo con i numeri, con i fatti, con le vittorie.
Succedeva sempre, ed era una necessità
interiore. Vi racconto una
cosa.
Dica.
Io, nel top 11 della A non figuravo
mai.
Possibile?
Possibile. Si dimenticavano regolarmente
di me. Io ero sempre lì,
però gli osservatori mi ignoravano.
Dopo Argentina ”78, tentarono
di licenziarla d’i m p e r i o.
Eravamo un gruppo eccezionale.
Cominciammo il torneo in uno stato
di forma inaudito e alla fine
uscimmo per due strani palloni finiti
alle mie spalle.
Tiratori scelti brasiliani e olandesi.
Tra i 30 e i 40 metri. Zoff è
finito, ”non ci vede”, scrissero.
I più gentili. Ma io vedevo benissimo.
Fu un periodo duro, anche
allora c’erano state polemiche sui
palloni leggeri, ma, per così dire,
non avevano goduto del rilievo di
oggi. Comunque la mia è stata una
strana parabola.
P re go ?
Mi misero in croce per due tiri.
Papere, dissero. Oggi sarebbero
considerati eurogol. Ma il portiere,
si sa, è sempre solo, soprattutto
davanti alle critiche.
Come si perde un Mondiale?
Basta fare come noi in Germania
nel ”74. Al di là della meraviglia
stilistica di Rensebrink e Cruijff,
quell’anno ci illudemmo di avere
pochi rivali.
Lei non subiva gol da 1.143 minuti.
Due anni.
Quasi scontato che a segnarmi fosse
uno sconosciuto calciatore di
Haiti, Sanon. Mi hanno poi detto
che è morto tragicamente.
Quello fu anche il torneo del
Vaffanculo in mondovisione di
Chinaglia a Valcareggi.
C’erano troppi comandanti urlanti
e molto nervosismo. Chinaglia a
Roma era abituato a fare il capetto.
Sba gliò.
A lei non è mai capitato?
Tra pensare e agire c’è una notevole
differenza. Magari l’ho pensato,
non l’ho mai detto.
Neanche ai compagni, agli amici,
ai fratelli d’av ve n t u r a .
Neanche. Men che mai ai compagni.
E Valcareggi?
Qualcuno lo descriveva burbero,
in verità era saggio. Se in occasione
dell’evento tedesco ci divorarono
le contraddizioni, in Messico
Ferruccio fece bene. Ci portò in
finale, era al comando il giorno di
Italia-Germania 4-3, ma qui da noi,
non si sa mai come va a finire. Puoi
partire tra i fiori, camminare tra gli
applausi e tornare ricoperto di pomodori.
Nel ”70 avvenne. Il confine
è labile.
Perdoni la circolarità. Come si
conquista, invece, un Mondiale?
Con un crescendo di bellezza, credo,
irripetibile. In Spagna vincevamo
e lo facevamo costruendo
azioni. Non a caso, l’unico rigore
del torneo, in finale con la Germania,
lo sbagliammo con Cabrini.
Quattro anni fa siamo diventati
campioni. Dopo oltre due decenni
di interviste celebrative,
l’hanno finalmente liberata?
Ho il massimo rispetto per chi ha
sollevato la Coppa a Berlino. Sono
stato contento di vedere una squadra
tenace, che ha saputo inseguire
con fame e rabbia il risultato abbracciando
gli episodi con la rapidità
di pensiero di chi sa come
sfruttare le occasioni.
Però?
Madrid 1982 è un’altra cosa. Andammo
in finale con una sintesi
quasi perfetta tra estetica e pragmatismo. E in Sudafrica?
Faremo il nostro. Abbiamo la ventura
di avere un girone semplice e
vista la fatica che storicamente ci
sorprende all’inizio, è un bene. Il
gruppo è buono. Lippi sa già come
si fa.
Lo sapeva anche lei. Olimpiadi,
club, Europeo del 2000 smarrito
al Golden gol.
Cose straordinarie. In Olanda brillammo
ma il calcio è una corrida.
Stai per sorridere e in un istante,
piangi. Ma avevo imparato la lezione
decoubertiniana molti anni prima.
Berlusconi dettò concetti sobri.
’Sono dispiaciuto e anche indignato.
Zidane andava marcato
meglio, l’avrebbe capito anche
un dilettante. L’intelligenza,
evidentemente o la si possiede
oppure no. Lei rispose il 4 luglio
con le dimissioni. Non prendo
lezioni di dignità dal signor Berlusconi.
In molti, non tutti, mi
vennero a dire di non farlo.
La conferenza stampa durò sette
minuti.
Per spiegarsi, sono anche troppi.
Mi sentii colpito nel personale e
reagii, forse avrei dovuto riflettere più a lungo, non cedere, ma esistono
valori sui quali non contratto.
Ha mai più visto Berlusconi?
Mai più.
Oggi Zoff si annoia?
Mai annoiato in vita mia. Ho giocato
per piacere, curiosità, divertimento.
Ci pagavano bene, viaggiavamo,
scoprivamo. Non mi sono
mai nascosto. Sono stato fortunato
e mi considero molto sereno, per
quanto è possibile, oggi.
Grandi incontri.
Pertini era magnifico. Al pranzo
quirinalizio, si improvvisò organizzatore:
’Allora Zoff, lei alla mia destra.
Bearzot a sinistra, la squadra
agli altri posti e se per i ministri e i
deputati non ci sono sedie, vorrà
dire che andranno a mangiare da
un’altra parte’.
E quelli?
Si sedettero ugualmente, mi pare.
Sull’aereo di Stato, lei giocò in
coppia con il presidente.
Scopone. Perdemmo, senza drammi.
Se non avesse giocato a calcio?
I miei erano contadini, avevo conseguito
un diploma tecnico. Due
anni di studio. Zoff Dino, operaio
specializzato. Meccanico. Attrezzi,
viti, trapani, cose così. Se fosse
andata male, comunque, non sarei
morto di fame.
A casa sua erano poveri?
Non erano ricchi, ma per non
scendere mai sotto il livello della
dignità, i miei si sarebbero fatti ammazzare.
La dignità, alla fine si torna
sempre lì. Dieci anni fa, ieri.
Eh. (Ride ancora, pronuncia qualcosa
in zoffese stretto – qualcosa che non si
capisce perché lui pretende che non si
capisca – saluta. Come nel ”78, dietro le
lenti, Dino Zoff vede ancora benissimo).