Carlo Bastasin, Il Sole-24 Ore 11/6/2010;, 11 giugno 2010
PERCH LA GERMANIA ESPORTA IL RIGORE
La manovra finanziaria del governo tedesco è stata annunciata come la manovra del secolo. In una fase in cui tutto il mondo- da Washington a Bruxelles - chiede alla Germania di alimentare la domanda interna per sostenere quella europea e globale, l’enfasi retorica con cui è stata presentata la cifra di tagli al bilancio pubblico per 80 miliardi di euro tra il 2011 e il 2014 - oltre il 3% del Pil - è parsa addirittura provocatoria.
In realtà le cifre raccontano una storia molto diversa. Secondo i dati diffusi dal governo tedesco le correzioni anno per anno sono pari allo 0,4% del Pil nel 2011, allo 0,3% nel 2012, 0,2%nel 2013 e 0,1% nel 2014.In totale quindi una correzione dell’ 1%, 26,6 miliardi di euro (a cui forse se ne aggiungeranno altri 6), di cui però almeno un terzo sembrano di incerta realizzazione. Gli 80 miliardi sono la somma delle correzioni fiscali già approvate in passato e di quelle varate lunedì. Alla fine il risultato sarà quello già previsto: mettere il bilancio strutturale sulla strada del quasi-pareggio. Così è previsto dall’emendamento costituzionale approvato lo scorso anno e che dovrà portare il deficit strutturale stabilmente allo 0,35% del Pil a partire dal 2016.
Nel complesso degli 80 miliardi, il 40% delle misure si concentrerà nei prossimi due anni. Stranamente gli interventi più pesanti arriveranno nell’anno delle prossime elezioni federali (2013), come se davvero ne ha fatto cenno esplicitamente il ministro delle Finanze Wolfgang Schäuble - ci fosse un consenso nella società tedesca sul fatto che minore indebitamento pubblico, e quindi talvolta perfino tasse più alte o minori aiuti ai disoccupati, significhino un aumento del reddito futuro dei cittadini. Altro che keynesiani, siamo davvero diventati tutti ricardiani.
La correzione dovrebbe portare il deficit tedesco sotto il 3% del Pil entro il 2013. In tal modo la Germania rientrerebbe nei parametri del Patto di stabilità come previsto dalla procedura di deficit eccessivo che interessa gran parte dei paesi della zona euro. Così facendo Berlino metterà pressione a tutti i paesi partner, a cominciare dalla Francia. La cancelliera Merkel parla esplicitamente di «dare l’esempio ».Con le stesse parole la Bundesbank alzò i tassi di interesse più volte all’inizio degli anni 90 distruggendo il sistema monetario europeo. Così come negli anni 90 la Germania ha trasmesso la propria credibilità monetaria ai paesi europei, ora sembra voler trasferire la propria credibilità fiscale.
Il risultato sarà lo stesso? Una correzione fiscale contemporanea in tutta Europa, da Atene a Londra, da Roma a Parigi, precipiterà l’economia europea in una nuova recessione, aggravando proprio i problemi di sostenibilità dei debiti pubblici? Dal punto di vista dell’economia tedesca questa preoccupazione non sembra giustificata.
In questi mesi la Germania è l’unico paese dove la disoccupazione sta diminuendo e gli ordini all’industria aumentando a gran ritmo anche aiutati da un euro più debole. E tanto basta.
Non c’è dubbio infatti che i risultati abbiano rafforzato nel governo di Berlino il convincimento di essere sulla strada giusta. Il dettaglio delle misure approvate nei giorni scorsi mostra come l’azione di politica economica si concentri ancora interamente sul lato dell’offerta:le uniche spese che non verranno tagliate sono - molto correttamente quelle per la ricerca e l’istruzione, mentre i disoccupati di lungo corso vengono "incentivati" a rientrare sul mercato del lavoro con un taglio ai loro sussidi. Alcuni sostegni alle famiglie non saranno più universali, ma calibrati sul reddito e le tasse riguarderanno attività industriali non soggette a concorrenza straniera. Definire un sostegno alla domanda aver evitato aumenti delle tasse sui redditi più alti è davvero un po’ troppo.
Il modello di coordinamento europeo che ha in mente la Germania è dunque ancora quello della Bundesbank, guidare con l’esempio del rigore. Nel caso della manovra fiscale si tratta come detto più di rigore retorico, ma anche questo ha il suo peso. In questa fase la credibilità dell’euro - essenzialmente un problema di origine politica sarebbe stata rafforzata da una Germania che avesse dimostrato di capire il suo ruolo all’interno dell’economia euro, sostenendo anche la domanda interna. La ricetta dell’esemplarità tedesca non è giustificata proprio per le divergenze strutturali che la crisi ha messo in evidenza. Non si cambiano in pochi anni strutture economiche di paesi che non hanno la forza industriale della Germania. Nonostante i problemi informativi della legislazione tedesca sulla protezione dei dati, sembra accertato che oltre metà della eccezionale performance tedesca sui mercati mondiali sia dovuta a un gruppo molto ristretto di grandi imprese che hanno cambiato filosofia di management alla fine degli anni 90. Se è così, non ha alcun senso parlare di esempio da seguire per Spagna o Grecia.
L’Unione Europea e ipaesidella zona euro sono impegnati in un’operazione di straordinaria intensità per recuperare credibilità.
L’insieme delle misure, sia da parte della Bce, dei governi nazionali e delle nuove istituzioni comuni (come il fondo per la stabilità finanziaria) è maggiore di quanto si potesse immaginare solo pochi mesi fa. Manca ancora un passo importante: la consapevolezza che le responsabilità politiche comuni devono essere condivise prima- e non solo dopo- che le crisi scoppino. Il testo delle conclusioni del Fondo monetario internazionale sui paesi dell’euro è in tal senso un’ottima traccia. La crisi dell’euro deriva anche da errori di coordinamento tra i paesi. Gli squilibri fiscali sono il risultato di politiche sbagliate che sarebbero state evitate da pratiche di coordinamento delle riforme strutturali.
Non sembra che Berlino sia ancora in sintonia con questa semplice evidenza. Ma c’è anche una buona notizia in tema di leadership europea della Germania: tra le spese tagliate lunedì ci sono anche quelle di ricostruzione del castello del Kaiser nel centro di Berlino.