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 2010  giugno 11 Venerdì calendario

I CINQUANTA SALVATORI DEL PELLICANO BRUNO

Qualche spazzolino da denti, molte bottiglie di detergente liquido marca Dawn, quattro catini ovali di alluminio, due grandi vasche rettangolari e una dozzina di canne per l’acqua. Con questi strumenti, e tanta pazienza, cinquanta veterinari e zoologi dagli inizi di maggio passano le loro giornate in un enorme hangar all’internodi una ex base militare dello Stato della Louisiana.
Si chiama Fort Jackson WIldilife Rehabilitation Center ed è a due ore di macchina da New Orleans e meno di un’ora dalle acque del Golfo. stato aperto, a spese della Bp, il 28 aprile scorso. Il suo compito principale è tanto arduo quanto ambizioso: salvare un’intera specie di uccelli.
Quella del pellicano bruno non è però una specie qualsiasi. il simbolo dello stato della Louisiana, rappresentato nella sua stessa bandiera. Per la Louisiana se scomparisse sarebbe come se il Canada perdesse l’acero. O il Libano il suo cedro. Se ne andrebbe un pezzo della stessa identità collettiva, oltre che di bandiera. Per questo negli ultimi quarant’anni lo stato ha fatto di tutto per impedirne l’estinzione. C’era riuscito, e nel 2009 la specie era stata finalmente tolta dall’elenco degli animali a rischio.
Adesso però arriva la marea nera e i pellicani della Louisiana sono nuovamente in pericolo di sopravvivenza. Dopo settimane di inarrestata fuoriuscita, chiazze sempre più grosse di petrolio hanno cominciato a raggiungere la costa. E con essa le zone in cui nidificano i pellicani bruni.
«All’inizio ne arrivavano al massimo uno o due al giorno. Ma dalla fine della settimana scorsa è partita l’escalation: ce ne stanno portando più di cinquanta al giorno», spiega Rebecca Dunne, che con Jay Holcomb coordina le attività del centro.
Mezzi della guardia costiera, addetti del Dipartimento dei parchi nazionali e semplici volontari setacciano quotidianamente la costa alla ricerca di pellicani contaminati dal petrolio. Quelli che trovano e riescono a catturare, li inviano immediatamente a Fort Jackson.
«Finora ne sono arrivati 415, e siamo riusciti a salvarne la stragrande maggioranza», dice Holcomb. «Solo una ventina non ce l’hanno fatta e abbiamo dovuti eliminarli». Ognuno di loro è stato fotografato e consegnato alle autorità federali. Come corpo del reato.
Da quando il tasso degli arrivi si è decuplicato, Holcomb è stato costretto a organizzare il lavoro come in una catena di montaggio. I pellicani coperti di petrolio vengono prima messi in una delle voliere di fortuna costruite con tavole di compensato e reti di nylon dentro l’hangar. L’iter terapeutico prevede poi che ogni volatile venga esaminato da un veterinario, che gli prende la temperatura e poi lo reidradata con un’enorme siringa senza ago che gli infila dentro il becco. Dopodiché viene lasciato per circa 24 ore in un’altra voliera a riposare prima dell’operazione di lavaggio.
Quella dura in tutto circa 45 minuti ed è condotta da una dozzina di addetti che indossano grembiuli e stivali di gomma gialli e, in alcuni casi, maschere protettive di plastica trasparenti . Rebecca Dunne non l’aveva l’altro ieri quando un giovane pellicano, usando il becco come un fioretto, le ha sfregiato il volto. Niente di grave, ma la povera Rebecca adesso si aggira per l’hangar con un graffio di cinque centimetri ancora fresco sulla guancia destra. « stata colpa mia», puntualizza. «Non sono stata attenta a serrargli il becco con la mano, come bisognerebbe fare».
Con quella precauzione, il lavoro di pulizia non è particolarmente impegnativo perchè gli uccelli sono relativamente tranquilli. Si lasciano insaponare e sciacquare per decine di volte, finché l’acqua dei catini non smette di essere torbida.
Tutto viene fatto con delicatezza. E in silenzio. Per non stressare ulteriormente volatili che si sono trovati cosparsi di petrolio, impossibilitati a volare, incapaci di ripulirsi, affamati, disidradati, surriscaldati dal sole cocente e poi catturati da qualche buon samaritano e portati fino a qui.
Una volta ripuliti vengono portati fuori dell’hangar e messi in una delle tre grandi voliere dove rimangono una decina di giorni. Dopo aver salvato le penne, devono avere anche il tempo di recuperare le forze.
Domani un primo gruppo di una ventina di pellicani sarà rimesso in libertà: sarà trasportato via aerea sulla costa atlantica della Florida. Sperando che non volino a casa troppo presto. Altrimenti rischierebbero di tornare a Fort Jackson a subire un altro trattamento.