Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2010  giugno 11 Venerdì calendario

SE TUTTO CAMBIA TRANNE I 12MILA OPERAI - U

n pezzo di fordismo fragile trapiantato al Sud, che nonostante tutto ha reso Pomigliano d’Arco uno degli ultimi bastioni della grande impresa italiana. Ma, anche, un fenomeno sociale non privo di ambiguità, che in alcuni frangenti ha trasformato il ceto operaio in una specie di plebe metalmeccanica.
Dodicimila persone. A Pomigliano questo numero rappresenta una costante storica, dalle fabbriche dell’Iri alla Fiat di Sergio Marchionne. Quasi che, in mezzo, nulla o poco più fosse cambiato. Una stabilità di lunga durata che, di fronte alla frattura imposta dalla razionalità manageriale aliena dalla politica del manager italocanadese, in futuro sarà difficile conservare. Nel 1972, anno dell’entrata in produzione dell’Alfa Sud, erano dodicimila gli addetti diretti nella fabbrica verticalmente integrata del capitalismo di Stato, posti in vendita a 80mila lire dal barbiere in piazza, la subcultura camorristica in officina nel peggiore dei casi e nel migliore una classe operaia che non ha mai compiuto la definitiva transizione dai campi contadini alla modernità fordista. Quasi quarant’anni dopo, gli addetti diretti della Fiat sono 5.500, a cui ne vanno aggiunti altri 6.500 di indotto. Ancora dodicimila. «Sì è vero - riflette Vincenzo Comito, economista marxista che insegna all’università di Urbino esiste una continuità occupazionale che attraversa quarant’anni di storia italiana e che è non è stata toccata da alcun cambiamento: il fallimento storico dell’Iri, il sindacalismo pseudorivoluzionario,il camorrismo come luogo nero dell’anima, il mancato arrivo nel 1986 della Ford, le privatizzazioni e l’incapacità, o l’impossibilità, da parte di Fiat di cambiare una fabbrica che non ha mai funzionato ». Comito, che nel 1981 ha pubblicato con Editori Riuniti il saggio La Fiat tra crisi e ristrutturazione e che nel 2005 ha scritto
per l’Ancora del Mediterraneo
L’ultima crisi: la Fiat tra mercato e finanza , è stato consulente dell’Iri e, nel 1972, ha svolto a Pomigliano una ricerca organizzativa. Prima del cambio di paradigma imposto da Marchionne, che piano B o no ha comunque rotto il tabù dell’intangibilità di Pomigliano, nell’ibernazione lunga quarant’anni compare una evidente originaria irrazionalità economica: «Ero lì quando si progettò l’Alfa Sud. Il prototipo venne spedito in Giappone per verificarne il funzionamento e la corrispondenza al progetto. L’indice calcolato era compreso fra un range di zero, il massimo dell’efficienza, e di 270, il peggio. L’Alfa Sud arrivò a 243 punti», ricorda sconsolato Comito.
La continuità di Pomigliano, se non ha ragioni in una efficienza interna della fabbrica, non ha avuto nemmeno ragioni nella politica industriale: «Una politica industriale - nota Vincenzo Esposito, ex sindacalista e oggi economista dell’Ires Campania - che nel settore dell’auto non è mai esistita. Perché il clientelismo dell’Iri non lo era. E le privatizzazioni hanno dimostrato di risolvere solo problemi di bilancio. Senza considerare il posizionamento del sistema paese, in settori strategici comunque presidiati dagli altri competitor europei ». All’interno di questa fissità, è naturale che esistano dei fattori mobili: per esempio il profilo degli operai.«L’assenteismo negli anni 70 è stato un fenomeno patologico incredibile ammette Luigi Nuzzi, detto Gigino, assunto nel 1971 alle manutenzioni e da quarant’anni sindacalista Fiom che veniva alimentato dalla classe dirigente democristiana espressa ai vertici dell’Iri:le nostre macchine,complice la crisi energetica, quasi quasi non venivano percepite come destinate al mercato. Il lassismo era istituzionalizzato. L’assenteismo degli anni Settanta, però, non è per niente paragonabile a quello di oggi».
Allora nasce una specie di plebe metalmeccanica all’incrocio fra il meridionalismo della spesa pubblica e la macchia scura della "guapperia" organizzata, il legittimo bisogno di pane sulla tavola e le tecniche della politica. Un inviluppo di relazioni e una fisiologia del potere che vengono contestati da Paolo Cirino Pomicino, ’o ministro :
«La continuità nel numero degli addetti è un dato aziendale. Al di là dei processi di deverticalizzazione, si tratta di una scelta della Fiat. Non è la politica che ha scaricato le tensioni sociali sulla fabbrica. la Fiat che, negli ultimi 25 anni, ha fatto conservare al sistema questi livelli occupazionali. Al di là della retorica antipartitocratica, l’invasività della politica su aziende così grandi è poca cosa». Anche se l’ex presidente della Commissione bilancio e partecipazioni statali un distinguo lo fa: «Diverso il discorso dell’Iri, su cui i partiti esercitavano una influenza decisiva. Ma noi dimostrammo responsabilità, quando decidemmo il ritiro dello Stato dall’auto vendendo l’Alfa Romeo alla Fiat. Una parte del Pci e i donatcattiani della Dc ci diedero addosso».
Comunque sia, dietro a questo fenomeno di lunga durata ci sono gli uomini. Che cambiano. Don Peppino Gambardella ha 69 anni e, a Pomigliano, è il parroco di San Felice in Princis: «Qui abbiamo avuto sempre tanti problemi. Ma, fra questi dodicimila, c’è stata anche una classe operaia combattiva e piena di dignità. I giovani sono nella migliore delle ipotesi propensi alla trattativa. Ma non per convinzione. Per rassegnazione».
I vecchi sono diversi. Luca Rossomando ha 29 anni, si è formato nell’entourage napoletano di Goffredo Fofi, ha compilato un annuario su Pomigliano dal titolo Sangue amaro e sta raccogliendo videotestimonianze per un documentario: «Tutti sono convinti che la fabbrica non chiuderà. La narrazione di questo luogo non contempla la possibilità che Marchionne l’americano tiri fuori un piano B. Se glie lo prospetti, nessuno di loro ti risponde, stanno tutti in silenzio».