Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2010  giugno 11 Venerdì calendario

QUESTA DESTRA LACRIME E GOGNA

Ma che razza di destra è, questa destra presunta paladina del mercato e delle libertà personali che per bocca di un ministro chiede di tagliare gli stipendi dei calciatori, che pretende di inserire nei titoli di coda dei programmi Rai i compensi dei conduttori, che sui giornali di riferimento pubblica nome per nome gli stipendi di oscuri e meno oscuri funzionari pubblici spacciando questa maldestra gogna mediatica per un coraggioso atto di contropotere?
 la stessa destra che esulta per l’approvazione del ddl sulle intercettazioni compiacendosi - così ieri il ministro Angelino Alfano - per il passo avanti «nel rispetto della privacy dei cittadini», col risultato di dimostrare una volta di più che, per questo governo, del diritto alla privacy si può fare il medesimo uso del garantismo: vessilli da sbandierare quando si tratta di difendere interessi personali o di consorteria, merce avariata se c’è da imbastire una bella campagna demagogica e diversiva. Lo dice un giornale che ha più volte preso posizione a favore di una legge che limiti uso e abuso delle intercettazioni, e non per mero «rispetto della privacy», ma per difendere le sacrosante garanzie di indagati e non indagati in uno Stato di diritto che sia degno di chiamarsi tale.
Il fine di questa nuova campagna mediatica e politica è chiaro: levare una cortina fumogena intorno alla manovra lacrime e sangue di Giulio Tremonti, spostare l’attenzione su questioni irrilevanti ma demagogiche, riaprire il tormentone sulla casta per impegnare altrove le teste degli italiani e disimpegnare il governo dall’ondata di impopolarità che rischia di abbatterglisi contro nel giro di pochi mesi.
 già sconfortante di suo costatare che un governo presieduto da un presidente del Consiglio che non smette mai di celebrare i propri successi e la propria popolarità, con un ministro di Tesoro che sarebbe capace di giustificare la soppressione della provincia di Fermo citando Schumpeter e parafrasando Marx, sostenuto da una forza come la Lega che si vanta di essere unica depositaria legittima della volontà popolare, senta il bisogno di ricorrere a questa guerriglia psicologica da due soldi anziché farsi forza del consenso e dei numeri in Parlamento per mettere mano a riforme strutturali, magari dolorose ma efficaci. Ma è doppiamente sconfortante che la maggioranza di centrodestra cerchi di farlo senza il pudore di salvaguardare almeno all’apparenza i propri capisaldi politici e ideologici e cerchi di sfangarla sputtanando una manciata di pippibaudi nei titoli di coda dei programma di mamma Rai, un po’ di cannavari in partenza per il mondiale sudafricano e un’infornata di signor Rossi, come ha fatto ieri il ”Giornale” di Vittorio Feltri, sempre in fila quando si tratta di fare strame di diritti, informandoci con una dettagliatissima lista sui compensi al centesimo di tutti i dirigenti e consulenti della Regione Lombardia.
Viene da chiedersi se a questa destra di governo sia davvero tutto concesso, di fare insieme la casta e l’anti-casta, i corrotti e i paladini anti-corruzione, i martiri della libertà d’impresa e gli zdanoviani censori di buste paghe altrui, i difensori della privacy e i suoi più sbracati calpestatori. Anche sul merito della manovra: si tagliano le minuzie e si finge soltanto di tagliare i veri rami secchi: mentre il Consiglio dei ministri di ieri decurtava «di almeno il 20 per cento» gli stipendi dei collaboratori Rai - con Berlusconi, patron del principale concorrente della televisione pubblica, che ha fatto la mossa di uscire al momento dell’approvazione della norma - saltava grazie a un tempestivo emendamento la soppressione delle mini-province sotto i 200 mila abitanti. A presentarlo è stato il presidente della commissione Affari costituzionali della Camera e relatore della Carta della Autonomie, Donato Bruno, perché così Umberto Bossi era tornato a chiedere l’altra sera.
Di questo passo, sarebbe consigliabile quantomeno mettere da parte certe velleità culturali e accademiche accampate da ministri e capigruppo del Pdl in dotti libri e sottili intervistesse. Perché la cifra ideologica di questa destra che deve affrontare la più grave crisi finanziaria del dopoguerra non è il liberismo più o meno temperato, né il conservatorismo compassionevole e tantomeno l’economia sociale di mercato. il gioco delle tre carte.