Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2010  giugno 11 Venerdì calendario

MANDARE IN ONDA NEI TITOLI DI CODA GLI STIPENDI? NO, GRAZIE

Non è il management di un’azienda, ammesso che la Rai sia ancora un’azienda, che deve decidere in piena autonomia, e assumendosi fino in fondo la responsabilità delle decisioni, quanto deve guadagnare quel conduttore o quell’altro, quell’artista televisivo o il suo collega? Pubblicare nei titoli di coda - come si vorrebbe far fare alla Rai - i soldi percepiti da chi fa le trasmissioni è una scelta di puro giustizialismo televisivo.
 come mettere nelle mani di un tribunale del popolo, e non di una classe dirigente che fa le sue scelte e rischia il posto se sono sbagliate, il potere di emettere un giudizio: questo è pagato poco e funziona, benissimo!; questo è pagato molto è non funziona, sia cacciato via! Questa non è trasparenza, è barbarie.
Che poi - come anche dimostra il sondaggio di Sky-Tg-24 - la maggioranza degli italiani sia favorevole a conoscere in diretta i guadagni dei personaggi della tivvù pubblica, non deve stupire. Un po’ perché siamo un popolo curioso fino alla morbosità, e il vip watching dopo il calcio è lo sport nazionale, e un po’ perché - ed è impossibile dargli torto - la Rai gode di una tale sfiducia per gli sprechi e per la mala amministrazione che la caratterizza che un’opera di vigilanza civica sull’uso del denaro pubblico non guasta. E tuttavia, l’indicazione degli stipendi televisivi avrebbe, presso gli spettatori, un effetto di scatenamento dell’invidia sociale e allo stesso tempo depressivo: quello guadagna un botto, «e io pago....», detta alla Totò. Ma soprattutto, ed è più grave, deresponsabilizza vieppiù la classe dirigente di Viale Mazzini già ampiamente dimostratasi al di sotto delle aspettative. Se sono tanti o sono pochi i soldi che guadagnano Santoro o la Carlucci, lo devono stabilire quelli che prendono lo stipendio per decidere, quelli che hanno la competenza per giudicare il valore degli artisti (che oltretutto è molto mobile e difficile da quantificare), quelli che a loro volta guadagnano i loro soldi proprio per governare la Rai e se non lo fanno bene, perché non capiscono il valore professionale e quindi finanziario di un personaggio, devono pagare di tasca propria e lasciare il posto a chi è più bravo di loro. Cavarsela buttando la palla nel campo degli spettatori è come chiedere loro: «Chi volete libero, Gesù o Barabba?». I fatti separati dalle opinioni, si diceva una volta. In questo caso, ci vorrebbero i fatti separati dalle emozioni. Ma soprattutto servirebbe una dirigenza Rai che abbia il coraggio delle proprie azioni. Senza affidarsi ai tribunali del popolo e senza sottoporre chi lavora in tivvù al rischio del pubblico ludibrio per colpa di eventuali errori di merito compiuti nelle stanze del Settimo Piano.