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 2010  giugno 09 Mercoledì calendario

CAMPIONI DI GUERRA


Esce in questi giorni il libro di Carlo Annese I diavoli di Zonderwater (Sperling & Kupfer) che racconta l’epopea dei prigionieri di guerra italiani in Sudafrica. All’autore abbiamo chiesto di spiegarci come ha scoperto queste straordinarie storie di sport e vita. Ecco il suo racconto.

di Carlo Annese

Nelson Mandela e la lunga lotta all’apartheid, la "nazione arcobaleno" e la tragedia contemporanea dell’Aids. Nei giorni in cui ci avviciniamo all’inizio del Campionato mondiale di calcio in Sudafrica, tutti pensiamo di conoscere, più o meno, un pò di storia del Paese che li ospiterà. Abbiamo sentito parlare dell’isola-prigione di Robben Island (l’Isola delle foche, oggi meta turistica, dichiarata dall’Unesco "patrimonio dell’umanità"), o del boicottaggio imposto a suo tempo dalla comunità internazionale al governo dei bianchi, per la politica di segregazione razziale.

IN VIAGGIO DI NOZZE
Probabilmente qualcuno avrà avuto anche un parente o un vecchio conoscente che a metà degli anni Settanta è andato a stabilirsi da quelle parti, dove la comunità italiana è numerosa e molto attiva. Ma pochi sanno che in quell’estremo lembo rigoglioso dell’Africa si è svolta una parte importante della nostra storia recente. Non lo sapevo neanch’io. E’ emersa quasi per caso, da un passato che gli storici di professione e alcune generazioni di politici hanno considerato come pura contabilità. Anzi, ci sono letteralmente inciampato sopra, poco più di un anno fa. Ero in viaggio di nozze, a Città del Capo, e un libraio al quale mi ero rivolto in cerca di buone letture sul calcio sudafricano - io lavoro a La Gazzetta dello Sport - riconoscendo il mio accento, mi fece una rivelazione soprendente. Mi disse: "Ma lei sa che da noi il calcio ha origini italiane?". Come sarebbe a dire? "Sì. Decine di migliaia di vostri soldati furono rinchiusi in un campo di concentramento per prigionieri durante la Seconda Guerra mondiale e, oltre a lavorare nelle fattorie, molti di loro giocarono a pallone per sopravvivere". Il libraio mi scrisse il nome di quel campo sul retro di un biglietto da visita: Zonderwater. Infilai il cartoncino nel bagaglio e, quando tornai in Italia, la sua storia riaffiorò giorno dopo giorno. Cominciai a cercare su Internet, visto che su molti libri di storia quella parola non compariva nemmeno, e scoprii una vicenda umana corale straodinaria. A Zonderwater, in un enorme altopiano desolato a 1.700 metri sul livello del mare e a 43 chilometri da Pretoria, tra il 1941 e il 1947 furono rinchiusi 94 mila prigionieri di guerra italiani, catturati sui fronti dell’Africa Orientale e Settentrionale.
Il Campo di Zonderwater, una vera e propria città, costituita inizialmente da tende e poi da baracche edificate dai detenuti, fu il più popolato tra i tanti campi di prigionia che gli anglo-americani disseminarono tra l’India, l’America, l’Australia e la stessa Africa.

UN CAFFELATTE IN PIU’
E lì a Zonderwater, in effetti, lo sport (e il calcio in particolare) rappresentò una grande occasione di sopravvivenza. Erano praticate numerose discipline. Si giocava a pallacanestro, a pallavolo, a tennis; furono organizzati incontri di pugilato e riunioni di atletica; qualche decina di prigionieri imnparò a tirare di scherma e tra questi anche Ezio Triccoli che, una volta rientrato in patria, avrebbe poi creato a Jesi una scuola di olimpionici, da Stefano Cerioni a Valentina Vezzali, a Giovanna Trillini. Gli agonisti migliori ottennero privilegi che, sia pur minimi, in quelle condizioni faevano la differenza. I calciatori, per esempio, ricevevano una tazza di caffelatte in più al mattino, dopo il primo allenamento delle 7, e una porzione supplementare di lenticchie o di granone.

TRENTAMILA SPETTATORI
Per i "campioni" c’erano posti riservati nei teatri nei quali recitavano i prigionieri e per le altre manifestazioni sportive, qualche camicia in più e un trattamento di riguardo da parte dei fan club che nascevano nei blocchi.
Campioni, proprio così. A Zonderwater furono rinchiusi alcuni pugili professionisti che detenevano il titolo di quell’Impero che Mussolini aveva vanamente cercato di erigere nell’Africa Orientale. Uno di questi era Giovanni Manca, un boxeur romano che nel 1948 avrebbe poi sfidato il leggendario Marcel Cerdan, il grande amore di Edith Piaf, per la corona europea dei pesi medi.
L’8 settembre 1943, proprio il giorno dell’armistizio, in cui il maresciallo Badoglio dichiarò la resa dell’Italia, Manca (un monarchico che si era arruolato nei Granatieri di Savoia creati dal Duca d’Aosta nelle colonie del Duce) fu protagonista di un match epico. Il suo avversario era un altro professionista dal passato illustre, Gino Verdinelli, che i prigionieri fascisti più irriducibili avevano eletto proprio "gladiatore". L’incontro si svolse nel Campo, davanti a trentamila spettatori.
Molti di loro erano civili, in prevalenza immigrati italiani, che il comandante di Zonderwater, il colonnello Hendrik Fredrik Prinsloo, un ufficiale boero illuminato da un profondo senso dell’umanità, tanto da creare scuole e laboratori artigianali e artistici, aveva lasciato entrare aprendo i cancelli. Ho cercato qualche superstite, protagonista di quella prigionia così fuori dal comune, e dai primi incontri che sono riuscito ad avere con i pochi ancora in vita ha preso forma l’idea di raccontare quel pezzo di storia dimenticata proprio attraverso lo sport, aggiungendo solo qualche scena romanzata, funzionale alla narrazione ma estremamente verosimile.
Con il passare dei mesi e l’avanzare delle mie ricerche, soprattutto tra i documenti e i cimeli del Museo di Zonderwater, governati con dedizione in Sudafrica da Emilio Coccia, sono emerse le storie che racconto nel libro.
Grazie al ricordo affettuoso dei parenti, ho ritrovato i diari di alcuni prigionieri che avevano giocato a calcio nelle squadre del campionato ufficiale disputato nel Campo.


MEZZ’ALA DEL TORINO
Campionato conquistato tre volte dai Diavoli Neri, capitanati da Giovanni Vaglietti (mezz’ala delle giovanili del Grande Torino), vincendo la concorrenza dei Diavoli Rossi di Araldo Caprili, un terzino sinistro "alla Cabrini" che una volta liberato, tra il 1947 e il 1949 giocò nella Juventus, al fianco di Boniperti.
Per merito di quel libraio (e di mia moglie, che ha scelto il Sudafrica come meta per la nostra luna di miele), ho trovato i Diavoli di Zonderwater.