Giampiero Mughini, Libero 10/6/2010, 10 giugno 2010
CINQUANTA DI QUESTE CONIGLIETTE
Nato a Chicago nel 1926, combattente nell’esercito americano negli ultimi mesi della Seconda guerra mondiale, nel novembre 1953 Hugh Hefner s’era fatto prestare 600 dollari a tirarne fuori il primo e leggendario numero del mensile ”Playboy”, uno dei giornali che hanno fatto la storia del mondo moderno.
Esattamente com’è accaduto allo Steve Jobs dei nostri giorni, quello che che aveva cominciato con l’ideare e vendere dei prodotti (i computer Apple) e poi s’è trasformato in un appagatore di sogni (il sogno dell’uomo onnipotente perché ”connected” al mondo 24 ore su 24 a forza di telefonini o lastre elettroniche), a pochi anni di distanza dalla nascita di ”Palyboy”, Hefner trasformò il titolo della sua rivista in un marchio totale, nell’evocazione di un sogno e di un’utopia maschile.
L’utopia del bel vivere, nei miglior alberghi e nei ristoranti i più costosi, circondato da ragazze appariscenti e ultradisponibili e mentre il ghiaggio gorgogliava in bicchieri che ospitavano i migliori whisky del mondo. Esattamente cinquant’anni fa, nel 1960, nacque a Chicago, la città natale di Hefner, il primo club
che portava il nome ”Playboy” a fungere da incarnazione terrena di quell’utopia, a cominciare da quelle ragazze che circolavano abbigliate da insinuanti ”conigliette”, un abbigliamento e uno stenogramma erotico che oggi ci farebbero ridere da quanto ci apparirebbero kitsch e che invece veniva preso immensamente sul serio dal maschio americano degli anni Cinquanta.
FEMMINISTE LONTANE
Erano allora lontanissimi gli anni del femminismo e del postfemminismo, di quando una camerierina americana si rifiutò di servire un cliente che stava leggendo ”Playboy” e il padrone del bar le diede ragione e quel pover’uomo dové andarsene con le pive nel sacco. E siccome le utopie, anche quando divenute grottesche, sono dure a morire, ecco che in 50 città del mondo verrà organizzato un party a ricordare un avvenimento che scombussolò la vita nottturna americana e gli ormoni dei ragazzoni che ci si buttavano a pesce. In Italia quella celebrazione, con gran sfoggio di conigliette”,
avverrà questa sera al ”Pineta” di Milano Marittima.
L’ho detto, erano gli anni Cinquanta. La guerra era finita da poco, quella guerra di cui Hefner aveva avuto il tempo di gustarsi le terrificanti delizie. Eravamo all’aurora del benessere moderno, e la parola d’ordine era ”godersi la vita”. Godersi le ragazze, godersi i dollari, godersi i bei vestiti o gli apparecchi stereo con cui sentire della bella musica. Perché, badate bene, il cliente ideale di Hefner, era tutt’altro che un burino.
E difatti nella sua rivista, le belle ragazze tonde tonde e dai gran seni erano intervallate da racconti e vignette e reportage giornalistici di gran qualità. Furono tanti gli scrittori americani e gli illustratori di pregio ai quali Hefner versò lauti assegni, esattamente come farà l’italiana Adele Tattilo con l’equivalente italiano di ”Playboy”, il ”Playmen” su cui non disdegnava di firmare uno come Alberto Moravia. E per tornare al ”Playboy” americano, io studente poco più che ventenne ci lessi una magnifica intervista a Fidel Castro, per
dire di uno che non era esattamente un angioletto agli occhi dell’americano medio.
IL ”PAGINONE”
Tra le pin up celebrate nella copertina e nel ”centerfold” della rivista di Hefner e la condizione del soldato americano durante la Seconda guerra mondiale il legame simbolico era di ferro. Il termine ”pin up”, appendere delle foto di ragazze alla parete di una caserma o di una camerata, nasce esattamente da quella condizione. Per chi doveva irrompere sotto il fuoco delle mitragliatrici sulla sabbia della
Normandia o su quella di Iwo Jima, guardare quelle immagini era uno dei modi migliori per alleviare la tensione.
E difatti la regina delle ”pin up” e quella che accese della sua bellezza il primo numero di ”Playboy”, Marilyn Monroe, non fu mai così bella come quella volta che andò in visita ai soldati americani di stanza in Corea. Le ”pin up” erano le ragazze giuste da mostrare al momento giusto. Provocanti ma entro certi limiti, mai al punto da mettere in pericolo le famiglie e la loro stabilità. Le curve bene in evidenza, ma niente che risultasse
volgare. Assieme statuarie e burrose. Il meno sofisticate possibile, perché quello era il gusto americano del tempo. Dovevano anzi dare l’idea che se sposate sarebbero state delle moglie e delle mdri di famiglia affidabili, che non si sarebbero tirare indietro al momento di entrare in cucina per cambiare i panni ai pupi.
Tutto divenuto astralmente lontano, noi tutti divenuti astralmente diversi. E comunque, diciamolo pure. Che di tutte le utopie del Novecento quella coltivata e cullata da Hefner è stata una delle più garbate e innocue.