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 2010  giugno 10 Giovedì calendario

TELEFONATE HARD RUBATE IN UFFICIO, MA LE PROVE VENGONO SMARRITE

Cartomanti e stelle del porno finanziate con migliaia di euro attraverso telefonate effettuate da dipendenti del ministero del Tesoro e da impiegati del Comune di Roma. l’accusa che emerge da migliaia di ore di conversazioni intercettate, in partenza da utenze di uffici pubblici verso linee hard e di veggenti di vario genere. Pagine e pagine di registrazioni misteriosamente sparite dagli scaffali di qualche Procura italiana. Una scomparsa emersa nel corso del processo davanti alla nona sezione collegiale del Tribunale di Roma, dove dal 2007 sono imputate 26 persone, rinviate a giudizio su un solo presupposto: l’esistenza di queste intercettazioni dove erano le voci dei dipendenti infedeli.
 questo uno dei tanti, innumerevoli, casi di spreco di soldi che avvengono quotidianamente nelle Procure e nei Tribunali italiani. Di quei dialoghi, infatti, non c’è più traccia. Le intercettazioni erano state disposte in Sicilia. Ma in tanti anni le bobine non sono mai arrivate nella Capitale. Nessun pubblico ministero le ha viste, lette o perlomeno tocate con mano. I 26 imputati, insomma, erano stati mandati a processo attraverso quello che potrebbe essere definito un ”atto di fede”. Che invece si è rivelato essere uno spreco di tempo e di denaro dovuto soltanto a negligenza o imperizia. Un dispendio di risorse beffardo. Non esistono dubbi che migliaia di euro siano stati sottratti dalle casse del Comune di Roma o del Ministero del Tesoro, per essere ”regalati” a cartomanti senza identità. Un stratagemma perfetto che avveniva attraverso telefonate concordate da impiegati pubblici di cui non si conosceranno mai i volti. Rimarrà impossibile sapere chi effettuò quelle chiamate interminabili che duravano ore e ore. I responsabili avrebbero dovuto essere individuati attraverso le intercettazioni, dove erano incisi i numeri telefonici degli interni dai quali partivano le telefonate. E in quelle bobine sparite nel buco nero degli sprechi della Giustizia erano registrate le voci dei dipendenti infedeli. Il dispendio inutile di soldi pubblici non si è limitato alle scomparsa della prova ”regina” del malaffare. A un certo punto erano saltate fuori anche alcune bobine provenienti da un armadio. Su questo materiale venne disposta una perizia. Ma poiché non era allegato il Rit, cioè il registro delle intercettazioni telefoniche, il povero consulente alzò bandiera bianca. «Queste bobine potrebbero anche appartenere ad altri processi» rilevarono gli avvocati Vittorio Attolino e Antonella Arpini, difensori di alcuni tra gli imputati. Un appunto che incontrò lo sconfortato e amaro consenso del presidente del collegio.
Adesso il processo è stato rinviato a settembre per quella che sara una discussione ”surreale”. Perchè senza prove l’esito è scontato. Ma questo processo dove le intercettazioni svaniscono nel nulla è solo uno dei tanti segnali della sfascio in cui versa la giustizia penale. Il primo spreco avviene all’inizio del processo, quando devono essere notificati gli atti. Un’operazione semplice, che costa fra gli 8 e i 10 euro. Consegnare un atto al destinatario appare però un’impresa impossibile nella maggior parte dei casi. Ogni giorno gli ufficiali giudiziari notificano a vuoto centinaia di atti fra errori e cambi di indirizzo. Per ogni notifica fallita lo Stato spende comunque tra gli 8 e i 10 euro. Senza contare poi che i tentativi fatti per notificare gli atti agli irreperibili o ai clandestini. Individui sconosciuti, di cui si ignora tutto: dal nome vero alla nazionalità. In altre parole uno spreco colossale di risorse. Ma le finanze pubbliche sono sperperate anche nella costruzione di edifici che chissà se verranno mai utilizzati. A Firenze c’è in bella mostra il Palagiustizia. Costato a oggi 137 milioni di euro. Dovrebbe accogliere in un’unica sede le decine di uffici e archivi giudiziari sparsi per la città. Finito da tempo è ancora vuoto. E tanti soldi si perdono anche nel mancato recupero degli euro che ogni condannato dovrebbe pagare quando finisce il processo. Alcuni giorni fa, il nuovo presidente della Corte d’appello di Milano, Alfonso Marra ha fornito un dato sorprendente. Esistono 31 mila procedimenti penali definiti in secondo grado a Milano, per i quali lo Stato non ha mai chiesto ai condannati la riscossione delle relative spese di giustizia. Secondo il presidente, basterebbero piccoli investimenti ingegnosi e si porterebbe in cassa un tesoretto stimato tra i 25 e i 30 milioni di euro.