LETIZIA TORTELLO, La Stampa 10/6/2010, pagina 39, 10 giugno 2010
IL PEGGIO DEL WEB E’ PREFERIBILE AL MEGLIO DELLA TV
Se non è al pc, è al cellulare. Poi attacca l’XBox Live, tiene attivi Facebook e Twitter, butta un occhio a Msn mentre messaggia su Skype, s’incanta con Chat Roulette, perde le ore con OkCupid! ascoltando musica su Last.fm. la fotografia (un po’ caricaturale, ma neanche troppo) dei giovani ipertecnologici delle ultime generazioni. «Pollicioni» ben allenati a cliccare ovunque, passano davanti allo schermo più ore di quante dormono. Correndo il rischio di diventare, presto o tardi, schizofrenici della rete.
Ma è proprio vero che Google e i nuovi media rendono «stupidi», come ha sostenuto Nicholas Carr? O forse anche da videogame e social network s’impara qualcosa? Lo chiediamo a Matteo Bittanti, docente di Visual Studies al California College of the Arts di San Francisco, autore di un Manifesto di Umanistica digitale che rilancia il sapere tradizionale sotto forma di bit.
Le sue ricerche sfatano un mito: i nostri figli «videogioco-dipendenti» non sono più analfabeti e intellettualmente passivi dei loro predecessori. Ci spiega perché?
«Le ultime leve stanno sviluppando un’alfabetizzazione visuale. Prima di condannarla, sarebbe utile sforzarsi di comprenderla. Rispetto ai ”bamboccioni” di un tempo, sono incredibilmente svegli, hanno accesso a oceani di informazioni e posseggono abilità inedite. Mancano, semmai, docenti aperti e tecnologicamente competenti. I videogiochi ci insegnano a gestire informazioni complesse, a manipolare immagini in tempo reale, a operare in multi-tasking, a socializzare in forma ludica, a collaborare a distanza, a ripensare spazio e tempo. un errore criticarli perché non offrono il medesimo spessore narrativo della letteratura o del cinema. Il loro specifico non è narrare. E poi non si vive di soli libri: la lettura è un fenomeno complesso e articolato. Quindi parlare di ”fine della cultura” mi pare esagerato e miope».
Ci sta dicendo: più videogame a scuola?
«L’uso delle simulazioni in contesti educativi è un fenomeno tutt’altro che nuovo. Ma in Italia è considerato blasfemo perché siete tecnofobici e non c’è un mercato videoludico maturo. L’intera industria dei videogiochi italiani fattura come un singolo grande negozio: 9,8 milioni di euro l’anno (dati della Fondazione Rosselli). Risibile. L’Italia dei videogiochi non esiste, è una colonia americana».
Insomma, videogiocare, chattare, navigare rende attivi, non «stupidi». corretto?
«C’è una differenza qualitativa tra i media ”push” (televisione, stampa), che ci rovesciano addosso informazioni di dubbia veridicità e rilevanza, e i media ”pull” (Internet) che invitano gli utenti a trovarsi da sé le notizie e costruirsi propri standard qualitativi. In linea di massima, il peggio di Internet è preferibile alle cose ”migliori” che si vedono in televisione in Italia».
Su Google però passa di tutto. appena stata emessa contro l’azienda una condanna per il video in cui alcuni studenti torinesi malmenavano un disabile. Come difendere i ragazzi da eventuali «buchi neri» della rete?
«La sentenza italiana contro Google rivela una clamorosa incapacità di cogliere il portato delle nuove tecnologie. Una parte del vostro paese è rimasta ferma agli anni Ottanta, creando un regime di videocrazia perpetua che vede nelle nuove tecnologie la terribile minaccia. Paure fondate: i nuovi media sono meno controllabili da parte del potere. Il che spiega l’arretratezza tecnologica italiana a livello europeo: la modernizzazione produce emancipazione intellettuale e culturale».
La vera democrazia è in Google e nella sua gratuità?
«Per decenni le istituzioni hanno gestito informazioni e contenuti in un regime di innaturale monopolio. Ma se i mezzi di produzione diventano accessibili alle masse gratuitamente, i service provider tradizionali devono reinventarsi oppure rischiano l’estinzione, come i dinosauri. Personalmente, non provo grande nostalgia per i tirannosauri».
Torniamo ai ragazzi e facciamo un confronto pratico. Non crede che la violenza di certi videogiochi sia ben peggiore dei sentimenti suscitati da un film o un libro, per quanto horror o noir?
«Le statistiche mostrano che negli ultimi trent’anni - un frangente temporale che coincide con l’avvento del videogame - la violenza giovanile è diminuita considerevolmente, eppure i mass media continuano a demonizzare il videogioco, accusandolo di istigare comportamenti asociali. Quindi no alla filosofia del silo, il sapere deve essere ripensato in forma olistica, grazie alle nuove tecnologie, che ampliano enormemente le possibilità di ricerca e di studio».