GIANLUCA PAOLUCCI, La Stampa 10/6/2010, pagina 9, 10 giugno 2010
ATTENZIONE AL DISAGIO SOCIALE
Se questa crisi fosse un palazzo, adesso saremmo al terzo piano, quello del debito degli Stati. Per Mario Monti, a Torino per parlare delle prospettive dell’Unione europea ai membri della Ide (Imprenditori e dirigenti europei), non è detto che sia l’ultimo. C’è il piano del disagio sociale, dei tagli alla spesa pubblica e della disoccupazione in aumento le cui conseguenze sono ancora tutte da decifrare. Ma in questa fase non mancano i segnali positivi, come il piano d’intervento per rispondere alla crisi greca che, se avrà successo, sarà ricordato come «il più grande successo dell’Europa».
Professore, spieghiamo questa metafora «edilizia». Il primo piano della crisi ha riguardato la finanza, poi è arrivata all’economia reale, adesso siamo al terzo piano, quello dei bilanci statali. Ci sarà anche un quarto piano?
«Questo edificio a tre piani già basta. Non dimentichiamo però l’aspetto sociale. Anche se non ci sono mercati che ”quotano” in tempo reale il disagio sociale, questa è una componente importante. Penso all’aumento della disoccupazione, ai tagli ai sistemi di welfare. La crisi ha fatto salire nella gerarchia gli aspetti sociali che nel dibattito degli ultimi dieci, quindici anni erano praticamente scomparsi».
Il timore delle ultime settimane è quello del «contagio», che dalla tensione sulla Grecia si passi anche alla Spagna, o all’Italia. Si tratta di allarmi generici o di timori concreti?
«Gli eventi di questi ultimi due anni hanno reso molto labile il confine tra allarmi generici e timori concreti. Abbiamo già visto accadere cose che prima sarebbero state impensabili. La capacità dei governi di reagire è stata importante, non si può dire che non si siano fatti passi avanti nella direzione di un maggior coordinamento tra gli Stati per evitare questo rischio».
Però nelle ultime settimane abbiamo assistito a divisioni e veti incrociati proprio nel coordinamento tra gli Stati. Penso al G20 finanziario in Corea o, in Europa, alle tensioni tra Parigi e Berlino. Sono segnali di una concordia che non c’è più?
«Nella vita delle famiglie, degli individui e anche degli Stati le decisioni importanti si prendono in casi di necessità. La disponibilità a prendere decisioni comporta, a livello degli Stati, limitazioni per la sovranità che possono anche essere difficili da accettare».
Quindi il ritorno alle divisioni significa che l’emergenza è superata?
«Dobbiamo distinguere i due aspetti. Nel G20 si sono effettivamente fatti passi avanti subito dopo lo scoppio della crisi, quando sono state intraprese iniziative importanti proprio nel senso del maggiore coordinamento. Poi ho effettivamente l’impressione che venendo meno l’urgenza delle decisioni si facciano passi avanti più lentamente».
E in Europa?
«Vedo tre punti che mi preme rilevare. L’Europa ha, per fortuna, dei meccanismi di decisione che fanno parte della sua stessa natura e che hanno comportato fin dall’inizio una limitazione della sua sovranità. Quindi l’Europa lo ha fatto, ha intrapreso delle azioni importanti sul piano continentale e lo ha fatto perché ha questa cultura e tradizione».
Si riferisce al piano salvaeuro da 750 miliardi varato per rispondere alla crisi greca?
«Il secondo punto è proprio questo: la crisi greca forse un giorno sarà ricordata come il più grande successo dell’Europa, se le misure intraprese dal governo Papandreou avranno almeno in parte successo. Guardiamo a quello che ha fatto la Germania. I governi tedeschi hanno sempre avuto una grande ostilità a chiedere tasse e sacrifici per solidarietà verso altri Paesi. E in questa occasione parteciperanno pienamente al piano di messa in sicurezza della moneta unica».
Ha parlato di tre punti.
«Il terzo punto sono le proposte della Commissione di un coordinamento ex ante tra gli Stati».
Qual’è il suo giudizio sulla manovra italiana?
«Non ho avuto modo di analizzarla a fondo, preferisco non esprimermi».
Lei ha appena consegnato al presidente Barroso il rapporto sul futuro dell’Europa. In questa situazione, la politica sta facendo dei passi avanti anche lei oppure no?
«Quando si stabilisce di coordinarsi di più direi senz’altro di sì, si stanno facendo dei passi avanti. Vedo anche, come fattore positivo, il superamento delle gentilezze tra Stati. Ho visto ad esempio con piacere la cancelliera tedesca, Angela Merkel, criticare quanto fatto nel 2003 dall’Ecofin. In quella occasione, a fronte della procedura d’infrazione per il superamento dei limiti posti dal patto di stabilità avviata dalla Commissione nei confronti di Germania, Francia e Portogallo, l’Ecofin decise di sospendere la procedura nei confronti dei primi due Paesi. All’epoca ero commissario, e ricordo l’amarezza per questa decisione dentro la Commissione. Questo recupero del valore della regole e della parità tra Stati è senz’altro un fattore positivo».
Finora ha elencato solo elementi positivi. Davvero non vede elementi negativi in quanto sta succedendo?
«La spinta al rigore di bilancio contemporaneo per tutti mi sembra azzardata. La tesi che sto sostenendo, anche negli incontri che sono seguiti alla presentazione del rapporto alla Commissione, è di accompagnare il rigore con la crescita spinta dall’offerta. D’altra parte, un’area monetaria per essere ottimale ha bisogno di una forte integrazione. A volte sembra che i più attenti all’integrazione delle politiche economiche siano quei Paesi che sono fuori dall’euro, mentre all’interno dell’eurozona permangono resistenze e fratture».