Ugo Tramballi, Il Sole-24 Ore 10/6/2010;, 10 giugno 2010
PARTITA APERTA SUL MERCHANDISING
La casa è ancora a Primrose e l’acqua corrente continua a essere un sogno quaggiù. Ma il laboratorio di Alfred Baloyi, detto "il magistrato" per la sua riconosciuta saggezza, non è più in un angolo di questo quartiere di catapecchie, nato per accogliere immigrati senza un tetto. La "Original Baloy Makarapa" ora è nel centro di Johannesburg e un braccio robotico comprato in Germania, il Motoman, taglia fino a mille caschi di plastica al giorno.
"L’emigrato delle miniere", questo significa makarapa, è uno dei tre simboli più popolari di questo mondiale africano. Gli altri sono ovviamente la tromba vuvuzela e il diski che vuol dire calcio: la danza che simula un palleggio di testa, di petto, di ginocchio e di piede. Non è solo una pubblicità tv passata su tutti i network del mondo: in questi giorni di festa la gente lo balla davvero. Prima che la Sony, uno degli sponsor Fifa, ci costruisse il suo stand, ogni venerdì impiegati e dirigenti scendevano in piazza Mandela dagli uffici di Sandton con la maglietta gialla della nazionale e un makarapa in testa a ballare il diski. Perché questi sono i mondiali dell’Africa.
Alfred "il magistrato" aveva inventato la makarapa nel 1979: quando nessuno si sognava un mondiale perché allora sarebbe stato folle anche sognare un Sudafrica liberato dall’apartheid. Baloyi andava ogni sabato a vedere i Kaizer Chiefs di Soweto e decise di creare un elmetto da minatore, ma più leggero e con i colori della sua squadra, per ripararsi dalle cose che allo stadio gli piovevano sulla testa. Il makarapa prese piede. Nel suo angolo di Primrose per circa 30 anni Baloyi ha creato i suoi cappelli da stadio colorandoli, aggiungendovi simboli, bandierine, scritte di ogni genere: non più di due makarapa al giorno. Poi è arrivata la Coppa del Mondo e fiutando l’affare Grant Nichols, uomo d’affari con un sacco di soldi in tasca, gli ha offerto di fare società. Il casco più minimalista, senza parafernalia calcistici, costa 200 rand, poco più di 20 euro. E ora, a 57 anni, Baloyi medita di lasciare Primrose per zone più consone al suo nuovo status. «Vedremo dopo il mondiale».
Ma c’è chi da tempo osserva da vicino "il magistrato"e i suoi elmetti. l’esercito di avvocati della Fifa. Basta una scritta sbagliata, anche la più ovvia come Soccer World Cup o il disegno della coppa, che il makarapa entra nella categoria dell’ambush marketing e viene sequestrato. A partire dal 6 febbraio 2008 sono registrati come marchi e non riproducibili senza contratto Fifa: la mascotte ufficiale, l’emblema ufficiale, il poster ufficiale, Fifa World Cup South Africa, World Cup 2010, RSA 2010 ed altri otto modi di definire il mondiale, più tutti i nomi delle città che ospitano le partite,associati a Coppa del Mondo.L’ambush marketing, l’agguato merceologico, è «il termine colloquiale applicato a ogni tentativo da parte di un fornitore di associare a un evento i suoi prodotti o servizi, senza esserne uno sponsor ufficiale».
Kulula, la linea aerea low cost sudafricana in grande espansione, aveva tentato di aggirare il blocco commerciale della Fifa con una campagna pubblicitaria allusiva: «Linea aerea non ufficiale di voi sapete cosa», cioè di un evento «non dell’anno prossimo, non dell’anno scorso ma a metà strada». Per gli avvocati della Fifa era una «campagna di guerriglia» e sono riusciti a bloccarla. Ma tutti hanno parlato di Kulula.
L’agguato merceologico è una battaglia che si combatte in tutti i mondiali. In campo scendono Kulula, i provider telefonici, multinazionali alimentari e assicuratori con denaro e uffici pubblicitari pieni di fantasia che cercano profitti senza pagare il costo di una sponsorizzazione. Ma qui in Africa è diverso, è un problema di massa. Il continente è la patria dell’ambush market, cioè della produzione delle merci in nero. In Sudafrica i disoccupati ufficiali sono 4,3 milioni. Ma diventano più del 40% della forza lavoro nera se si aggiungono tutti coloro che lavorano nel settore informale. A un mese dal mondiale la Fifa aveva già intentato 500 cause di copyright solo in Sudafrica.
Attorno al complesso sportivo di Ellis Park e del Johannesburg Stadium, centinaia di piccoli venditori e di rosticceri ambulanti vivono da anni grazie alle partite di rugby e di calcio che vi si giocano quasi ogni settimana. I vuvuzela e gli hot dog che vendono non riproducono illegalmente marchi del mondiale. Ma le loro bancarelle dovranno stare fuori dalla zona attorno a Ellis Park, nella quale sono autorizzati solo i venditori con esclusiva Fifa. Un numero crescente di sudafricani «ha la sensazione che la gallina dalle uova d’oro della nazione arcobaleno sia stata obliterata dall’uomo svizzero di Neanderthal che si è impossessato del nostro paese» dice Brandon Foot del giornale The Thinker. «La gente dice che ci siamo venduti alla Fifa».
Forse è per questo che la federazione internazionale non ha vietato il vuvuzela. Nonostante uno studio della tedesca Phonak abbia appurato che un vuvuzela con i suoi 123,9 decibel sia il più rumoroso degli strumenti da stadio: più dei corni (123,2 decibel), dei cori dei tifosi dello Stoccarda (121,4), dei campanacci svizzeri (113,6), dei tamburi da samba brasiliani (110,5) e dei tric-trac di legno (109,8). Il limite del rumore, quando diventa dannoso per le orecchie, è di 120 decibel. Gli spagnoli non sono molto amati qui in Sudafrica da quando l’anno scorso, alla Confederation Cup, Xavi Alonso chiese che il vuvuzela venisse bandito dagli stadi. La Fifa ha respinto l’appello perché, ha spiegato bontà sua Sepp Blatter, vietare il vuvuzela sarebbe stato come "europeizzare" il primo mondiale africano.