Alessandro Pasini, Corriere della Sera 10/06/2010, 10 giugno 2010
VITA DA BALLHAWKS, IN STRADA ASPETTANDO UNA PALLINA
Con il sole o con la pioggia, che faccia freddo o faccia caldo, di giorno oppure di notte, che la loro squadra vada bene o, come accade da 102 anni a questa parte, faccia schifo, insomma a ogni santa partita che il dio del baseball manda in terra, i Ballhawks vanno a Wrigley Field e non entrano mai. Si piazzano fuori in Waveland Avenue con il loro guanto da professionista e aspettano. Come un pescatore in riva al fiume, come un bambino in attesa della stella cadente, come un’aspirante moglie che sogna il bouquet della sposa, aspettano che una pallina colpita in campo da una mazza superi le tribune e arrivi lì, in strada. A quel punto il silenzio si rompe e loro si scatenano. Corrono, sgomitano, si rotolano per terra, finché uno non si prende la palla. Poi ricominciano. Aspettano. Sperano. Minuti. Ore. Fino alla fine della partita. Fino alla fine del baseball.
I Ballhawks sono un classico di questo sport, ma di solito stanno dentro lo stadio, anche se a San Francisco c’è chi si sistema con la barca nella baia perché il center field dà dritto sul mare e un fuoricampo di quelli belli fa splash nell’acqua. Ma i Ballhawks di Chicago sono un’altra cosa, la loro tradizione in America la conoscono tutti e finalmente, dopo tanti tentativi falliti da altri registi nel corso degli anni, sono diventati il soggetto di un film-documentario presentato in questi giorni negli States, diretto da Mike Diedrich e con la voce narrante del grande attore e tifoso dei Cubs, Bill Murray.
Traducibili come Cacciatori di fuoricampo – ma è evidente pure il rimando ai Nighthawks, i nottambuli (a loro Edward Hopper ha dedicato un celeberrimo quadro esposto proprio all’Art Institute di Chicago) – questi strani personaggi stanno lì dal 1916, quando a Wrigley Field, zona nord della città, cominciarono a giocare i Cubs, una delle squadre più antiche (sono stati fondati nel 1876) e più sfigate (non vincono un campionato dal 1908) della Major League.
Di generazione in generazione, giovani e vecchi, in forma fisica o con la sdraio da picnic a portata di mano, un po’ atleti e un po’ artisti di strada, tutti con una discreta dose di follia e molta pazienza, i Ballhawks si sono trasmessi la passione per questa curiosa partita parallela. Qui, in una sospensione del tempo davvero molto hopperiana, si attende con calma. Con lo studio delle traiettorie possibili (c’è la presa al volo ma anche quella di rimbalzo e dopo mischia stile football) e, via radio, della partita. Con l’amicizia, perché alla fine questa è un po’ una confraternita, si combatte ma non si litiga, e l’acchiappo di uno è quello di tutti. Con la perseveranza. E naturalmente, essendo il baseball lo sport più ricco di statistiche del mondo, con il resoconto puntuale delle imprese.
Il fenomeno riconosciuto all’epoca del film (la stagione 2004) è Gary «Moe» Mullins, 4.444 prese in 46 stagioni. Rich Buhrke, invece, a Wrigley Field ne vanta solo 1489, però è orgoglioso anche delle 513 al Comiskey Park, l’ex stadio dell’altra squadra di Chicago, i White Sox, giù a sud. Altri Cacciatori in primavera si trasferiscono in Florida, dove le squadre fanno i ritiri precampionato. Perché la preparazione è fondamentale anche per i giocatori paralleli.
In bilico fra divertimento e follia, la vita dei Ballhawks suona bizzarra a chi crede di sapere che cosa è «normale», ma per loro la storia è semplicissima da spiegare: «Il nostro è un hobby come un altro. Aspettiamo solo di prendere qualcosa, come un pescatore».
La tesi del film è che tutto ciò sia invece molto più di un bizzarro passatempo: è rituale, feticismo, capitalismo (c’è chi rivende le palline a 20 dollari l’una), letteratura («Underworld» di Don DeLillo ruota propro intorno alla storia della pallina del più famoso fuoricampo della storia, nel 1951), memoria (il regista ricorda quando vide i primi Cacciatori in azione, nell’estate del 1969, l’anno in cui il papà lo portò la prima volta a Wrigley), America e, infine, amore.
« Ballhawking is, more than anything, about love», dice in chiusura Bill Murray, ed è una buona teoria. Amore dei Ballhawks per il loro baseball da strada e amore di qualcuno nel mondo per i Ballhawks. «Sono una vedova del baseball che approva lo strano hobby di suo marito», dice rassegnata la signora Marilyn, moglie di Buhrke. E sorride mentre in cuor suo deve pensare perché perché la domenica (e, ahilei, pure i feriali) mi lasci sempre sola per «non» andare a vedere la partita?
Alessandro Pasini