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 2010  giugno 09 Mercoledì calendario

NO DEL PARLAMENTO SVIZZERO ALL’ACCORDO TRA USA E UBS

Lo slittamento del voto di un giorno e poi le voci di dissensi tra i partiti nella notte tra lunedì e martedì avevano fatto capire che qualcosa non andava. E ieri infatti a Berna è arrivata la conferma che il meccanismo si era inceppato, con la bocciatura dell’accordo con gli Usa su
Ubs da parte di una insolita maggioranza del Consiglio Nazionale (la Camera dei Deputati, ndr), formata dalla destra, cioè dalla Udc, e dalla sinistra, cioè dai socialisti e da parte dei verdi. Con 104 no contro 76 sì e 16 astenuti,l’intesa per la consegna a Washington di 4450 nomi di clienti americani di Ubs sospettati di reati fiscali, siglata nell’agosto scorso dal Governo elvetico, è stata bloccata e rispedita di fatto al Consiglio degli Stati (il Senato dei Cantoni, ndr), che pochi giorni fa l’aveva invece approvata.
Con ogni probabilità il Senato dirà un nuovo sì e a quel punto il provvedimento tornerà alla Camera, che avrà la parola definitiva, con un sì che sbloccherebbe tutto oppure con un nuovo no, senza alternative. A Berna gli osservatori continuano a far pendere la bilancia delle previsioni dalla parte del sì, ma è chiaro che i partiti di centro che sostengono l’accordo con gli Usa – e cioè liberali, democristiani, borghesi democratici – dovranno attivarsi per trovare un sostegno più ampio, a destra o a sinistra. Non c’è molto tempo, ad un nuovo voto bisogna arrivare entro le prossime settimane, anche perché l’intesa con gli Usa prevede che la consegna dei nomi avvenga al massimo a partire dal prossimo mese di agosto.
La destra Udc aveva lasciato intravedere anche alla Camera un suo sostegno ai partiti di centro, con i quali condivide la difesa del pur emendato segreto bancario. Secondo il centro e la destra, il ”rospo” dell’accordo con gli Usa va mangiato, proprio per difendere il segreto ed evitare altri attacchi alla piazza finanziaria.Ma l’Udc,a maggioranza populista ed antieuropeista, ha cambiato posizione, denunciando l’insufficiente appoggio dei partiti di centro alle sue istanze: no ad una maggiore tassazione dei bonus per i top manager, riforma leggera e non pesante del ”troppo grande per fallire” di banche ed imprese. I socialisti e parte dei verdi hanno pure votato no, ma partendo da posizioni che sono agli antipodi rispetto alla Udc: caduta più ampia del segreto bancario, limiti marcati ai bonus, riforma larga per il ”too big to fail”.
Il Governo, che in Svizzera peraltro è formato da tutti i principali partiti, e lo schieramento di centro sono stati quindi sconfitti nella difesa dell’accordo con gli Usa. Ora i negoziati riprenderanno probabilmente in linea prioritaria con l’Udc, che nonostante il no continua ad essere meno distante della sinistra, su questi temi, dal Governo che porta la responsabilità dell’accordo con Washington.
Il fisco Usa l’anno scorso aveva messo nel mirino ben 52mila nomi di clienti americani di Ubs sospettati di reati fiscali. Il Governo elvetico aveva già consegnato con procedura d’urgenza circa 250 nomi, poi aveva firmato l’intesa sui 4450 nomi. All’inizio di quest’anno il Tribunale federale amministrativo (Taf) in Svizzera ha però accolto il ricorso di alcuni clienti contro la consegna dei dati. Per superare questo ostacolo, al Governo elvetico non rimaneva che andare in Parlamento per far approvare l’intesa,come è accaduto.
Le associazioni svizzere delle banche e delle imprese hanno espresso delusione per la bocciatura di ieri alla Camera. «Da alcuni partiti è stata fatta propaganda – dice Claudio Generali, presidente dell’Associazione Bancaria Ticinese (Abt)su temi che sono nazionali e che non c’entrano con l’accordo. Credo che comunque l’Udc, che è abbastanza vicina al mondo dell’economia, possa tornare verso il sì». Da oltre oceano Doug Shoulman, direttore dell’Irs, il fisco americano, non ha voluto commentare il no della Camera elvetica ed ha solo ribadito che gli Usa si attendono che l’intesa sui 4450 venga applicata. Sul versante elvetico, per inciso, ci sarebbe anche la possibilità di tempi più lunghi a causa di un referendum, che però in questo caso è facoltativo. Ma prima di questo eventuale scoglio, l’ostacolo vero da superare è ora il voto parlamentare definitivo.