Serena Danna, Il Sole-24 Ore 9/6/2010;, 9 giugno 2010
A MOSCA IN PUNTA DI PIEDI
Chiunque abbia imparato a dire «mamma » quando Berlino era ancora Est e Ovest, avrà tremato alla vista di Mikhail Bary?nikov, il grande ballerino e coreografo russo, nei panni del fidanzato di Carrie in Sex and The City . L’étoile del Bolshoi esiliato in America nel ’76,simbolo dell’arte che resiste in punta di piedi alla dittatura sovietica, finito nella più americana delle serie tv americane. Corre l’anno 2005, alla fine del telefilm «cult» degli anni ’00 mancano ancora parecchie puntate. Ma la presenza del danzatore tra i capricci e le griffe delle quattro ragazze di Manhattan fa tanto ultimo episodio della "guerra fredda" culturale tra Urss e Usa.
Sarà perché tanti ballerini formati nelle accademie russe ma diventate star nell’Occidente libero ”da Rudolf Nureyev ad Alexander Godunov – appartengono alla nostra memoria politica, che Julian e Joy sembrano una dolce vendetta della storia.
Julian è nata in Texas dodici anni fa. Ha i capelli corti à la garçonne e il corpo esile di una farfalla. Viene da una famiglia di danzatori: due sorelle ballerine professioniste in Europa e un fratello di nove anni, Nicholas, che ha imparato a camminare sulle note di Cajkovskij. Ha rigore e pazienza, che ha imparato guardando su YouTube Natalia Makarova nel Mandarino meraviglioso di Ulf Gaad. Julian sa che c’è un unico posto per diventare come la regina del Kirov, e si chiama Mosca. Per questo ha fatto le valigie e, accompagnata da mamma Teresa, è arrivata all’Accademia del Bolshoi.Joy,che di anni ne ha 16, viene dalla California. Anche se ha i colori e la vitalità della sua terra, ha dichiarato al New York Times:«Non mi sono mai sentita di appar-tenere all’America.
Voglio essere russa. Ho ricevuto una chiamata: la Russia mi ha chiamata».
Julian e Joy sono solo due dei giovanissimi ballerini e ballerine che da ogni parte d’America stanno bussando alla porta dell’Accademia del Bolshoi. Il futuro non è a New York o Londra, ma tra le sale vicine al palco da cui Stalin contemplava la superiorità artistica del suo popolo e, pochi metri più in là,in una stanza segreta ”venuta alla luce solo dopo la caduta dell’Unione Sovietica – i leader politici decidevano le sorti del mondo.
Da quattro anni la Russian American Foundation, organizzazione non profit con sede a New York, ha un programma che consente agli americani di andare a formarsi inquello che resta un luogo d’eccellenza della danza mondiale.
«L’Accademia è una delle istituzioni più esclusive al mondo», racconta Rina Kirshner, vice presidente dell’associazione. «L’interesse degli americani per la formazione russa è recente.
Come lo è la disponibilità del Bolshoi ad accettarli tra studenti di corso».
L’apertura della scuola si limita alle iscrizioni. Nessun interprete di lingua russa o stage di preparazione. Gli studenti stranieri devono mettersi presto al pari dei compagni russi. La spiegazione arriva da Marina Lenova, rettrice dell’Accademia: «La lingua della danza è il francese. Insegniamo gli stessi programmi a tutti gli studenti e quelli internazionali, se riescono ad arrivare alla fine, ricevono lo stesso diploma dei russi.L’unica differenza è che gli stranieri devono pagare, mentre per i russi la scuola resta gratuita». A dispetto della normalità con cui i russi vedono questa storia, per ogni ragazzino straniero che riesce a entrare al Bolshoi,c’è una pagina riservata su un quotidiano nazionale, e la scelta dell’aggettivo ricade spesso tra «unico» e «primo». Matthew Leonardi per esempio. «L’unico americano accettato al Bolshoi nel 2008», titolava il Los Angels Times descrivendo la storia di un moderno Billy Elliot di San Bernardino. Come il protagonista del film, figlio di un minatore nell’Inghilterra thatcheriana del 1984 che diventerà un grande ballerino, anche Matthew si vergogna di indossare fuseaux «da donna».Ma se il papà della pellicola diretta da Stephen Daldry reagisce male alla vista di Billy con i pantacollant, la mamma di Matthew rassicura il suo pupillo: «Superman indossa i fuseaux».
O Henry Perkins,il 15enne dell’Hampshire definito dal Guardian «il secondo inglese a essere accettato dalla scuola in 230 anni di storia».
Quello che accomuna i ragazzini, dagli Stati Uniti all’Europa, è la difficoltà di recuperare i 19mila dollari l’anno necessari per frequentare la scuola. Se nel caso di Matthew è stata la comunità di San Bernardino, la città del MacDonald cantata da Frank Zappa in One size fits all , a finanziare parte della retta, i genitori di Joy e Julian ancora non sanno come riusciranno a pagare. Ma l’importante è andare avanti. Diventare russi. Più bravi dei russi. «Impareranno la lingua e la cultura russa», promette Rina.
C’è da scommettere che ce la metteranno tutta questi piccoli cigni d’Occidente. In fondo, anche se parla russo, si tratta sempre di sogno americano.