Lauretta Colonnelli, Corriere della Sera 09/06/2010, 9 giugno 2010
NATURALISTICO ”600
Mario de’ Fiori, per i romani, è la stradina che congiunge via Vittoria con via della Mercede. Si chiama così dalla metà del Seicento, quando nella via andò ad abitare Mario Nuzzi, meglio noto come Mario de’ Fiori. Considerato il più grande e prolifico pittore naturalista romano del Seicento, fu talmente famoso da avere l’intitolazione della strada dove risiedeva mentre era ancora vivo e operante. I suoi lavori si possono ammirare nella mostra «Flora Romana. Fiori e Cultura nell’arte di Mario de’ Fiori (1603-1673)», aperta a Villa d’Este a Tivoli fino al 31 ottobre. Particolarmente interessante, perché si tratta della prima retrospettiva dedicata all’artista. Oltre a una sessantina delle sue opere, tra le quali alcune inedite o poco note, ospita anche i lavori dei suoi allievi, degli antagonisti e dei seguaci, che danno un’idea del contesto culturale e sociale in cui Mario de’ Fiori si formò e visse.
Altrettanto suggestivo è l’allestimento nelle sale di Villa d’Este, dove le essenze dipinte dagli artisti «fioranti», un vero trionfo di forme e colori, dialogano con i frutti e fiori dei festoni dipinti sulle pareti e con quelli sbocciati nei giardini che rivelano la loro presenza oltre le grandi finestre. Si consiglia inoltre caldamente il catalogo (De Luca Editori d’Arte), curato da Francesco Solinas, che presenta i primi risultati di una indagine archivistica ancora in corso, ripercorre la vita e la formazione artistica di Mario de’ Fiori, le gare degli antiquari per acquistare le sue tele, l’enorme successo che le aveva fatte arrivare «per tutte le case principali di Roma e per le più rinomate d’Europa». Racconta anche la passione per i fiori e per i bulbi esotici che contagiò le più potenti famiglie dell’epoca, pronte a pagare un bulbo di tulipano quanto un grosso diamante o una casa nel centro di Anversa.
Lo stesso Nuzzi era stato istruito fin da bambino alla floricoltura dal padre Sisto, ricco possidente con terreni a Penna in Teverina, Umbria, e collezionista di fiori preziosi, che curava personalmente. Raccontano i biografi dell’epoca: «Disse allora il figlio al padre, che voleva prima che andasser male disegnarli, e disegnati che gli ebbe, conforme aveva già principiato a far qualche quadretto, e che gli pareva di maneggiar competentemente bene i colori, li colorì tali quali egli erano in una tela al naturale». La bucolica parabola anticipa la partenza del giovane Mario per Roma, con l’intento di formarsi nella bottega dello zio materno Tommaso Salini, valente seguace del Caravaggio e stimato pittore naturalista. Era il 1620. Mario restò nella casa-bottega dello zio, in via Paolina (l’odierna via del Babuino) fino alla morte di quest’ultimo, nel 1625. Tre anni dopo si sposa con la giovanissima Ortensia de Curtis e va ad abitare in vicolo della Penna, dietro piazza del Popolo. Ha ereditato i clienti dello zio e ritrae i fiori rari che questi coltivavano nei loro giardini. Comincia a dipingere anche ad olio su specchio, un tecnica abbastanza complicata che lui porterà alla perfezione. Uno di questi quadri si può vedere in mostra: raffigura dal vivo iris, garofani, passiflore, giacinti e anemoni in un vaso dell’estremo Oriente. Sembrano esemplari appena colti, probabilmente coltivati nel celebre giardino Barberini alle Quattro Fontane, costruito e piantato per volere del cardinal Francesco dal «peritissimo signor Tobia» Aldini di Cesena, il più famoso tra i giardinieri romani della prima metà del secolo.
Quando il pittore si trasferisce in strada Felice (l’attuale via Sistina), tra il 1647 e il 1648, viene registrato per la prima volta come Mario de’ Fiori. Nel 1650 rimane vedovo, si risposa con Susanna Passeri e si trasferisce in un palazzetto di sedici stanze, più soffitte, cucine, stalle, un giardino con «ventidue vasi di melangoli», nella via che ancora oggi porta il suo nome. Ormai ricco e famoso, vi resterà fino alla morte, avvenuta nel 1673. Al successo avevano contribuito la perizia nel dipingere e le conoscenze giuste alle quali lo aveva introdotto lo zio. Ma anche l’aver trasformato la pittura dei fiori. Fino al Cinquecento, infatti, i quadretti con allegoriche composizioni di fiori di campo o di fioriture preziose racchiudevano meravigliosi rebus sacri, preghiere alla Vergine e intere narrazioni della vita di Cristo. Verso la fine del secolo, con la nuova sensibilità scientifica maturata in seno alla Riforma cattolica, si cominciò ad affermare il genere naturalistico della pittura di fiori. Un genere che Mario Nuzzi seppe esprimere nel modo più raffinato.
Lauretta Colonnelli