Il Foiglio 08/06/2010, 8 giugno 2010
LIBERISTI DI GAUCHE
Roma. Dopo la manovra sui conti pubblici, sarà il momento di ”libera impresa in libero stato”. Continua a far discutere, suscitando entusiasmi inattesi e qualche dubbio, l’idea di approvare una norma ”rivoluzionaria” per rilanciare l’agenda riformatrice del governo. ”Tutto è libero tranne ciò che è vietato dalla legge penale o europea. Per due o tre anni”, così l’ha spiegata il ministro dell’Economia, Giulio Tremonti, mostrando per una volta il suo profilo di liberista-contro-lo-stato-criminogeno piuttosto che quello di anti-mercatista-incallito. Tanto da dirsi pronto, di concerto con il Cav., a rimettere mano all’articolo 41 della Costituzione, quello sulla libertà d’iniziativa economica.
’L’ultimo comma dell’articolo 41 tradisce un’eredità che è quella della sinistra social-comunista di un tempo”, dice al Foglio Alberto Alesina, economista dell’Università di Harvard: ’In un’ottica liberale, togliere lacci e lacciuoli non può che essere positivo, a maggior ragione in un paese come l’Italia nel quale i costi burocratici sono altissimi”. Tanto che l’editorialista del Sole 24 Ore non capisce ”sinceramente” perché la vacanza regolatoria debba essere solo temporanea e non invece strutturale: ’La manovra sui conti pubblici di Tremonti, se non sarà annacquata in Parlamento, costituirà un buon passo in avanti, ma da sola non basta. La crescita va rilanciata e i mercati apprezzerebbero misure drastiche in questo senso”. Ciò non toglie, secondo Alesina, che ”una politica liberalizzatrice si può fare pure a Costituzione invariata”.
Senza toccare la Carta, per esempio, ”si può fare una riforma liberale del mercato del lavoro o delle professioni, oppure si possono ridurre i tempi della giustizia civile”, conclude Alesina. Sono i tasti su cui è tornato a battere anche Francesco Giavazzi, economista della Bocconi, in una intervista apparsa domenica sul Sole 24 Ore, nella quale l’editorialista del Corriere della Sera non ha chiuso la porta in faccia alla ganza idea tremontiana.
Nessun tabù anche per Nicola Rossi, economista e deputato del Pd, che condivide punto di partenza, svolgimento e conclusioni dell’approccio tremontiano: ’Da tempi non sospetti ripeto che in Italia tutto sembra costruito perché ogni cosa resti sempre dov’è e com’è – dice Rossi al Foglio – quindi lo smantellamento della burocrazia è necessario. Allo stesso tempo non è più sufficiente il mantra della semplificazione della Pubblica amministrazione. Quest’ultima deve fare meno per fare meglio”. Perciò percorrere la strada ”delle riforme a costo zero è cosa sacrosanta. Perché se si esclude l’abbassamento della pressione fiscale, per cambiare le regole del gioco non serve spendere”. Qualche dubbio sulla realizzabilità della svolta liberale del governo del Cav. resta: ’La linea politica della maggioranza sembra un’altra, considerato che in Parlamento sta difendendo la riforma forense più corporativa che abbia mai visto”. Mentre sul tema dei global standard, le regole per i mercati internazionali che hanno costituito un altro cavallo di battaglia tremontiano, il ministro dell’Economia dovrebbe forse ricredersi: ’Si rischia di confondere l’emergenza dettata dalla crisi con il regime ordinario: in Italia lo stato e le regole sono presenti oltre ogni ragionevolezza”. Tra i liberal dell’opposizione, anche il senatore Enrico Morando, in un’intervista alla Stampa, si è detto pronto a discutere l’articolo 41 della Costituzione, in modo da andare nel senso auspicato da Tremonti: ”Rendere possibile tutto ciò che non è vietato”.
Più scettico sull’efficacia di una riforma così concepita è Carlo Scarpa, ordinario di Economia politica presso l’Università di Brescia e animatore del sito lavoce.info: ’Sul principio sono d’accordo, ma è difficile ritenere che una modifica della Costituzione possa avere ricadute dirette e positive sulle imprese”. Per essere più efficace, la politica dovrebbe ”razionalizzare tutti gli adempimenti per le imprese – dice Scarpa al Foglio – partendo dall’approvazione dello sportello unico e da un ricorso più massiccio alle autocertificazioni”. Che poi sembra l’idea di fondo del Cav., che ha così declinato l’uscita tremontiana: ’Prevedere per due o tre anni la totale autocertificazione per le piccole e medie imprese e per l’artigianato”. Ma non basta, secondo Scarpa, anche perché ”in Italia la riforma fiscale – nel senso di una riduzione delle aliquote ” sarebbe dieci volte più importante”. Tito Boeri, professore di Economia alla Bocconi e fondatore de lavoce.info insieme a Giavazzi, invece taglia corto: ’Questo doveva essere l’anno delle riforme e invece è l’anno delle sparate”. Imbarcarsi in un processo di riforma costituzionale richiede ”tempi troppo lunghi” e distoglie l’attenzione da quello che già si potrebbe fare portando a compimento il progetto dello sportello unico. Poi ci sono due obiezioni nel merito di un’eventuale deregulation molto spinta: primo, ”il problema in Italia non è tanto quello del tasso di apertura delle imprese, ma il fatto che queste non crescono e non si ingrandiscono a sufficienza”; secondo, ”se il Pdl vuole che qualsiasi società straniera o immigrato cinese possa aprire un’impresa nel nostro paese senza rispettare regola alcuna, lo faccia sapere anche agli elettori, i suoi in primis”. Resta il fatto che anche secondo Boeri il problema ”di lungo periodo” è quello della ”crescita”, da non affrontare con misure emergenziali.