Guido Gentili, Il Sole-24 Ore 8/6/2010;, 8 giugno 2010
SCOSSA LIBERALE: DISCUTERNE NON SIA TAB
Modificare l’articolo 41 della Costituzione con una scossa liberale? Per rompere le catene burocatico-stataliste che frenano l’attività d’impresa, il governo ha alzato la posta, mettendo sul tavolo un’idea che farà discutere.
C’è chi ha visto nell’iniziativa il tentativo di "parlar d’altro", chi la reputa interessante e chi inutile, chi mette l’accento sui tempi lunghi, chi rilancia la proposta parlamentare bipartisan di Raffaello Vignali (Pdl) per un nuovo statuto delle imprese minori che integri proprio l’articolo 41 (si veda questa rubrica del 16 febbraio 2010).
La materia è sensibile. Proprio ieri il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, pur non facendo diretto riferimento alla modifica dell’articolo 41, ha detto che la regolamentazione dell’attivita d’impresa deve «contribuire a tutelare la stabilità finanziaria e sociale». Parole ben soppesate. Si discute infatti avendo sullo sfondo i "Rapporti economici" regolati dalla Costituzione nella sua prima parte, da molti (politici e accademici) ritenuta "intoccabile".
Le parole pesano, eccome. E una fruttuosa, libera discussione nel 2010 sull’articolo 41 («L’iniziativa economica privata è libera.(...) La legge determina i programmi e i controlli opportuni perché l’attività economica pubblica e privata possa essere indirizzata e coordinata a fini sociali») potrebbe prendere spunto dai lavori della Costituente. Dove la battaglia fu dura.
Fu allora chiara, già nella Sottocommisione nel 1946, la convergenza tra il cattolico Giuseppe Dossetti («Il controllo sociale della vita economica è una necessità assoluta, imposta dalla vita») e il comunista Palmiro Togliatti. Il liberale Aldo Bozzi (marzo 1947) osserva: l’iniziativa privata è libera, salvo il rispetto di certi limiti. Dunque, si chiede, vige il principio liberale o quello dell’intervento statale? Risponde Piero Calamandrei: «L’uno e l’altro, il conservatore e il progressista, troveranno argomenti per sostenere che la Costituzione dà ragione a lui».
Maggio 1947. I comunisti puntano alla formula per la quale «lo stato interverrà per coordinare e orientare l’attività produttiva dei singoli e di tutta la nazione secondo un piano che assicuri il massimo di utilità sociale». L’emendamento non passa. Giuseppe Arata, socialista, propone: «La legge stabilisce le norme, i controlli e i piani opportuni perché le attività pubbliche e private siano dirette e coordinate ai fini di utilità sociale ». battaglie di parole, ma si confrontano mondi diversi. Il dc Emilio P. Taviani: via le parola "piani" e sostituire "dirette" con "orientate" e "utilità sociale" con "fini sociali". Arata: va bene, ma scriviamo "programmi e controlli opportuni". Taviani: approvo ma insisto per i "fini sociali". Arata: accettiamo. Nella stessa seduta, si consuma la sconfitta del liberale Luigi Einaudi che vorrebbe inserire «La legge non è strumento di formazione dei monopoli; ed ove questi esistono li sottopone a pubblico controllo a mezzo di amministrazione pubblica delegata o diretta». Proposta bocciata, la legge antitrust e la relativa authority arriverà solo nel 1990.
Gran dibattito, quello del 1946-47 sull’articolo 41. Passati più di sessant’anni, non sarebbe certo scandaloso riprenderlo evitando la levata di scudi preventiva.