EMANUELA AUDISIO, la Repubblica 8/6/2010, 8 giugno 2010
NELSON MANDELA - L’EROE CHE TUTTI ASPETTANO
Madiba a 92 anni è ancora il più ricercato. Il meno libero di tutti. Dopo 27 anni di galera è ancora prigioniero. Della sua fama e del mondo. Il detenuto numero 466/64 che da Robben Island, da una cella di appena 1.95 metri, con una sola feritoia di 30 centimetri, continuava a dire no, ora è un uomo costretto a dire sì. Lo tirano tutti per la giacca: il Sudafrica, il suo governo, il suo partito, la Fifa, i dirigenti del calcio mondiale.
Tutti lo vogliono: fa niente se è vecchio, malato, quasi paralizzato. Se da mesi non compare più in pubblico. Solo lui può benedire la prima Coppa del Mondo in Africa. Perché è stato il suo carisma, le sue parole, a portare il pallone in questo continente. Il mondiale l´hanno dato a lui. A Nelson Mandela, padre della patria. E adesso tutti vogliono vederlo, per rendersi conto che è vero, che non è un sogno, e che venerdì nel giorno dell´inaugurazione della partita Sudafrica-Messico, lui sarà lì in tribuna, nello stadio di Soccer City, a Soweto, con la maglia verde e oro dei Bafana Bafana, anzi con quella numero 4 del capitano Aaron Mokoena.
Perché Mandela è l´icona che il pianeta riconosce, il grido di libertà che tutti ascoltano, il gigante che tirava di boxe e che in carcere formò una squadra e si mise a giocare a pallone. A chi volete che interessi fuori del paese la faccia dell´attuale presidente, il terzo, Jacob Zuma, poligamo, il cui tradimento della ex First Lady, sua seconda moglie Nompumelelo Ntuli, con una guardia del corpo è sulla prima pagina di tutti i giornali? Così come le scuse di lei: una capra sgozzata in segno di pentimento. Il Sudafrica ha molti personaggi importanti e premi Nobel della letteratura: da Nadine Gordimer a John Coetzee, dall´arcivescovo Desmond Tutu, Nobel della Pace, a Barbara Hogan, la donna bianca che ha trascorso più tempo in galera (8 anni) durante l´apartheid, ora ministro per le imprese pubbliche, per «Time» tra le cento figure più importanti del mondo, soprattutto perché da ministro della sanità ha fatto dimenticare chi era seduta al suo posto, l´imbarazzante «Mrs Garlic», la signora Tshabalala-Msimang, che pensava di debellare l´Aids con aglio e limone. Il Sudafrica ha attrici bellissime come Charlize Theron e artisti impegnati come Johnny Clegg, soprannominato lo zulu bianco.
Ma il mondo se ne frega delle belle facce alla moda, dei vincenti di oggi, vuole solo Mandela. Vuole rivederlo ancora una volta, essere illuminato e rassicurato dal suo sorriso. Non importa se il calcio è ormai una mafia multinazionale, se a Soweto esiste una lista di 16 miliardari neri, se il nuovo centro commerciale Maponya, frequentato dagli ex nullatenenti del ghetto, sembra quello di Miami. E´ ancora Mandela il simbolo di questa Africa che esordisce come paese organizzatore. Nessuno ha mai dimenticato il suo modo dignitoso di fare gol, quando l´11 febbraio 1990 lasciò il penitenziario di Victor Vester in macchina. E prima dell´uscita pregò l´autista di fermarsi e scese. «Non metterai più piede fuori», gli aveva detto ventisette anni prima il direttore del carcere di Robben Island. E lui con la vendetta della saggezza aveva voluto fare a piedi quei cinquanta metri che lo separavano dalla libertà. Ma adesso l´uomo è stanco, ormai riceve solo nella sua casa a due piani nel quartiere di Houghton, seduto sempre sulla stessa poltrona. Per stare in piedi ha bisogno di aiuto.
Il presidente della Fifa, Joseph Blatter, ribadisce che Mandela ci sarà. Anche il governo e l´Anc, partito al potere, assicurano la sua presenza. Peccato che la famiglia sia di diverso avviso. A parlare è la nipote, Mandla Mandela: «Io, anzi tutti noi parenti, abbiamo deciso che sarebbe davvero un rischio portare fuori mio nonno, che ha 92 anni, in una fredda notte d´inverno per andare a vedere una partita di calcio. Noi, come sudafricani, e la comunità internazionale, dobbiamo iniziare a tener conto della sua età. Io so per certo che lui venerdì non andrà alla partita». Consideratelo come vostro nonno, proteggetelo, dice la nipote. Non costringetelo a sforzi che non può sopportare. Ma per i 48 milioni di neri del paese, per i 4 milioni di bianchi, per i 3 milioni di meticci, Madiba deve scendere dal letto e avviarsi allo stadio. Dice Lilian Thuram, campione del mondo nel ´98 con la Francia: «Ho incontrato Mandela nel ´99 in occasione di un´amichevole in Sudafrica e c´era un atmosfera surreale, tutti erano isterici, volevano toccarlo, stringergli la mano, lui invece era sorridente e sereno». La stessa isteria di oggi, che non lo lascia libero, finalmente in balia solo di se stesso. Nelson Rolihlahla Mandela, continua a tenere fede al suo nome che significa «colui che crea problemi». Lui lo sa e l´ha detto: «Sports has the power to change the world». Lo sport può cambiare il mondo. Chissà se intendeva anche con un posto vuoto allo stadio. «Sì, sono sempre in prigione» confessò al filosofo francese Jacques Derrida. Ha sempre saputo anche questo. Che un mito non può lasciare il campo.