GIULIA ZONCA, La Stampa 7/6/2010, pagina 42, 7 giugno 2010
ARCHUNDIA , L’ARBITRO BUONO
L’Italia è un ricordo indelebile, Benito Archundia è l’arbitro dell’esordio azzurro, contro il Paraguay il 14 giugno, e si aspetta che qualcuno lo abbracci in quella partita. Ci ha preso l’abitudine dopo che Materazzi gli è piombato addosso al gol di Grosso con la Germania, nel 2006.
Le era mai successo prima?
«No e ci ho messo un bel po’ a capire cosa stava succedendo anche in quella semifinale. Io stavo guardando il guardalinee, non ho visto Materazzi partire e me lo sono trovato a mezzo metro. Sono rimasto impalato con il braccio alto, incredulo».
Si è spaventato?
«Marco è un gigante e io sono 1,70, ho pensato: quello mi stritola».
Che gli ha detto?
«Calmati. Era invasato, voleva alzarmi da terra, gli ho dovuto urlare: guarda che sono un arbitro, resto imparziale, vai da qualcun altro. Insomma a ripensarci avrei dovuto ricambiare perché era una reazione straordinaria e non sarei stato considerato di parte. Così glielo dico ora: Marco ti devo un abbraccio».
Qualcuno ci ha riprovato?
«Ogni tanto mi fanno delle finte. Li vedo partire a braccia aperte, ma è solo un accenno. Piuttosto non sa quante foto con l’immagine del 2006 ho ricevuto. Me le spediva ogni collega e sfottevano pure. Dicevano: dopo 44 giorni di ritiro Materazzi ha rischiato grosso».
L’esultanza impazzita l’ha fatta diventare più popolare?
«Sono ufficialmente l’arbitro dal volto umano. Già detesto usare i cartellini, me li devono proprio tirare fuori, cioè ovvio che succede ma cerco di imporre le regole lasciando giocare. Dopo quella semifinale ho dato una possibilità alla categoria. Non siamo solo cattivi ragazzi».
difficile arbitrare l’Italia?
«No, avete l’atteggiamento ideale. Le mamme vi educano al rispetto e anche i ribelli subiscono il condizionamento. Ogni tanto fate le vittime, ma è un attimo. Ho diretto l’Italia quattro volte e non ho mai avuto problemi. Io sono innamorato del pallone, voi pure. Andiamo d’accordo. Ogni fine settimana guardo il vostro campionato».
La gara più difficile che le è capitata?
«Ero giovane, nel 1994, una finale in Messico. Si sono picchiati per tutta la partita e alla fine protestavano per ogni singolo fischio. Hanno scritto una lettera alla federazione per dire che non ero in grado».
Aveva fatto degli errori?
«E chi non ne fa? Ma per gli arbitri non ci possono essere errori ci sono solo decisioni e bisogna imparare a muoversi come l’uomo che comanda in campo, a non mostrarsi vulnerabili. Per questo lì per lì non ho abbracciato Materazzi».