Francesco Battistini, Corriere della Sera 8/6/2010, 8 giugno 2010
LA SIDA DELL’IRAN: NAVI DI AIUTI PER LA STRISCIA - GERUSALEMME – I
bidoni sono lì. Sequestrati nel porto di Ashkelon. Ce li avevano messi mesi fa, quando i servizi dello Shin Bet li ripescarono davanti alle spiagge israeliane. Ce li avevano lasciati. Nessuno aveva mai capito chi li avesse buttati in mare, e come mai, e quando. Ieri, quei dieci bidoni d’esplosivo sono tornati in mente. E qualcuno è andato a riprenderli. Perché in mare, rivelano i servizi di Gerusalemme, è da un po’ che dura una «guerra segreta» fra Turchia, Israele e Hamas. E ora il sospetto è che i fusti c’entrino qualcosa col commando di sette sub, palestinesi delle Brigate Al Aqsa di Gaza, che all’alba d’un altro sanguinoso lunedì è stato sorpreso e messo al centro del mirino da motovedette ed elicotteri della Marina, al largo del campo profughi di Nuseiret. Non c’è stata battaglia: 4 morti, un disperso e due scampati, fra questi un capo militare del Fatah di Abu Mazen. Per ammissione dei palestinesi, il gruppetto «non aveva armi». Ma con mute e bombole, si stava addestrando per un attacco via mare. A inaugurare un’intifada delle navi, come da tempo s’invoca nella Striscia.
Gaza, ancora Gaza. La strage sulla nave turca riagita le acque. Costringendo Israele a fare i conti con un blocco che era quasi riuscito a far dimenticare. «L’Iran vuole prendere il controllo della Striscia», denuncia Franco Frattini, ministro degli Esteri, e la prova viene dalla guida suprema di Teheran, Khamenei, che offre scorta armata ai pacifisti che ritenteranno di rompere il blocco.
Anche la Mezzaluna rossa iraniana annuncia una nave d’aiuti, o due, destinazione Striscia. Forse con una scorta di pasdaran. Tanto interesse non emoziona Hamas, «non vogliamo Paesi stranieri qui», ma preoccupa il premier Netanyahu: «Altre flottiglie sono in arrivo, la sfida non è finita». Urge contromossa, mentre l’Ue propone (per bocca del francese Kouchner) una forza internazionale che controlli le navi umanitarie: questione di ore, Netanyahu dovrebbe dire sì alla commissione d’inchiesta sulla strage di pacifisti. Una commissione nazionale, anche se Usa, Onu, Ue e Quartetto ne chiedono una mista. Ma pur sempre una commissione, nonostante l’ondeggiare di Ehud Barak: «Esamineremo la legalità del blocco – diceva ancora ieri il ministro della Difesa ”. Ma non consentirò mai che i nostri soldati siano indagati. Né in ebraico, né in inglese».
Il mondo parla un’altra lingua. E perfino un amico d’Israele come Joe Biden, il vicepresidente Usa, dice che «si stanno cercando nuovi mezzi» per alleggerire la situazione di Gaza. Una serratura dovrà aprirsi in Egitto. Mubarak promette che il valico di Rafah resta aperto «senza termine». Ma il termine c’è, eccome se c’è: entro fine estate, gli egiziani avranno costruito tutta la loro barriera antitunnel, 13 km d’acciaio ficcati nelle sabbie profonde del deserto, e «tutti i beni in entrata e in uscita – spiega un diplomatico del Cairo’ dovranno viaggiare in superficie: noi dovremo vederli. Gaza dovrà tornare sotto gli occhi del mondo».
C’è già, per la verità. E se ne accorge il premier turco Recep Erdogan, così popolare in patria da pensare perfino d’andare al voto anticipato. «La Striscia è una causa storica per la Turchia», ripete, ma lo è soprattutto per lui: a Gaza, un neonato è stato battezzato col suo nome; il presidente siriano, Assad, gli riconosce d’avere «impedito a Israele d’ostacolare la pace»; il presidente palestinese, Abu Mazen, gli chiede di mediare nella lotta con Hamas; il Pakistan, l’Afghanistan, la Lega araba lo indicano come l’homo novus della politica mediorientale... Più che lui, «l ’Ahmadinejad 2», come lo chiamano i giornali israeliani, a Gerusalemme temono il suo uomo ombra: Hakan Fidan, 42 anni, nuovo capo del Mit, il servizio segreto turco. Che tutti indicano come vero motore delle ultime mosse: dalla flotta pacifista, all’asse privilegiato con Teheran. «Erdogan lo ascolta anche nelle virgole». Fino a sei mesi fa, per spiare l’Iran, Israele poteva contare su basi segrete in Turchia. E Ankara prestava occhi e orecchie, per il nucleare degli ayatollah. Poi è arrivato Fidan. E il Mossad è rimasto cieco e sordo.