FABIO POZZO, La Stampa 7/6/2010, pagina 22, 7 giugno 2010
LA NUOVA ATLANTIDE PUO’ ASPETTARE
Contrordine: le isole del Pacifico non stanno «annegando» sotto il peso del riscaldamento globale e il conseguente innalzamento dei mari. Anzi, in certi casi stanno pure «crescendo»: la loro altitudine sul livello dell’Oceano è aumentata.
Qualche esempio? Tuvalu «spunta» di soli 4,5 metri dalla superficie del Pacifico e i più pessimisti l’hanno condannata ad essere una delle prime isole che verranno sommerse dalle acque a causa del rivolgimento del clima. Un nuovo studio, però, smentisce le previsioni più nere: sette isole dei suoi nove atolli sono «cresciute» per più del 3% dal 1950 ad oggi. Una, Funamanu, ha addirittura guadagnato 0.44 ettari, quasi il 30% d’incremento rispetto alla superficie precedente. E ancora, Betio, Bairiki e Nanikai, le tre isole maggiormente popolate della vicina Repubblica di Kiribati, si sono ingrandite rispettivamente del 30% (36 ettari), 16,3% (5,8) e del 12,5% (0,8).
Facciamo un passo indietro. Da anni, ormai, ambientalisti e scienziati sono in allarme per il rialzo termico della Terra, evento che favorisce lo scioglimento dei ghiacci, e dunque l’innalzamento dei mari. Senza contare che l’acqua stessa si riscalda, si espande e aumenta di livello. Il rischio è che in un futuro molto vicino gli oceani, ma se è per questo anche il Mediterraneo, si «gonfino», andando a cancellare coste, ma soprattutto le isole più «basse».
Una «campana da morto» il cui tocco è rimbombato soprattutto nel Pacifico, dove gli atolli a pelo di blu sono una miriade. Le Maldive, ad esempio, che ne ha 1193 in media a 1,5 metri sopra il livello del mare e che, per questo, vanta il non invidiabile record di nazione «più bassa» del mondo. Qui, il pericolo di una nuova Atlantide è molto sentito: nell’ottobre scorso i 14 ministri del governo si erano riuniti sott’acqua, con maschera e bombole, per sensibilizzare l’opinione pubblica internazionale. Il presidente Mohamed Nasheed, a fronte di un «the end» stimato nel 2100, aveva chiesto una revisione degli obiettivi per il dopo Kyoto. Appello che aveva poi rilanciato il premier di Grenada, Tillman Thomas, presidente di turno dell’Aosis, l’Alleanza dei piccoli Stati insulari (42 Paesi). «Nessuna nazione o gruppo di Paesi - aveva detto - ha il diritto di condannare un popolo».
Popoli come quello delle isole Carteret, Pacifico del Sud, 2600 persone, che oggi è sulla via dell’evacuazione. Il trasferimento, in verità, sarebbe dovuto cominciare già nel 2005 ed essere completato nel 2007, ma l’operazione si è prolungata per la resistenza della popolazione. Nonostante la previsione choc che entro il 2015 l’arcipelago sarà quasi totalmente sommerso. Ma, in questo caso, c’è chi corregge il tiro. «Non è corretto parlare per le Carteret di isole sommerse, bensì di erosione, che ha cambiato le loro forme, costringendo gli abitanti a spostarsi altrove» dice il professore Paul Kench, dell’Università di Auckland.
Kench, insieme con il collega Arthur Webb del «South Pacific Applied Geoscience Commission» con sede alle Fiji è autore di uno studio «contro corrente», pubblicato dalla rivista «New Scientist». Studio che smentisce l’ipotesi della fine certa delle isole più basse del Pacifico. Su quali basi? I due studiosi hanno osservato da «vicino», con foto aeree e immagini satellitari ad alta risoluzione 27 isole negli ultimi 60 anni e oggi, alla luce della prima analisi dei dati, dicono che il livello locale dell’Oceano nel periodo in esame «è aumentato solo di 120 millimetri, 2 l’anno in media».
Non solo: lo studio dimostra anche che solo quattro isole hanno visto la loro superficie ridursi, mentre per le altre 23 è rimasta invariata o addirittura cresciuta.
«Le isole basse del Pacifico sono formate da detriti corallini. Detriti che si formano dall’erosione dalle scogliere che circondano gli atolli e che sono spinti sulla terraferma dai venti, le onde e le correnti. Poiché i coralli sono vivi, forniscono un approvvigionamento continuo di materiale» spiega Kench. Da qui, la conclusione che le isole - come Tuvalu, Kiribati e quelle della Micronesia - stanno rispondendo alle mutazioni di tempo e clima, auto-rigenerandosi.
«La prognosi fosca per queste nazioni non è corretta. Abbiamo le prove che indicano che la fondazione fisica di questi Paesi sarà ancora là tra 100 anni. Così gli abitanti non hanno bisogno di fuggire» afferma Kench.
Il livello del mare salirà, insomma, e le isole risponderanno. Il che non significa, però, che resteranno abitabili nel lungo termine. La domanda di fondo infatti è: la velocità di crescita delle isole compenserà quella dell’innalzamento dell’Oceano? Ma questo la scienza finora non è ancora in grado di dircelo.