Lorenzo Cremonesi, Corriere della Sera 08/06/2010, 8 giugno 2010
GAZA, L’ECONOMIA DEI TUNNEL «IMPORTIAMO ANCHE LE MOGLI»
Hanno utilizzato i crateri delle bombe israeliane per allargare l’accesso ai tunnel destinati alle auto. I ragazzini che lavorano a quelli minori sono attenti a non farsi scorgere dalle sentinelle. «Gli uomini di Hamas non ci vogliono attorno. Emeno che mai con giornalisti», dicono due quindicenni magri, impolverati dopo ore di lavoro sottoterra. Non si spreca nulla nella Striscia della disperazione, neppure le distruzioni del gennaio 2009. «Prima di allora si lavorava di più. C’erano quasi 3.000 tunnel che ci collegavano con l’Egitto. Ora saranno meno di un terzo. E di questi neppure 400 sempre funzionanti», indicano i reporter locali.
Arrivare a Rafah mentre la vicenda dell’embargo su Gaza torna al centro dell’attenzione significa soprattutto ritrovare la dimensione surreale degli oltre 15.000 abitanti della città sotterranea via via sviluppatasi negli anni con l’incancrenirsi dello scontro israelo-palestinese. «Il materiale che sempre va per la maggiore è quello per l’edilizia: cemento, traversine di ferro, legno per le impalcature, infissi, tegole, mattoni, sanitari», spiega Ahmad Al Baiud, un 32enne ex allevatore di polli che da un anno ha deciso di cambiare lavoro. «Qui non c’è disoccupazione. I miei almeno 100 shekel quotidiani (circa 15 dollari) sono assicurati», dice mentre aziona il verricello che porta due giovanissimi nel sottosuolo. Fuori dal tendone, piantato su traversine di ferro per difendere dal sole, il terreno è sconvolto da alte dune di terriccio e fango secco. Impera il brusio assordante dei generatori. Sullo spiazzo antistante, circa 30 metri quadrati, si intravedono gli accessi di almeno altri sei tunnel. Il terreno ogni tanto cede. Si individuano avvallamenti, fenditure, come se un gigantesco terremoto avesse appena squassato la zona. Non è strano. Il confine tra la regione meridionale di Gaza e il Sinai egiziano corre su circa 8 km di sabbia argillosa. A nord il Mediterraneo, a sud il deserto. E i cunicoli si intersecano a più livelli, scendono a oltre 30 metri, vanno più a fondo dei 25 metri della nuova barriera d’acciaio in via di costruzione sul lato egiziano. «No problem. Abbiamo la fiamma ossidrica per bucarla», dicono iminatori più esperti. Non mancano gli incidenti. Circa 140 morti sul lavoro dal gennaio 2008.
E’ l’economia della sopravvivenza. La risposta più effettiva allo strangolamento voluto da Israele per abbattere il governo di Hamas. Visitando la regione dei tunnel è possibile comprendere come mai sia ancora possibile trovare praticamente qualsiasi prodotto nella Striscia. «Importiamo di tutto. Anche le mogli yemenite, saudite, egiziane o di qualsiasi altro Paese che siano prive di visto e intendano raggiungere i loro mariti a Gaza. Il costo per un passaggio è 500 dollari», confida Hammad Saraia, un 22enne che dice di lavorare qui da 7 anni e avere acquistato il suo tunnel per 100.000 dollari. «Le donne importate non sono tante. Noi ne abbiamo fatte arrivare quattro in maggio», aggiunge. Del passaggio di guerriglieri o armi nessuno vuole parlare: il tema scotta. Tra i lavoratori abbondano i militari egiziani in borghese e gli informatori di Hamas. La novità però sono le auto. Gli uomini di Hamas, in pieno coordinamento con la polizia egiziana, le controlla da vicino. Sono un bene lucroso. Ma anche ad alto rischio. Un mese e mezzo fa al Cairo hanno deciso di sequestrarne 41, che erano già pronte a passare il quasi chilometro e mezzo di galleria da una parte all’altra del confine. A perderci sono stati i proprietari, che avevano già sborsato almeno 20.000 dollari a testa. Ci sono comunque più soldi di quanto si pensi. Oltre 70.000 funzionari filo Fatah continuano a percepire tra i 500 e 1.000 dollari al mese dalle casse del governo di Abu Mazen a Ramallah. Hamas non li utilizza e loro hanno il tempo per dedicarsi a lavoretti secondari. A questi si aggiungono 40.000 dipendenti di Hamas, pagati soprattutto con i fondi donati dall’Iran, e 30.000 lavoratori Onu o delle organizzazioni non governative internazionali. Il trionfo del terziario, del parastato clientelare. L’industria è però in ginocchio: ferma per l’80 per cento. E i 60.000 pendolari che sino a qualche anno fa lavoravano in Israele sono in miseria.
Lorenzo Cremonesi