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 2010  giugno 08 Martedì calendario

Mokone, l’ala dei misteri dall’apartheid a Torino - Molto tempo prima che "esistessero negri italiani", molti anni prima dei "buu" agli avversari "abbronzati", un uomo nero arrivò in Italia per giocare a calcio

Mokone, l’ala dei misteri dall’apartheid a Torino - Molto tempo prima che "esistessero negri italiani", molti anni prima dei "buu" agli avversari "abbronzati", un uomo nero arrivò in Italia per giocare a calcio. L´anno era il 1960, la squadra il Torino, il giocatore l´ala sudafricana Steve Mokone. Difficile ricordarsene: non disputò mai una partita ufficiale. Nel suo Paese è un idolo, in Olanda gli hanno dedicato libri, un film e una strada. stato acquistato dal Barcellona e ha fatto un provino con il Real Madrid. In maglia granata, soltanto amichevoli (in cui segnava a ripetizione). Come mai? E come mai quest´uomo che, a carriera finita si è laureato in psichiatria negli Stati Uniti ci ha fatto dodici anni di carcere? Se il cuore malato glielo consentirà verrà in Sudafrica a vedere i Mondiali e racconterà le sue verità, diverse da quelle ufficiali. La breve vita felice di Steve Mokone in Italia comincia quando ha già 28 anni e si è messo in luce dai sedici. A quell´età il padre tassista, sacerdote mancato, rifiuta di firmare un contratto per gli inglesi del Newcastle. Lo manda in Inghilterra cinque anni più tardi, al Coventry. Parte con un viatico: «Ogni tuo gol sarà un passo verso l´indipendenza». Agonizza nella solitudine, vive in una camera d´albergo in cui osserva il televisore senza sapere che cosa sia e nasconde le scarpe sotto il letto perché ha notato che il personale le porta via appena le vede incustodite. Viene ceduto agli olandesi dell´Heracles di Almelo, una squadra modesta, una città con 35mila abitanti. Nel suo anno lo stadio fa una media di 20mila presenze, lui 15 gol. Amatissimo. Quella stagione rivivrà nel libro di Tom Egbers "La meteora nera", trasformato in film. Poi la stella svanirà e riapparirà come la luce di un astro estinto avvistato in mezza Europa: Cardiff, Barcellona, Marsiglia. Infine Torino. Lo assicurano Wikipedia, la sua scheda nella Hall of Fame del calcio sudafricano, i suoi amici e qualche ritaglio. Uno, esaltante. Il Toro ha appena battuto in amichevole il Verona per 5 a 2. Le reti le ha segnate tutte Mokone, detto Kalamazoo. Il cronista Beppe Branco sancisce: «Se Pelè è la Rolls Royce del calcio, Kala è la Maserati». Ma resta in garage. Ne esce per un´amichevole a Mosca e segna anche lì. In campionato? Non pervenuto. Gian Paolo Ormezzano, memoria granata superiore a ogni archivio cartaceo o elettronico, pare l´unico a ricordarselo, ma in termini poco lusinghieri: «Era il prototipo del bidone. Fu comprato perché a uno dei soci principali del Torino piaceva molto sua moglie e così li fece venire un anno a Torino, ma non lo fecero giocare mai, impossibile, non era all´altezza». E come lo capirono? Dalla cinquina in amichevole? In effetti al tempo tra il calcio olandese e quello italiano il divario era grosso, ma risulta che il "bidone" fu chiamato dal Valencia per giocare un´amichevole contro il Santos di Pelè e che segnò pure. O si innescava solo quando le partite non contavano o qualcosa d´altro andò storto. In Inghilterra non aveva capito il gioco, i lanci lunghi invece dei passaggi corti. E l´allenatore gli aveva detto: «Vuoi discutere dopo tutta la fatica che abbiamo fatto per portarti qui? Sempre così con voi». Il messaggio era stato chiaro. Dopo Torino lasciò l´Europa, giocò tra i dilettanti canadesi e poi passò il confine e si mise a studiare. Si laureò in psicologia e si mise a esercitare. Si risposò con un´infermiera, ebbero una figlia. Al calcio non pensò più, né a che cosa era sempre così con "loro" o a perché l´avessero fatto andare a Torino per non farlo giocare. Come ha potuto questo dottore finire in galera per 12 anni con l´accusa di violenza privata? Mokone si separò dall´infermiera. Inevitabilmente, il divorzio, fu una guerra. Il casus belli, la figlia. Vinse lui: ottenne l´affidamento. E qualche tempo dopo sia l´ex moglie che la sua avvocatessa furono vittime dello stesso "incidente": qualcuno gettò loro dell´acido in pieno volto. La giustizia americana non ebbe dubbi e condannò il dottor Mokone come mandante del doppio agguato. Nel secondo libro su di lui, "Dodici anni buttati", il suo biografo olandese si fa una semplice domanda: perché doveva vendicarsi se aveva ottenuto quel che voleva? Suggerisce un´altra pista. L´ex calciatore era diventato, oltreché un dottore, un attivista politico. Ci sono scambi di informazioni tra i servizi americani e quelli di un Sudafrica pre-Mandela. Pare che la Cia riceva una richiesta: «Mettetelo in riga, per favore». Anche l´arcivescovo Desmond Tutu chiese la sua liberazione, affermando che avevano punito un innocente. C´era sempre un complotto contro di lui? O è stato il dottor Steve e mister Mokone, capace di ogni cosa e del contrario? Ora vive a Washington, accudito dalla famiglia. Ogni tanto visita il Sudafrica e riceve un premio alla carriera. Va alla scuola di calcio per bambini degli slum creata dalla fondazione a suo nome. Al lettore che si domandasse perché non compaia qui la sua versione dei fatti va detto che i suoi parenti negli Stati Uniti hanno creato una cortina protettiva dopo l´infarto che lo colpì un anno fa, proprio durante la Confederations Cup. E che il rappresentante della sua fondazione a Cape Town, dopo aver variamente interceduto, ha concluso dicendo che un congruo versamento avrebbe sicuramente facilitato il contatto.