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 2010  giugno 06 Domenica calendario

GLI ITALIANI SONO FATTI, ORA RESTA DA FARE LO STATO


Dell’italianità si è sempre discusso. E, perciò, è poco accettabile che «il discorso del carattere nazionale nell’Italia contemporanea» sia nato «in origine» dai «progetti nazional-patriottici» degli inizi dell’Ottocento e dalle «aspirazioni a una rigenerazione nazionale che accompagnavano questi progetti», come dice Silvana Patriarca ( L’italianità. La costruzione del carattere nazionale, ed. Laterza).

Lo diciamo non per pedanteria cronologica, bensì per ricordare che Italia, italiani, italianità non sono idee inventate nell’Ottocento. La Patriarca riconosce che «il discorso del carattere italiano ha una lunga storia intellettuale alla quale nel corso dei secoli hanno contribuito sia gli italiani che gli stranieri», ma ritiene che fra gli italiani questo discorso «affiorò inizialmente verso la fine del secolo XVIII nel contesto dell’Illuminismo e come componente di un patriottismo nazionale incipiente». Peggio ancora, «il discorso sul carattere» non si riferiva, in effetti, alla realtà del popolo italiano, ed era, invece, condotto «con le preoccupazioni e con i progetti delle élites nazionali/nazionaliste».

Ma il richiamo alla fine del secolo XVIII e l’estraneità del discorso alla realtà italiana sono più che discutibili. La connessione del «discorso sul carattere» con il Nation-building (un’ossessione storiografica, e neppure la peggiore, degli ultimi tempi) è anch’essa un elemento di distorsione. Le nazioni non sono il risultato di una costruzione, più o meno artificiosa, di intellettuali e politici. Esse sono e si costruiscono da sé, prima, durante e dopo il cosiddetto Nationdel quale sono perciò la premessa, e largamente lo trascendono. Il cosiddetto Nation-building è una presa di coscienza o, meglio, di maggiore coscienza ben più che una costruzione.

Queste riserve non tolgono che il libro della Patriarca sia di grande interesse, con un buon contributo al tema che tratta e con molte aperture di prospettive poco consuete nella storia ideologica dell’Italia contemporanea. Vi ricorrono i nomi dovuti (quasi assenti, però, alcuni: Cattaneo, Carducci), prospettati in modo persuasivo e attraente. In fondo, il punto principale rimane sempre quello del famoso detto del d’Azeglio: «fatta l’Italia, bisogna fare gli italiani». Era errato. Gli italiani c’erano da secoli. Quel che bisognava fare era proprio l’Italia intesa come unità politica nazionale in regime di libertà; come Paese e Stato moderno nelle sue strutture e infrastrutture; come soggetto attivo, rilevante e autonomo della politica e dell’economia internazionale; come società liberale e moderna nelle sue mentalità e nei suoi comportamenti. Una tale Italia è finora in gran parte ancora da fare; e il libro della Patriarca aiuta a capirne meglio il perché.

 sintomatico, intanto, e viene qui ben rilevato, come il discorso sul carattere italiano verta per lo più sulla sua cattiva qualità civile e morale, e sugli esiti deteriori a cui esso condanna la storia del Paese. Perfino il positivo che si vede nell’italiano inclina a un’amplificazione o invenzione distorcente e dannosa nella vita nazionale, con una retorica spesso odiosa, e non contribuisce, quindi, a meglio conoscere e indirizzare la realtà. Alla fine non si può non chiedersi come abbia fatto l’Italia unita a tenersi in piedi e diventare un Paese dei G8 (o quanti siano) di oggi, con un peso e un’influenza nel mondo alquanto superiori che nei due secoli precedenti. E anche le pagine della Patriarca confermano l’esigenza di una risposta a questa domanda.

Il capitolo sul periodo fascista è tra i migliori. Mussolini dové prendere atto che gli italiani sono «una sostanza difficile da modificare», e lo sono appunto perché esistono da secoli. Per il periodo post-fascista si sarebbe, invece, voluto qualcosa di più. Forse anche per ciò la conclusione è un po’ banale. Occorreranno , per l’emergente Italia multiculturale, «nuovi vocabolari e nuove forme d discorso pubblico, meno autoreferenziali e più aperte al mondo esterno», con «una riconsiderazione critica di vecchi miti nazionali e abitudini discorsive». Occorre, cioè, quel che occorre sempre, multiculturale che sia o non sia il Paese, e non solo in Italia.