Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2010  giugno 07 Lunedì calendario

BANKITALIA. L’ORO DI DRAGHI E LE MOSSE DI TREMONTI

La Banca d’Italia ha versato al Tesoro un miliardo di dividendo e 805 milioni di imposte. Il 2009 è stato un anno assai favorevole per i conti della banca centrale. L’utile lordo, prima di imposte, accantonamenti e dividendi, supera i 3,6 miliardi. La nota esplicativa del bilancio dice qualcosa di meno, perché non considera il rendimento dell’investimento delle riserve, 445 milioni, attribuito per obbligo statutario alle riserve medesime. Ma il risultato «vero» è quello che scriviamo noi. E la notizia è che per metà va al Tesoro.
Due spiegazioni
Come mai tanta generosità? La spiegazione « buonista » è che, visto il momento, la banca centrale versa il suo obolo alla patria. Ma c’è anche una spiegazione «cattivista» che coglie l’altra faccia della realtà.
Con questo assegno senza precedenti, il governatore Mario Draghi cercherebbe di allentare la pressione del ministro dell’Economia, Giulio Tremonti, da sempre interessato alle ricchezze di palazzo Koch e qualche volta capace di trasferirne una parte nelle casse dello Stato (accadde nel 2002 con lo sui titoli pubblici) e qualche volta no (è accaduto nel luglio 2009, con l’aliquota straordinaria del 6% sulle plusvalenze sull’oro, bocciata dall’Europa). Combinazione, il miliardo di dividendo che Draghi consegna a Tremonti è la stessa somma cui puntava il ministro con il decreto anticrisi dell’anno scorso.
La tradizione americana
La decisione non era scontata. Di solito, la banca centrale accantona a riserva. In America la tradizione è un’altra. La Federal Reserve gira integralmente al Tesoro i suoi utili: ben 53 miliardi di dollari l’anno scorso. In Eurolandia si accumula. La forza patrimoniale presidia l’indipendenza e l’autonomia del sistema delle banche centrali e tutela la moneta unica. In Italia, poi, le riserve consentono alla Banca d’Italia di fungere da prestatore di ultima istanza del sistema senza oneri per lo Stato, e addirittura di salvatore della patria bancaria come nel caso del Banco di Napoli. Ma da quando è stato adottato l’euro sono passati 11 anni. E il mondo non è più quello dei Trattati né sul fronte delle monete né su quello delle banche.
La crisi greca ha chiarito che la Bce e le banche centrali nazionali non sono in grado di difendere la moneta unica da sole, sebbene, all’atto pratico, le uniche mosse concrete registrate sui mercati siano state finora le acquisizioni di titoli pubblici da parte dell’istituto di Francoforte. La crisi finanziaria globale ha fatto capire come le enormi concentrazioni bancarie, favorite anche dall’euro, abbiano formato colossi troppo grandi per fallire e, al tempo stesso, per essere salvati con mezzi classici. Al dunque contano la regolazione – e qui le banche centrali hanno ruolo di prima grandezza – e la capacità di spesa dei governi, e qui le banche centrali rischiano di diventare mere creatrici di nuova moneta.
La forza
In questo contesto, nonostante l’assegno, la Banca d’Italia prosegue nel suo rafforzamento, grazie soprattutto alla costante rivalutazione delle riserve auree, 2.452 tonnellate, le quarte al mondo. Nel 1999, all’esordio della moneta unica negli scambi finanziari, l’oro di palazzo Koch valeva 22 miliardi. arrivato a 60,4 a fine 2009, con una plusvalenza implicita di 41 miliardi. In questi giorni, in seguito all’ulteriore apprezzamento del metallo giallo, il valore riserve auree sfiora i 79 miliardi, e la plusvalenza implicita i 60. L’oro non concorre al conto economico, perché non dà reddito monetario né vi apporta le sue variazioni di valore, che vengono invece registrate nello stato patrimoniale.
Ma l’oro offre uno scudo contro la crisi e l’inflazione. A Londra, ancora si mordono le dita per aver venduto tanti lingotti, convinta com’era la Bank of England di poter investire meglio.
A che punto è, dunque, la «forza» della Banca d’Italia? A fine 2009 il patrimonio netto rettificato per il fondo rischi generali arriva a 29,5 miliardi di euro. Ma in una logica di economia aziendale dovremmo aggiungervi i conti di rivalutazione e far salire così il patrimonio netto reale a 74,5 miliardi. Se, per gioco, volessimo aggiornare il dato alla settimana scorsa, dovremmo dire che i mezzi propri reali della Banca d’Italia superano largamente i 90 miliardi. Nessun gruppo bancario italiano, nemmeno il colosso europeo Unicredit, ne ha altrettanti.
Il confronto
Premesso che il fine delle banche centrali non è il profitto, ma la stabilità del sistema finanziario e della moneta, il profitto lordo della Banca d’Italia dà un rendimento del 14% sul patrimonio netto contabile, del 4,8% su quello reale e dell’1,2% sul totale delle attività. Queste sono pari a 301 miliardi, 4 volte il patrimonio netto reale. Una leva finanziaria bassissima.
Siamo su un piano diverso rispetto alla Federal Reserve che, ove si consideri la qualità degli attivi, ricorda un hedge fund.
L’utile realizzato dal governatore Ben Bernanke dà un ritorno del 104% sul patrimonio netto contabile e del 17% su quello reale, rettificato in base alle plusvalenze sulle 8.3133 tonnellate d’oro custodite a Fort Knox. Il ritorno è invece del 2,4% sulle attività totali, che pesano 2.235 miliardi di dollari, 7,2 volte il patrimonio netto reale.
La solidità di una banca centrale dipende sia dai propri conti che dalle garanzie che può o non può avere dal suo governo. Negli Usa, per esempio, al di là delle chiacchiere, non c’è alcun divorzio tra Federal Reserve e Tesoro. Ma se stiamo ai conti la Banca d’Italia gode di una solidità ben superiore a quella di Federal Reserve. La crisi ha gonfiato gli attivi delle banche centrali, che hanno dovuto provvedere liquidità alle banche in apnea e, ora che queste sembrano di nuovo respirare, sottoscrivere un po’ di obbligazioni pubbliche poco negoziabili. Ma mentre gli attivi della Banca d’Italia, valutati al mercato, sono aumentati solo del 23% rispetto al 2007, quelli della consorella Usa, pieni di titoli di credito verso Fannie Mae e Freddie Mac con poco mercato, fanno un balzo del 144%.
La Banca d’Italia può dunque dare il suo contributo alla stabilità del sistema finanziario. E versare l’obolo al governo. Ma, sia pure senza i vecchi toni, il nervosismo tra i palazzi di via Nazionale e via XX Settembre non è esaurito. La manovra tremontiana, infatti, invita la Banca d’Italia a ridurre le spese, onde devolvere dell’altro al Tesoro, ma non dice di quanto. Rispetto dell’autonomia della Banca? Certo, ma un «cattivista» direbbe che così si lascia Draghi alle prese con i sindacati, senza il termine di legge che, invece, fa da scudo ai ministeri.
Massimo Mucchetti