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 2010  giugno 06 Domenica calendario

TESORO E BANCHE CENTRALI. IL DIVORZIO E’ FINITO?

Un tempo la Banca d’Italia aveva l’obbligo di sottoscrivere i titoli di Stato inoptati nelle aste del Tesoro. Negli anni Settanta, il governatore Guido Carli non risparmiava severi moniti, ma al dunque, se le banche lasciavano Btp e Cct sul tavolo perché timorose di non poterli ricollocare, stampava moneta e provvedeva. Rifiutarsi sarebbe stata un’azione sovversiva, sommo peccato per quel grand commis d’Etàt. Ma, anno dopo anno, questa dipendenza della Banca d’Italia dal governo favorì l’aumento del debito pubblico e l’inflazione.
Oggi si liquida con sufficienza quella politica della spesa pubblica. Forse si trascura che, allora, l’imperativo era quello di tenere l’Italia nel campo delle democrazie e non si valutano appieno i rischi geopolitici di un’alternativa thatcheriana ante litteram in un paese che aveva nel Pci il più forte partito comunista dell’Occidente e, al tempo stesso, uno dei fondatori della Repubblica. Ebbene, nel 1981, pur nell’imperfezione dei tempi, si decise che la banca centrale non avrebbe più garantito il buon fine delle aste dei titoli di Stato. Era il divorzio tra Tesoro e Banca d’Italia. Quest’ultima avrebbe ancora compravenduto titoli pubblici ma solo sul mercato secondario, come un operatore tra gli altri. Quella separazione, che aiutò contro l’inflazione ma non contro il debito pubblico, oggi ispira anche i Trattati europei. L’indipendenza della Bce si fonda sull’astensione delle banche centrali nazionali dal dovere di garantire le emissioni pubbliche, con acquisti che sarebbero fatalmente finanziati stampando moneta, e dunque alimentando l’inflazione. Ma di fronte alla Grande Crisi e ai soccorsi prestati al settore privato dai governi, soprattutto da quelli ritenuti i più virtuosi, l’antico divorzio funziona ancora?
Per evitare l’insolvenza di Grecia, Portogallo, Spagna e Irlanda, i governi hanno predisposto l’ormai celebre piano dei 750 miliardi. Ma, prima che il primo euro sia stato speso, la Bce è intervenuta ad acquistare obbligazioni pubbliche dei paesi a rischio. Sul mercato secondario, naturalmente. Il presidente della Bce, Jean-Claude Tritchet, nega di aver agito su pressione dei governi e indica nel bassissimo interesse pagato, a fronte di un’ampia offerta delle banche, la conferma dell’impegno contro l’inflazione. Secondo The Economist, il «giro» è largamente cosmetico, dato che le banche traggono molta della loro liquidità dalla Bce. L’osservazione sarebbe forse stata più vera un anno fa, quando il bilancio della Bce era il triplo di quello del 2009. Ma resta il punto politico.
Garantire la liquidità delle obbligazioni pubbliche a rischio sul mercato secondario incoraggia le banche a comprare comunque in sede d’asta. Ma fin dove possono arrivare le banche centrali con i loro patrimoni? D’altra parte, la creazione di base monetaria continuerebbe a opera dei governi che quei 750 miliardi dovranno pur finanziare. Governi e banche centrali non hanno cancellato il divorzio ma, a occhio, si vedono di nuovo nel weekend.
Massimo Mucchetti