Alessandro De Nicola, Il Sole-24 Ore 6/6/2010;, 6 giugno 2010
MA DAVVERO IL 43% DI IRPEF VI SEMBRA POCO
Mentre festeggiamo il ritorno del ministro Tremonti nel campo di chi è a favore della libertà d’impresa (le cui differenze con il deprecato mercatismo ci sfuggono), ci apprestiamo ad assistere alle proteste di chi vede le proprie tasche toccate dalla manovra.
Da questa colonna e da quelle del Sole si sono già criticati alcuni aspetti dei tagli, in particolar modo quelli che deprimono ogni valutazione di merito e si limitano a far cassa tosando i redditi più alti e abolendo i compensi per chi gestisce società pubbliche o che ricevono finanziamenti pubblici. Sono critiche, però, di chi pensa che in realtà lo stato potrebbe essere ridotto ben di più e che il governo ha perso un’occasione per interventi più incisivi. La proposta dei magistrati di accorpare i piccoli tribunali per risparmiare, ad esempio, dovrebbe essere subito attuata (senza rinunciare a sforbiciare i loro stipendi, però).
Nella polemica dei nostri tempi si è inserita ora una corrente di pensiero che accusa la manovra economica del governo di un peccato imperdonabile: l’iniquità.
Ben giustificato è lo scetticismo sui tagli ai costi della politica: assolutamente insufficienti, e la settimana scorsa se ne è lamentato persino Euripide dal Sole 24 Ore. Ragionevole il dubbio sull’efficacia della strombazzata stangata del 10% sui bonus dei banchieri superiori di tre volte allo stipendio fisso. Parliamo di casi probabilmente inesistenti e che riguardano una sola categoria, scelta questa populistica per sfruttare il malanimo popolare nei confronti delle banche.
Tuttavia il giudice e il medico, così utili al benessere sociale, non dovrebbero condividere i sacrifici con i privati? Sarebbe perciò meglio se il governo incoraggiasse l’establishment alla generosità applicando un’addizionale del 10%di tassein piùa tutti i redditi oltre una certa soglia. Logico no? No.
Ai critici delle decurtazioni mirate solo al pubblico impiego sfugge un dato essenziale: l’Italia potrebbe precipitare in una crisi di sfiducia dei mercati ed è cresciuta meno di tutti i paesi del mondo negli ultimi 15 anni, salvo lo Zimbabwe, perché c’è troppa spesa pubblica. incredibile che con lo stato che spende il 52,5% del Pil (e con le retribuzioni pubbliche che crescono da anni più di quelli dei privati senza rischio di perdita del posto di lavoro) e ingoia il 47,2% delle sue risorse, si pensi che tassare il merito, vale a dire quei poveri idioti che dichiarano quanto guadagnano, pagando già il 43,4% di Irpef e non godendo di nessuna agevolazione dello stato sociale in termini di rette, contributi, accesso ai servizi, si risolva qualcosa.
Tenendo conto che le statistiche del Pil includono almeno in parte l’economia informale, mentre le entrate dello stato sono ufficiali, il peso percentuale del fisco sull’economia legale è del 60 per cento. L’Italia deve ridurre il peso del governo:la correlazione tra involuzione del benessere e diminuzione della libertà economica nel paese è presente in ogni statistica disponibile e portare l’Irpef al 54% avrebbe come risultato quello d’incoraggiare ulteriormente l’evasione e deprimere creatività, innovazione e lavoro duro.
Chi pensa di guadagnare troppo, può sempre fare un bonifico equivalente al 10% del suo reddito superiore ai 100mila euro e spedirlo in regalo all’Agenzia delle entrate: non farà un buon servizio né a sé stesso né alla nazione, ma contento lui...