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 2010  giugno 06 Domenica calendario

PARIGI APPLAUDE KERVIEL, TRADER DELLA PERDITA DA 5 MILIARDI

Il processo che si apre martedì a Parigi contro Jerôme Kerviel, il trader che fece perdere a Société Générale 5 miliardi di euro, rimette il fattore umano al centro di un’incredibile vicenda in cui le irresponsabilità individuali si incrociano, fino a perdersi, con gli eccessi della finanza. Le sue colpe sono note e incontestabili ma forse sono meno chiare quelle di un sistema dove esistono buchi tali nei meccanismi di controllo da permettere a un solo trader di combinare un mezzo disastro. Il fattore K è dunque importante in questo spettacolare processo che durerà fino al 25 giugno, e sarà la versione di Jerôme, che rischia cinque anni di carcere e 375mila euro di multa, a interessare un’opinione pubblica non molto ben disposta nei confronti della finanza. SocGen è parte civile e ha subìto un danno gravissimo. Ma cosa accadrebbe se la difesa riuscisse a dimostrare che i diretti superiori di Kerviel sapevano e hanno lasciato fare fino a che ha guadagnato?
E allora JK non sarebbe più Rastignac, lo sgomitatore sociale di Balzac nella Comédie Humaine, ma un moderno Meur-sault, l’antieroe di Camus che con un gesto autodistruttivo rivelò l´ipocrisia di un sistema. • Gli ultimi giorni di quiete nella memoria di Jérôme Kerviel risalgono al Natale 2007. Alla vigilia prende il treno da Parigi assieme alla ragazza, al fratello Olivier e la moglie, per raggiungere la madre, vedova da qualche mese, a Pont-l’Abbé, angolo remoto del già remoto Finistère. Il clima è il solito della Bretagna, può non far freddo anche in pieno inverno, ma le piogge a intermittenza e oblique per il vento scandiscono la vacanza. Poco importa, a Jérôme. Quel che conta è ritrovarsi con i suoi - comitato ristretto di affetti ancora assorbito dal lutto - e dimenticare la fibrillazione permanente del lavoro di trader alla Société Générale.
Non è una superstar dei mercati finanziari, nel suo curriculum non ci sono le Grandes Ecoles di molti colleghi e ha uno stipendio di «soli» 100mila euro all’anno (quasi un’inezia per il mestiere) ma lavora duro e negli ultimi mesi ha fatto guadagnare un sacco di soldi alla sua banca. Festeggia Natale e Capodanno con la prospettiva di un congruo bonus.
Nel giro di un mese il suo nome e il suo volto escono violentemente dall’anonimato per acquistare fama internazionale. Non per il bonus. SocGen annuncia il 24 gennaio di aver perso 6,4 miliardi di euro per chiudere posizioni non autorizzate prese dal trader sui futures degli indici di Borsa. Il rosso si riduce a 4,9 miliardi di euro poiché è vero che Kerviel, con le stesse spregiudicate e dissimulate operazioni, nel 2007 aveva chiuso la sua performance con una plusvalenza di quasi un miliardo e mezzo. Il saldo è comunque la più grande perdita mai inflitta da un singolo dipendente a un’istituzione finanziaria. Quella che Nick Leeson causò a Ing Barings sembra al confronto uno scherzo da oratorio. Per arrivare a tanto e aver scommesso su un rialzo dei mercati all’inizio del 2008, quando il nervosismo dei subprime si era già propagato, il trader si era impegnato in contratti per un valore di 50 miliardi di euro, cifra da brivido che superava il patrimonio netto della Générale.
Viene licenziato, fermato dalla brigata finanziaria, interrogato per 48 ore, subito indagato per abuso d’ufficio, falso e introduzione fraudolenta in sistemi informatici. Si fa 38 giorni di carcere. Tutto questo a poco meno di quattro mesi dal Natale in famiglia, ultimo scampolo di vita normale.
 scomparso mediaticamen-te durante l’istruttoria, nel frattempo ha cambiato due volte i suoi difensori, ma si è presentato all’appuntamento con giornali, radio e tv con un mese d’anticipo rispetto al processo che comincia martedì al tribunale di Parigi. La promozione del suo libro, «L’Engrenage, memoires d’un trader», edito da Flammarion, è stata solo l’antipasto di una tesi difensiva che nominalmente punta al proscioglimento ma che in realtà spera in una riduzione dell’eventuale pena: rischia cinque anni di carcere e 375mila euro di multa. L’offensiva mediatica dell’ultimo mese e mezzo e l’apertura del processo introducono nella vicenda il fattore umano, un fattore K finora adombrato dagli inevitabili tecnicismi, dalla crisi finanziaria prima ed economica poi. Ancora oggi il comportamento di Jérôme Kerviel, che non ha rubato un centesimo dei soldi della banca, risulta inspiegabile alla maggior parte della gente, banchieri, trader e non addetti ai lavori. Il libro un po’ aiuta a capire ed è meno banale e meglio scritto di quanto ci si aspetterebbe da un’autobiografia il cui scopo ultimo è di dissodare il terreno per una più efficace dimostrazione della tesi di fondo, e cioè che suoi diretti superiori non potevano non aver visto la lunga catena di irregolarità cominciata addirittura nel 2005.
Kerviel non è affetto da sindromi maniaco- depressive, non è un giocatore d’azzardo al di fuori del perimetro della sala di trading e non è nemmeno un Rastignac, lo sgomitatore sociale de La Comedie Humaine di Balzac, almeno così vuole farci credere. Ma è sprofondato in una sorta di autismo lavorativo che lo porta ad arrivare per primo in ufficio e ad andarsene per ultimo, forse per coprire meglio le sue operazioni irregolari, e a prendersi non più di tre-quattro giorni di vacanza in un anno. Quando ormai alle corde deve spiegare a JeanPierre Mustier, il gran capo dell’investment banking di Société Générale, com’è riuscito a guadagnare il miliardo e mezzo, tira in ballo la vecchia tecnica della martingala, usata dagli scommettitori francesi nel XVIII secolo. Quando in un gioco le possibilità di vincita e perdita si equivalgono, a un certo punto il giocatore sarà fortunato. E allora che si fa, aspettando la fortuna? Si raddoppia sempre la puntata. Ci sono due prerequisiti perché la strategia funzioni: avere una liquidità praticamente illimitata e avere sempre qualcuno disposto ad accettare la puntata. Con la sua irresponsabilità Kerviel è riuscito perfino a testare i limiti patrimoniali di una banca che fino ad allora macinava utili come poche in Europa, inventandosi per giunta una martingala senzache dall’altro capo del telefono o dei videoterminali vi fosse mai una controparte vera. I suoi colleghi, i compagni di trading e di una rapida birra nelle brasserie della Défense sapevano? I superiori hanno semplicemente lasciato fare finché vinceva? Non hanno voluto tenere in debita considerazione i ripetuti campanelli d’allarme suonati da Eurex, la Borsa europea dei derivati, proprio sulle sue operazioni da decine di miliardi di euro? Il libro insinua, fa nascere dubbi, anche legittimi, ma al processo Kerviel e la difesa dovranno produrre atti, documenti inequivocabili, testimonianze affidabili per dimostrare comunque ciò che è evanescente, il laissez faire di chi lo circondava e forse (non) lo controllava.
L’ex trader si descrive come parte infinitesimale di un sistema perverso, avvelenato dal culto della performance, e dal quale è riuscito a prendere le distanze soltanto dopo aver commesso delle azioni clamorose, quasi insensate. Dalla sua parte ha l’opinione pubblica, per la quale è stato fin dall’inizio, se non un idolo, un personaggio simpatico. Solo, contro dei banchieri che- come tutti i banchieri di questi tempi - non raccolgono grandi consensi. Qualcuno, in uno slancio letterario eccessivo, l’ha paragonato a un moderno Meursault, l’antieroe di Camus che attraverso un gesto autodistruttivo rivelò l’ipocrisia del mondo. Sarà. Di sicuro il processo contro K assumerà il valore di un processo morale contro gli eccessi della finanza. E lì l’imputato vero potrebbe non essere lui.