Massimo Mucchetti, Corriere della sera, 6/6/2010, 6 giugno 2010
[Riassunto] Alfredo Robledo, il pm di Milano che con il collega Francesco Cajani ha ottenuto la condanna di Google per violazione della privacy di un bambino down, risponde all’intervista dell’amministratore delegato di Google, Eric Schmidt, al Financial Times, dove ha definito bullshit (stronzate) la sentenza di Milano
[Riassunto] Alfredo Robledo, il pm di Milano che con il collega Francesco Cajani ha ottenuto la condanna di Google per violazione della privacy di un bambino down, risponde all’intervista dell’amministratore delegato di Google, Eric Schmidt, al Financial Times, dove ha definito bullshit (stronzate) la sentenza di Milano. Da Google, lamenta Robledo, c’è stata poca collaborazione: Peter Fleischer, allora direttore della policy Google per la privacy in Europa e poi promosso a livello mondo, negò di aver a che fare con Google quando fu raggiunto dall’avviso di garanzia. «Nicole Wong, responsabile legale di Google, quando le chiedemmo se in casi di emergenza, con la vita delle persone in gioco, Google fosse disposta a dare subito informazioni agli inquirenti, rispose che ci voleva una rogatoria internazionale. I dati, aveva aggiunto, li cancelliamo ogni 30 giorni. Abbiamo dimostrato in giudizio che le cose stanno diversamente. E Schmidt dice che spariamo nel mucchio. Abbiamo individuato gli imputati attribuendo le responsabilità penali sulla base delle funzioni esercitate nel caso specifico» «Google ci accusa di voler innescare censure con la scusa della privacy. Il primo emendamento della Costituzione americana pone la libertà di espressione sopra qualsiasi altra iniziativa legislativa, ma la Costituzione americana è una norma locale. In Italia e in Europa la libertà di espressione trova un suo confine nel rispetto dei diritti delle persone, tra i quali spicca quello alla privacy. A inquisire e giudicare Google sono stati magistrati indipendenti della Repubblica Italiana. Rispettare le sentenze è principio di libertà e di democrazia. Capirle aiuta a rispettarle». Il capo di Google solleva anche problemi reali. Per esempio, il diritto fatica a tenere il passo di Internet.«Per trovare la soluzione servono intelligenza, volontà, senso di responsabilità e, ancor più, la disponibilità ad accettare la pluralità delle culture, e dunque delle legislazioni. In questo contesto, per noi, italiani ed europei, sono irrinunciabili i diritti della persona. Mi par di capire, invece, che Schimdt teorizzi, pratichi e difenda il Far West e poi lamenti l’inadeguatezza della legge. La magistratura non viola la libertà delle imprese. Ma ha fatto emergere come Google non avesse messo in atto gli accorgimenti che già aveva disponibili dal 2003. Per esempio, la possibilità di togliere subito i contenuti offensivi. Per questo chiediamo uno sforzo comune, direi di autoregolazione. E interveniamo sui fatti specifici. Dopo l’acquisizione di YouTube, Google ha cominciato a usare i filtri che prima aveva e non usava».