Oscar Giannino, Il Messaggero 7/6/2010, 7 giugno 2010
SE SI SCOPRE CHE LONDRA STA PEGGIO DI ROMA
’Ci aspettano anni di sacrifici, un vero uomo di Stato deve saper intraprendere le azioni necessarie, spiegando alla gente gli obiettivi dei sacrifici”. Ha scelto la via della sincerità e della responsabilità, David Cameron, il premier britannico conservatore. A quattro settimane dal suo insediamento alla testa del nuovo governo di coalizione coi liberaldemocratici di Nick Clegg, nella sua intervista di ieri al Sunday Times ha deciso di mettere da parte ogni ottimismo di circostanza.
Le sue parole sono la piena conferma di quel che da un anno e mezzo scriviamo sul Messaggero: i Paesi anglosassoni, che hanno alimentato con il loro sistema bancario le bolle finanziarie, si trovano oggi e negli anni a venire con problemi per loro del tutto imprevisti. L’esplosione dei loro deficit pubblici porta in pochi anni il loro debito assai prossimo a medie superiori al 100% del Pil, a vette che tradizionalmente venivano solo associate alla poco virtuosa Italia. Ma l’Italia, che non ha dovuto nazionalizzare quattro grandi banche come Londra e ha famiglie indebitate meno della metà sul Pil che a Londra, ha registrato un deficit del solo 5% del Pil nel 2009. Mentre il Regno Unito ha superato i 14 punti di deficit pubblico nel 2009, e quest’anno si avvia a un più che preoccupante 11,5%.
Non è il caso, naturalmente, di compiacersi delle difficoltà britanniche. Che sono poi in tutto e per tutto comuni a Stati Uniti e Giappone, con la differenza che il Giappone finanzia il suo debito pubblico assai più dei Paesi anglosassoni col risparmio dei suoi cittadini che con i fondi esteri, oggi più diffidenti verso la sostenibilità di debiti tanto ingenti. Sarebbe sciocco gridare vendetta e vittoria, per il fatto che chi per anni ha trattato l’Italia con superiorità e sufficienza, sottovalutando gli squilibri sui quali si fondava la sua maggiore crescita rispetto alla nostra, oggi scopre di dover temere come e anzi più di noi il giudizio dei mercati. Al contrario, bisogna considerare il tono serio e responsabile di Cameron come un contributo comune allo sforzo che deve accomunare tutti i Paesi avanzati, per ridurre con energia il debito, e insieme per liberare energie e risorse a favore di impresa e lavoro, i pilastri della crescita.
Ma, oltre alla soddisfazione, c’è dell’altro che può servire al dibattito italiano. Nel Regno Unito sono allo studio misure draconiane. Non solo lo stop agli aumenti dei dipendenti pubblici, ma una loro consistente riduzione numerica. Il taglio di assegni sociali alle famiglie. Il passaggio dell’Iva dal 17,5% al 21%. La salita dell’aliquota sui capital gains da meno del 20% a oltre il 40%: una botta clamorosa, per quella che in Europa era la prima piazza finanziaria, e per questo vanto restava fuori dall’euro. Chi in Italia ritiene che la manovra governativa sia ispirata a ”macelleria” sociale, dovrebbe riflettere sulle misure che intanto stanno adottando altri grandi Paesi. E pensare invece che, nella gara a ottenere ogni giorno il voto meno diffidente dei mercati, la maggior severità di chi ha più deficit del nostro deve inevitabilmente spingere anche noi a misure strutturali e non solo dolorose e quantitativamente adeguate, ma contingenti.