GIANNI CLERICI, la Repubblica 6/6/2010, 6 giugno 2010
LA SCHIAVONE REGINA DEL TENNIS
Non speravo mi accadesse un´ultima volta di assistere alla vittoria di un italiano al Roland Garros. E subito mi correggo, e cambio la vocale, per scrivere italiana.
Infatti, dai tempi di Panatta, mai abbiamo avuto un ometto che fosse in grado di superare le semi, massimo traguardo raggiungibile o meglio, ahinoi, immaginabile. Ma, con tutto il rispetto per la creatività delle nostre donnine, si chiamino Schiavone o Pennetta, non sarei mai riuscito a immaginare una vicenda simile, che mi permetterò di definire onirica.
Già era stato rocambolesco il cammino dell´eroina attraverso la giungla del torneo, che mi par giusto rimemorare. La russa Kulikova, n. 70. La Ferguson, una qualificata australiana - vedi il destino. La cinesina Li Na, n. 11 - e qui si inizia con chi il computer riteneva migliore di Francesca. Miss Russia, Kirilenko, n. 30, seguita da una vittoria inattesa - almeno per lo Scriba - contro la terza del mondo, la Wozniacki. Infine la Dementieva, sia pure infortunatella, n. 5.
Ed eccoci a oggi, contro chi era stata capace di sottomettere nientemeno che Serena, quella che i match dei Grand Slam sa come vincerli. Nell´eccesso di dichiarazioni, vere o inventate, che i raccoglitori di sospiri attribuivano a Francesca, una mi aveva particolarmente interessato: «Di noi due, quella che giocherà più rilassata, meno tesa, avrà maggiori possibilità». Mi aveva colpita, l´affermazione, proprio perché chiacchierando a proposito della Stosur, all´inizio del torneo, il più vecchio e saggio dei giornalisti australiani, Alan Trengove, mi aveva detto: «Sulla destra, servizio e diritto, vale il Numero Uno mondiale. Ma può andare in confusione sul rovescio, se diventa tesa. un colpo costruito, e come tale rischia di franare».
Ne sapeva certamente più di me, il vecchio amico. E non mi pare di essere fazioso - sinonimo di tifoso - nel confessare che contavo che proprio quell´arco portante del gioco si incrinasse, sotto le variatissime rotazioni di palla della Schiavo, una dei soprannomi della nostra eroina. Perché questo riuscisse, era indispensabile giocare con scioltezza, addirittura con la fluidità muscolare tipica non certo di una finale, ma di un match normale.
Il grande merito di Francesca è stato proprio questo, quasi delle finali Slam fosse d´un tratto divenuta una veterana, e non una tarda esordiente. Dall´altra parte, la tensione dell´australiana era tale da spingerla ad errori incredibili, sempre a sinistra: e non solo sulle alterne angolazioni dell´italiana, ma su controcorte elementari, o addirittura volée apparentemente finite. L´emozione per la vicenda mi avrà certo spinto a inesattezze contabili, ma, dei ventotto errori gratuiti della povera Stosur, sono giunto a contarne addirittura ventuno dal lato sinistro: una autentico caso di braccino, come diciamo in gergo.
Per contro Francesca ha controllato con ammirevole istinto il suo gioco, senza mai cessar di variarlo, dai dirittoni arrotati ai cross di rovescio tagliati sino alle sicurissime volée e addirittura ai drop-shot. Una varietà che ha rischiato di smarrire soltanto nella prima parte del secondo set, con un parziale di un game a quattro e, quel che pareva non meno pericoloso, dieci punti a venti. Ma la sua rimonta non sarebbe tardata, sino a consentirle di dominare il decisivo tiebreak con un nettissimo sette punti a due.
Mi si consenta, infine, quale unico Scriba presente e sopravvissuto a tutti e quattro i successi italiani al Roland Garros, un ideale abbraccio all´eroina, non meno mirabile dei suoi due grandi predecessori, Nicola Pietrangeli e Adriano Panatta.