HENNING MANKELL, la Repubblica 6/6/2010, 6 giugno 2010
DIARIO DI BORDO VERSO GAZA
Martedì, 25.5. Nizza
Alle cinque di mattina sono in strada e sto aspettando il taxi che mi porterà all´aeroporto di Nizza. Per la prima volta da tanto tempo, E. e io abbiamo un periodo di vacanze insieme. All´inizio avrebbe potuto durare due settimane. Adesso si è ridotto a cinque giorni, dato che la "Ship to Gaza" è finalmente pronta a salpare e io, come concordato, sto partendo per Cipro per unirmi agli altri.
Ogni meta di un viaggio deve essere letta dal suo punto di partenza, penso mentre aspetto il taxi. Ho deciso di ridurre il mio bagaglio in uno zaino che pesa poco meno di dieci chili. L´obiettivo della "Ship to Gaza" è estremamente preciso: forzare il blocco illegale che Israele ha imposto alla Striscia di Gaza. Dopo la guerra, poco più di un anno fa, la vita per i palestinesi che vi vivono è diventata sempre più insostenibile. Nella Striscia di Gaza, la necessità di permettere alla popolazione di vivere una vita decente è grande.
Ma l´obiettivo del viaggio è più chiaro di questo. L´azione conferma le parole, penso. facile parlare di sostegno, di difesa o di lotta contro questo e quello. Ma è soltanto con l´azione che queste parole trovano una conferma. I palestinesi che Israele ha costretto a vivere in quell´inferno hanno bisogno di sapere che non sono soli, che non sono dimenticati. necessario che il mondo si ricordi della loro esistenza. E per questo dobbiamo caricare su alcune navi quello di cui forse hanno maggiormente bisogno: medicinali, impianti di desalinizzazione dell´acqua, cemento.
Il taxi arriva, ci accordiamo sul prezzo - è esorbitante! - e poi imbocchiamo le strade deserte del mattino verso l´aeroporto. Inizio a scrivere - me lo ricordo adesso - i primi appunti sul taxi. Non ricordo le esatte parole, ma rimango improvvisamente sconcertato dalla sensazione di non essere riuscito a capire che il nostro è un progetto odiato in modo così viscerale dagli israeliani che un loro tentativo di bloccare il convoglio ricorrendo all´uso della forza è molto probabile. Ma prima di arrivare all´aeroporto, quel pensiero mi ha lasciato. Anche qui il progetto è chiaro e ben definito. Agiremo secondo il principio della non violenza, non ci sono armi, non c´è la ricerca dello scontro fisico. Se ci fermeranno, lo dovranno fare senza mettere in pericolo la vita dei partecipanti.
Mercoledì, 26.5. Nicosia
Fa più caldo che a Nizza. Quelli che devono salire a bordo delle navi da qualche parte al largo delle coste cipriote sono radunati nel Centrum Hotel a Nicosia. come un vecchio romanzo di Graham Greene. Persone disparate che si incontrano in un luogo dimenticato da Dio, per fare un viaggio insieme. Violeremo l´embargo illegale. Quelle parole echeggiano in svariate lingue. Ma d´improvviso una grande incertezza aleggia nell´aria. Le navi sono in ritardo, sono sorti diversi problemi, le coordinate del punto di incontro delle sei navi non sono state ancora decise. La sola cosa certa è che sarà in mare aperto. Il governo di Cipro non vuole che attracchino nel porto. Con tutta probabilità Israele ha fatto grandi pressioni. Di tanto in tanto noto che si stanno creando tensioni fra i diversi gruppi che sono a capo di questo progetto difficile da gestire. All´ora della colazione, il ristorante dell´hotel si trasforma in una sala riunioni segreta. Di tanto in tanto ci chiamano per scrivere su dei moduli il nome delle persone da informare in caso succeda il peggio. Tutti scrivono senza indugiare. Poi ci viene detto di aspettare. Nei giorni seguenti, «aspettate» è la parola più ricorrente, quasi come un mantra.
Giovedì, 27.5. Nicosia
Aspetta. Abbiate pazienza. Caldo insopportabile.
Venerdì, 28.5. Nicosia
Di colpo inizio a dirmi che forse lascerò quell´isola senza mai essere salito a bordo di una nave. Sembra che non ci siano abbastanza posti. Circola voce che ci siano liste di attesa per quel progetto di solidarietà. Ma, K., il gentile deputato svedese e la dottoressa S., che sono miei compagni di viaggio mi aiutano a restare di buon umore. I viaggi in nave comportano sempre un po´ di disagio, penso. Continuiamo a ubbidire alle esortazioni. Ad aspettare, ad avere pazienza aspettando gli sviluppi.
Sabato, 29,5. Nicosia
Improvvisamente tutto succede con estrema rapidità. Adesso, ma naturalmente ancora soltanto forse, saremo portati con un´altra nave veloce al punto in mare dove le coordinate si incrociano e dove ci uniremo al convoglio di altre cinque navi con cui poi faremo rotta verso la Striscia di Gaza. Continuiamo ad aspettare. Ma verso le 17 del pomeriggio, le autorità portuali ci danno finalmente il permesso di salire a bordo di una nave che si chiama "Challenge", che con i suoi quindici nodi di velocità ci porterà al punto d´incontro dove cambieremo per salire a bordo del cargo "Sophia" che è già sul posto. A bordo della "Challenge" ci sono già tante altre persone in attesa. Quando vedono soltanto noi tre salire a bordo, rimangono sicuramente un po´ sorpresi. Arrivati sul ponte, salutiamo e impariamo rapidamente le regole che dobbiamo rispettare. Il ponte è affollato: sacchi, zainetti dappertutto ma l´atmosfera è tranquilla e piacevole. Adesso, d´improvviso, tutte le incertezze sono svanite. Alle 17 i due potenti motori diesel si mettono in moto rombando. Finalmente siamo in viaggio.
(23.00)
Ho preso posto su una sedia sul ponte di poppa. Il vento non soffia troppo forte ma abbastanza per far venire il mal di mare a diverse persone. Mi sono avvolto in una coperta e osservo la luna che illumina una strada sul mare, mi lascio dondolare dalle onde che sbattono contro lo scafo e penso che la solidarietà per altri può avere molte sfaccettature. Dato il rollio e il rumore dei motori della nave, non sono molti quelli che parlano. Quasi tutti cercano di dormire o di restare almeno distesi sul ponte. Penso che fino a quel momento il viaggio è molto tranquillo. Ma so che è una sensazione ingannevole.
Domenica, 30.5. L´una di notte. A sud est di Cipro
Luci brillano dovunque. Il capitano, il cui nome non sono mai riuscito a imparare, ha fatto diminuire la velocità. Le luci, simili a torce, appartengono a due delle altre navi del convoglio. Adesso rimarremo fermi finché non spunterà l´alba e verremo trasferiti su altre navi. Ma non riesco ancora a trovare un posto dove poter dormire. Rimango seduto sulla mia sedia umida e mi appisolo. La solidarietà nasce dall´umidità e dall´attesa: così aiutiamo altri ad avere un tetto sopra la testa.
Il mare si è calmato. Ci stiamo dirigendo verso la nave più grande del convoglio. un traghetto, «la nave regina del convoglio». A bordo ci sono centinaia di persone. Dalle discussioni, tutti sono certi che gli interventi degli israeliani si concentreranno proprio su questa nave.
Quali interventi? Naturalmente abbiamo fatto tutte le congetture possibili da quando il progetto è nato. Ma nessuno sa niente con certezza. Le navi da guerra israeliane affonderanno la nave? O la scacceranno con altri metodi? Naturalmente, esiste anche la soluzione più sensata di lasciare passare la nave e permettere a Israele di riconquistare un po´ della sua fama sempre più offuscata nel mondo. Nessuno lo sa. Ma quello che ci sembra più probabile è che arrivati al limite delle acque territoriali, saremo respinti dalle voci minacciose di altoparlanti di navi da guerra. Se non ubbidiremo, è probabile che cercheranno di mettere fuori uso le nostre eliche o il timone per poi farci rimorchiare in qualche porto per ripararli.
(13.00)
Noi tre svedesi ci trasferiamo sulla "Sophia" con una scala di corda. un vecchio cargo claudicante, pieno di ruggine e di un equipaggio tenero. Ho contato che siamo circa venticinque persone a bordo. Il carico della nave è costituito principalmente di cemento, tondini di ferro e case di legno prefabbricate. Mi assegnano una cabina insieme al parlamentare di cui, dopo i lunghi giorni di attesa a Nicosia, mi sento un vecchio amico. Scopriamo che la luce non funziona. Avremo tempo di leggere in futuro.
(16.00)
Ci raduniamo nella sala da pranzo improvvisata sulla sovrastruttura della nave. Il greco dai capelli grigi, che è il responsabile della sicurezza e dell´organizzazione, parla con voce calma che ci inculca immediatamente fiducia. Parole come «aspettate», «abbiate pazienza», non esistono più. Adesso stiamo avvicinandoci. La domanda è solo: a cosa ci stiamo avvicinando? Nessuno sa che cosa gli israeliani potranno inventarsi. Sappiamo soltanto che i loro comunicati sono stati minacciosi e che hanno detto che il convoglio sarà allontanato con tutti i mezzi a loro disposizione. Ma cosa significa? Siluri? Arrembaggi? Soldati che si calano dagli elicotteri? Nessuno può saperlo. Ma a violenza non deve rispondere violenza. Soltanto autodifesa rudimentale. In quel modo potremo rendere la vita difficile ai nostri assalitori. Filo spinato lungo i parapetti della nave. Inoltre, tutti devono indossare i giubbotti di salvataggio, posti di guardia vengono organizzati e ci informano su dove dobbiamo radunarci nel caso in cui i soldati israeliani salgano a bordo. L´ultima ridotta è il ponte di comando.
Ceniamo. Il cuoco è un egiziano grande e grosso e ha male a una gamba. Ma sa cucinare un buon pasto.
Lunedì, 31.5. 00.00
Faccio il mio turno di guardia a babordo da mezzanotte alle tre. La luna è grande, anche se qualche nuvola la oscura di tanto in tanto. Il mare è calmo. Le lanterne brillano. Tre ore passano velocemente. Quando mi viene dato il cambio mi rendo conto di essere stanco. Siamo ancora lontani dai limiti delle acque territoriali che gli israeliani ritengono loro e perciò da difendere. Forse riuscirò a dormire qualche ora. Bevo una tazza di tè, scambio qualche frase con un marinaio greco che parla un inglese stentato, ma che insiste per sapere di cosa trattano i romanzi che scrivo. Sono quasi le quattro prima che riesca finalmente a stendermi per dormire.
(04.30)
Sono appena riuscito ad addormentarmi quando vengo svegliato di colpo. Alzo la testa e vedo che il grande traghetto è illuminato da potenti proiettori. D´improvviso sento colpi di armi da fuoco echeggiare. Mi rendo subito conto che Israele ha scelto la via del confronto brutale. In acque internazionali.
Passa esattamente un´ora prima che i veloci gommoni neri carichi di soldati con il volto coperto arrivino e inizino a salire a bordo. Ci rifugiamo sul ponte di comando. I soldati israeliani sono nervosi e ci ordinano di scendere sul ponte. Un soldato punta la sua pistola elettrica su uno di noi che non si muove abbastanza velocemente. L´uomo cade a terra. Un altro, troppo lento, riceve una pallottola di gomma nella gamba. Non mi sembra vero di vederlo con i miei occhi. Ed è la pura verità. Persone che non hanno fatto niente vengono spinte come animali e punite per la loro lentezza.
Ci fanno sedere in gruppo sul ponte. Ci rimarremo undici ore, finché la nave non arriverà in porto in Israele. Di tanto in tanto qualche soldato ci filma con il suo cellulare anche se non ha il diritto di farlo. Quando inizio a prendere appunti, uno di loro si avvicina e mi chiede cosa stia scrivendo. la sola volta che perdo la pazienza e gli rispondo che non sono affari suoi. Lo fisso, ma non capisco a cosa stia pensando. Poi si gira e se ne va. Undici ore, immobili, stretti insieme al caldo, è qualcosa che si avvicina alla tortura. Se abbiamo bisogno di urinare, dobbiamo chiedere il permesso. Ci passano qualche biscotto, gallette e mele. Niente caffè, niente tè. Prendiamo una decisione in comune: non dobbiamo chiedere un pasto caldo. Se lo facciamo, ci filmano. Allora la propaganda potrà far vedere come i soldati ci hanno trattati bene. Ci accontentiamo dei biscotti e delle gallette. L´umiliazione non ha limiti (nel frattempo, i soldati che non sono di turno portano sul ponte i materassi dalle cabine per riposare).
Undici ore, tutto il tempo di fare un riepilogo di quello che è successo. Siamo stati attaccati quando ci trovavamo in acque internazionali. Questo significa che gli israeliani si sono comportati da pirati, esattamente come quelli che infestano le acque al largo delle coste somale. Non appena hanno costretto il grande traghetto a fare rotta verso Israele, anche noi siamo stati sequestrati. L´intera azione è illegale. Cerchiamo di discutere, di capire cosa succederà, e soprattutto come sia stato possibile che gli israeliani abbiano scelto una soluzione simile che può soltanto avere il risultato di isolarli. I soldati ci fissano. Fingono di non capire l´inglese. Ma tutti lo capiscono. Ci sono anche due giovani donne fra loro. Sembrano le più imbarazzate. Forse sono due di quelle che, una volta che il loro servizio militare è finito, scappano a Goa e si fanno fino a morire di overdose? Ho sentito dire che succede spesso.
(18.00)
Attracchiamo a un molo da qualche parte in Israele. Non so dove. Ci portano a terra in una specie di galoppatoio, mentre dei militari filmano il tutto. Improvvisamente penso che questo è qualcosa di cui non li perdonerò mai. In quel momento nei miei pensieri ci sono soltanto canaglie e maiali.
Ci dividono, nessuno ha il diritto di parlare con gli altri. D´improvviso mi trovo di fianco un funzionario del ministero degli Esteri israeliano. Mi rendo conto che è venuto per assicurarsi che io non venga trattato troppo male. Dopotutto, godo di una certa fama come scrittore in Israele. I miei libri sono stati tradotti in lingua ebraica. Mi chiede se ho bisogno di qualcosa. La mia libertà e quelli degli altri, rispondo. Non reagisce. Gli chiedo di andarsene. Allora fa un passo indietro. Ma rimane lì. Naturalmente non ammetto niente e vengo a sapere che verrò deportato. Dopo avermelo detto, l´uomo mi dice che apprezza i miei romanzi. In quel momento, prendo in considerazione la possibilità di proibire che i miei libri vengano tradotti in lingua ebraica. Non ho ancora preso la decisione definitiva.
In quella specie di "centro di accoglienza", regna un´atmosfera di indignazione e di caos. Di tanto in tanto, qualcuno viene picchiato, legato, messo in manette. Più di una volta, penso che nessuno crederà a quello che racconterò. Ma i miei occhi vedono. Molti saranno costretti a credere a quello che racconterò. Non sono il solo a essere in grado di testimoniare.
Un solo esempio sarà sufficiente. D´improvviso, un uomo vicino a me rifiuta di lasciare le sue impronte digitali. Accetta di essere fotografato. Ma le impronte digitali? Sa di non avere commesso alcun atto criminale. Oppone resistenza. Viene gettato a terra. E poi portato via. Dove non so. Che parola posso usare? Abominevole? Inumano? La scelta è libera.
(23.00)
Noi tre, il deputato, la dottoressa e il sottoscritto veniamo portati in una prigione per le persone che devono essere espulse dal paese. A quel punto ci separano. Ci gettano qualche panino che ha il sapore e la consistenza di stracci da cucina. La notte è lunga. Uso le mie scarpe da ginnastica come cuscino.
Martedì, 1 giugno. Pomeriggio
Improvvisamente, qualcuno ci dice che il deputato e il sottoscritto verremo portati all´aeroporto per salire a bordo di un aereo della Lufthansa. Siamo stati espulsi da Israele. Rifiutiamo di salire a bordo se non ci dicono cos´è successo a S. Quando siamo certi che anche lei sarà sullo stesso aereo, accettiamo di lasciare le nostre celle.
A bordo dell´aereo la hostess mi dà un paio di calzini puliti. I miei erano stati rubati da un membro del commando. Uno dei miti del soldato israeliano coraggioso e perfetto era già caduto in rovina. Adesso è necessario aggiungere che sono anche dei ladri. Perché non sono stato il solo ad essere derubato del denaro, della carta di credito, degli indumenti, del lettore cd portatile e del laptop; è successo a tanti altri di quelli a bordo della nostra nave che, un mattino presto, è stata attaccata da soldati israeliani mascherati, che in fondo non erano altro che pirati.
La sera tardi arriviamo in Svezia. Parlo con i giornalisti. Poi, tornato a casa, rimango per un po´ seduto a casa mia al buio. E. non dice molto. Il giorno dopo, il 2 giugno, ascolto il canto degli uccelli. una canzone che non è ancora morta. Adesso rimane da fare quello che deve essere fatto. Per non perdere di mira l´obiettivo, che è fare cessare il blocco della Striscia di Gaza. E avverrà.
Traduzione Giorgio Puleo
(© By 2010 Published by agreement
with Leonhardt & Høier Literary Agency, Copenhagen)