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 2010  giugno 05 Sabato calendario

PACIFICO INCANTATORE

[Ritratto di Jorge Luis Borges]
Borges non è mai stato giovane, o almeno è questa l’impressione che ci è rimasta ci sono dei tratti che fanno a pugni con il concetto , e tuttavia nella prima fotografia, in contrasto con la sua lunga vecchiaia, sembra che lo sia, sebbene qui avesse già più di cinquant’anni. Quel volto in carne e abbastanza limpido ci fa pensare a un bel colore della pelle, o persino che arrossì nel momento in cui gli hanno scattato la fotografia, come un adolescente non abituato. Ci appare scomodo, effimero, seduto su un panchetto, senza un appoggio per la schiena, le spalle piegate in avanti e i gomiti timidamente sulle cosce troppo separate. Ha un’aria da persona ordinata e lievemente domenicale, come se avesse passato la giornata pienamente cosciente che lo avrebbero fotografato, l’avvenimento del giorno. La giacca io direi che è color mattone, oggi sembra molto all’antica (ma non antiquata), con quei grandi risvolti, comunque per nulla minacciosi e quel bottone agganciato come con riserbo. Non c’è la benché minima disinvoltura, sembra un medico di quando i medici erano rispettati. In mano gli occhiali, forse tolti su indicazione della fotografa, forse per una civetteria intuitiva. Li tiene con fragilità, è troppo concentrato nella sua prova per stringerli con forza, potrebbero cadergli in qualunque momento, magari gli occhiali che vediamo sono caduti e si sono rotti, e ora assistiamo ai loro ultimi istanti. Il nodo della cravatta sta lottando per arrivare in cima e coprire il bordo del colletto bianco, ma non ci riesce, è un’utopia. E la fronte solcata come da profili di uccelli in un Van Gogh, le sopracciglia folte, le orecchie grandi ma ben attaccate (o c’è dell’abilità a far sì che i capelli, pur portati corti, non le lascino sporgere). Il naso è come un pomo ed è il tratto più plebeo, che a Borges sicuramente non piacque mai di avere. lo sguardo, però, ciò che domina l’immagine, così assente e pacifico, o meglio, miope e opaco, lo fa sembrare un uomo candido e derelitto, qualcuno che ancora non capisce che quella faccia leggermente addolorata possa avere qualcosa a che vedere col suo nome, men che meno con ciò che scrive.
Nella seconda fotografia lo si riconosce perfettamente, non è un uomo che abbia sperimentato grandi disgrazie né cambiamenti, forse in parte perché è rimasto cieco da tempo, ha smesso di vedersi e il suo aspetto dipende da altri, da quelli che gli danno consigli e lo pettinano e forse gli fanno lusinghiere descrizioni di se stesso, chiamandolo per cognome. I capelli sono a posto, ma sono già completamente bianchi, come le sopracciglia, per questo più irsute e più spesse. Il labbro inferiore ha ceduto e ora sembra molto più grande, sproporzionato rispetto a quello superiore, che è quasi scomparso. Il naso gli si è allungato però non si è ingentilito, le guance non hanno perso del tutto la loro freschezza e sulla fronte non ci sono uccelli, ma la corteccia di un albero. La palpebra destra si è abbassata al punto che l’occhio corrispondente non si scorge neanche, e il sinistro, senza vista, da una sensazione di scetticismo o miscredenza. Si gratta la testa, lo hanno colto nel mezzo di un gesto, la prima fotografia sembrava un fatto isolato e quest’altra è un’istantanea di una successione interminabile, non ha nulla dell’avvenimento. A questo punto della sua vita Borges sarà ormai abituato e non si mette in posa, tra gli altri motivi perché non può controllare l’invisibile né sentirsi ferito da chi lo immortala. molto più vecchio, non vede e tuttavia ci appare più sicuro di sé: ormai è un uomo malizioso e si è lasciato crescere le basette, una concessione incomprensibile. Forse sa che i suoi scritti, il suo nome e il suo volto si sono mescolati per sempre.
Javier Marías