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 2010  giugno 05 Sabato calendario

DOSSIER ILLEGALI, PARLA TAVAROLI "IO E IL PRESIDENTE TELECOM" - MILANO

Un Giuliano Tavaroli un po´ appesantito, ma muscoloso, con l´occhio limpido e la voce ferma, rompe il silenzio dopo il patteggiamento a quattro anni e due mesi: «Sì, ho letto ovviamente i nuovi verbali di Tronchetti Provera». Scuote la testa: «E l´ho anche visto in tv in un´intervista sdraiata di Fabio Fazio, a prendere le distanze da me, a dire che quasi manco mi conosceva».
Ma, scusi, Tavaroli, si è sentito offeso?
«A livello personale non m´importa, qua c´è un´offesa professionale. E posso consentire ai giornalisti e ai magistrati di scherzare, al mio datore di lavoro no. Tronchetti sa bene che mentre lavoravo per lui ho fatto conferenze alla Nato, e anche in decine di università, perché la nostra Security aziendale era un modello. Adesso, tentano di farci passare, attraverso i loro avvocati, come un´accozzaglia di manigoldi. E lui? Fa finta di niente».
Ma lei e il dottore che rapporti avevate?
«Lui sembra voler interpretare il ruolo del gran signore che ha avuto un maggiordomo un po´ infingardo, faccia pure, Tronchetti. Perché in effetti mi sono occupato anche di questioni personali e familiari... »
E cioè?
«Bah, gli esempi sono tanti. Un Natale mi chiama perché le figlie, di ritorno da Saint Moritz, sono state controllate e fermate in frontiera, e io a mia volta chiamo e corro. A Pasqua, un´altra emergenza. Bisognava aiutare il figlio di un amico, un ragazzo con seri problemi, che doveva finire in comunità, ma andava in giro. Tronchetti e il padre avevano paura che potesse commettere delle stupidaggini, eccoci qua, siamo noi che ci attiviamo per farlo sorvegliare ventiquattr´ore su 24, meglio di una mamma. Cose normali, sacrosante, per carità, ma... ».
Ma nell´udienza preliminare, il dottore sostiene che vi vedevate poco, lo stretto indispensabile.
«Non ci vedevamo certo tutti i giorni, ma certo che ci sentivamo e, quando serviva, viaggiavamo anche insieme. E nei casi di emergenza era Tronchetti, o la sua segretaria personale, che mi chiamavano. Bastava chiedere alla mitica signora Longaretti come stavano le cose».
Anche con i tabulati telefonici si sarebbe potuto ricostruire la dinamica dei rapporti. stato fatto?
«Non mi risulta, sarebbe stato davvero utile analizzarli per dimostrare quanto la Security vivesse "dentro" l´azienda e per l´azienda lavorava. Come investigatore, mi chiedo come mai in Procura non siano state passate in rassegna nemmeno le mie mail, che raccontano giorno per giorno che cosa fosse, nella realtà e non nella fantasia, la sicurezza di Pirelli e Telecom, la nostra vera storia. Sin dall´inizio ho chiesto che fossero esaminati i nostri computer, erano la cartina di tornasole più chiara».
Anche questo non sarà stato fatto dai sostituti procuratori...
«Esatto, non mi risulta».
Ma si troveranno questi vostri computer che erano stati sequestrati?
«Spero di sì, specie se qualcuno vuole capire».
Ci aiuti a capire lei come funzionava. Per esempio, il dottore l´ha chiamata per proteggere qualche persona importante in difficoltà?
«Più d´una volta. Mi chiamò per il suo amico Luca Cordero di Montezemolo, quando dovevano eleggerlo presidente di Confindustria. Vado da Tronchetti e vedo uscire Cesare Romiti. Il quale, mi dicono, non voleva che Montezemolo si presentasse, e parlava di un verbale giudiziario degli anni Ottanta, una vecchia inchiesta di Torino».
Lei è sicuro di quello che sta dicendo?
«Per appurare la questione, mi muovo con il mio collaboratore Sasinini, operiamo sul pm di Biella o di Asti, comunque un magistrato vicino al procuratore Giancarlo Caselli. Sasinini chiama il pm e organizziamo a casa di Tronchetti un pranzo con Caselli».
C´è stato questo pranzo?
«Che c´è stato è sicuro, ma io non ho partecipato».
Risulta un´indagine vostra sull´ingegner Carlo De Benedetti. sempre Tronchetti a ordinarle il report sulle utenze, soprattutto elettriche, delle case dell´ingegnere, per sapere quanto tempo passa all´estero?
«Eh, si sa che in vari momenti tra i due non correva buon sangue».
 proprio vero che stavate aiutando l´Inter di Moratti contro Luciano Moggi?
«La pratica Ladroni, come la chiamavamo noi, riguarda le indagini sui rapporti tra la Juventus e gli arbitri. Volete sapere a quando risale? Al 2002... Succede che un arbitro bergamasco, ammiratore e amico di Giacinto Facchetti, anche lui bergamasco, un giorno scoppia e gli racconta i retroscena di quella che sarà Calciopoli. All´Inter vanno in fibrillazione, si spiegano alcune espulsioni, alcuni rigori assurdi e così Tronchetti consiglia a Moratti di chiamarmi».
Siete andati dalla magistratura?
«Era quello che volevo, ma la situazione è complessa e do a Moratti l´unico suggerimento possibile, e cioè portare Facchetti, come fonte confidenziale, dai carabinieri. Può parlare, resterà anonimo, l´indagine comincerà».
All´Inter che dicono?
«Tentennano, preferiscono non esporre Facchetti, forse hanno paura, io non posso intervenire più di tanto. Moratti mi dice che ha capito come stanno le cose e ne soffre, è preoccupatissimo, ma non vuole distruggere il calcio italiano. Allora che cosa possiamo fare? Si prepara un documento, che finisce sui tavoli dei sostituti procuratori Francesco Greco e Ilda Boccassini. E l´arbitro, convocato, va in procura, ma non è così facile come sembra... Fa scena muta. L´inchiesta Calciopoli non parte quindi da Milano, com´era possibile, ma partirà qualche anno dopo, a Napoli».
Davanti al gup Mariolina Panasiti s´è molto parlato dei dossier sull´ex sindaco di Telecom Rosalba Casiraghi.
«In una riunione con Carlo Buora, Tronchetti e Rocco di Torre Padula si fa il punto su come la stampa parla dell´azienda. Non bene, ci sentiamo sotto tiro e c´è il sospetto che sia la Casiraghi a soffiare le informazioni ai giornalisti. Nasce così la decisione di capire meglio».
Glielo consegnate fisicamente il dossier?
«A lui bastava quello che riferivo io. Un solo dossier legge di sicuro, quello relativo alla cognata, la signora Soriani, la seconda moglie del fratello, della quale durante l´interrogatorio davanti alla Panasiti, dice di non ricordarsi nemmeno il cognome... ».
Lei adesso è uscito dal processo Telecom e ha patteggiato la condanna per truffa e associazione per delinquere. Si sente uno sconfitto?
«No, e nemmeno un capro espiatorio. Mi sento di avere pagato i miei debiti e i miei errori, altri non l´hanno fatto. Io e la mia famiglia sì, e a caro prezzo. Ieri a scuola, mia figlia, di sette anni, si sente dire da un amichetto: "Tuo papà ha fatto delle cose brutte". Ma questo è inaccettabile, perché non ho fatto nulla di brutto, se non proteggere un´azienda, le sue strutture, i suoi uomini. Sono finito in un´inchiesta che non è arrivata alla verità e mi sa che il marasma non è ancora finito, perché comincia il processo per rito ordinario, quello che vede Emanuele Cipriani, il titolare dell´agenzia di investigazioni accusata dei dossieraggi illegali, come principale imputato. Immagino che lui mi chiamerà a testimoniare in aula, a settembre. E, come testimone, ho l´obbligo di dire la verità, e non posso nemmeno avvalermi della facoltà di non rispondere».
Lei, dunque, spera di ricevere finalmente le domande giuste? Sia il gip Gennari che il gup Panasiti, rimandando gli atti alla procura, hanno chiesto di indagare di più...
«Se lo dicono loro... Io sono stato un maresciallo dei carabinieri, sezione antiterrorismo, e la mia carriera successiva nasce dalla strada, non dalle raccomandazioni della politica. Quando mi sono congedato, sono stato chiamato da un cacciatore di teste a lavorare per Italtel e quando entro in Pirelli, il primo aprile del 1996, Cipriani è già lì. Lavorava sotto il manager Sola. Io, Cipriani e Marco Mancini non siamo dunque "tre amici al bar" che cercano di creare una combriccola a danno di Pirelli. Non ho portato via un euro, se molti credono che taccio perché ho un tesoretto all´estero, sbagliano. Tronchetti non mi ha coperto d´oro per non parlare e non sono stato zitto, è stato lo stesso gip Gennari a dire che ho collaborato. Non ho nulla di più dei miei stipendi. Ho il mio lavoro, un curriculum di tutto rispetto che hanno provato a infangare per salvare il presidente».
Il quale si è costituito parte civile contro di lei.
«Sì, lui e Afef. Ma siamo seri, che cosa volete che me ne importasse di indagare sui familiari di Afef? Tronchetti è un codardo, non ha avuto il coraggio di prendersi le sue responsabilità sui report che ci chiedeva, ha preferito offendere la dignità dei professionisti al suo servizio».
Ma lei e Cipriani siete amici o no?
«Sono amico di Mancini e ho un rapporto di conoscenza con Cipriani, punto e basta. Quando stavo in Italtel non mi sono mai servito dell´agenzia di Cipriani. Lo rincontro a Firenze tra il 78 e il 79. Lui faceva il funzionario di banca, ma fremeva per fare l´investigatore. Il suo idolo era Mancini, che lavorava per i servizi. Cipriani fa domanda per entrare nel Sisde, ma non ce la fa. Apre allora un´agenzia di investigazioni. Le nostre frequentazioni sono diverse. Per intenderci, io l´oratorio e gli scout, lui i figli di papà... ».
Ora siete grandi e, all´apice delle carriere, siete incappati nella legge.
«Già e quando scoppia l´inchiesta, passano sei mesi in cui non succede nulla. Io lavoro in Romania, poi a gennaio mi chiama Tronchetti Provera, che preme per riavermi in azienda in Italia. Facciamo una riunione con il capo del personale Gustavo Bracco e il capo del legale Francesco Chiappetta e lo stesso Tronchetti. Pensano di ripristinare, sempre con me a capo, un servizio più limitato di Security. Sempre a gennaio, c´è un altro incontro con Tronchetti, ed è presente anche il funzionario Valente. Il presidente si mostra preoccupato perché, mi dice, Cipriani ha consegnato alla Procura la password del dvd, e cioè la chiave del "forziere" che conteneva tutti i dossier della Polis d´Istinto. E là esistono anche due o tre pratiche che fanno paura a Tronchetti Provera, e lui stesso mi cita alcuni file sui politici, Fassino e D´Alema, che sono citati in Oak Fund, e Aldo Brancher».
E che cosa pensate di fare?
«Le ipotesi sono tante, ma in realtà l´azienda si paralizza. Si muove solo dopo la procura, e quando sa di non poter agire diversamente. E a me cambiano le carte sul tavolo. A giugno 2006 vengo licenziato, mi buttano a mare, prendono le distanze. Da gennaio a settembre 2006 mi cucinano e a settembre vado in galera. Un anno, di cui otto mesi e 13 giorni in isolamento. Del resto Tronchetti Provera conosce bene il metodo per far fuori qualcuno, quando arriva in Pirelli mandato da Mediobanca. Riesce a dare l´ultima spallata a Leopoldo Pirelli, ai tempi di Tangentopoli, quando lui e i manager vanno in procura. Indicativo sarà il discorso che Alberto Pirelli fa alla commemorazione del padre».
Ma, secondo lei, l´inchiesta milanese ha mai puntato a Tronchetti?
«Forse all´inizio, ma non so... Tronchetti mese dopo mese contava sempre di meno sullo scacchiere degli affari. Anzi, mentre Tronchetti tratta l´uscita di scena con il banchiere Giovanni Bazoli e la vendita di Telecom è ormai considerata cosa fatta, l´inchiesta finisce, puf».
Ma Tronchetti perché avrebbe avuto bisogno di lei per contattare chicchessia?
«Sì, so che dice così, ma è falso. Ovvio che poteva avere contatti con chiunque, ma è anche vero che c´era gente come D´Alema e Tremonti che non ci tenevano a vederlo».
E lei che cosa fa?
«Sono io che gli ho fatto fare la pace con D´Alema, per il tramite di Lucia Annunziata, e lo stesso con Tremonti, attraverso l´ex ufficiale della finanza Marco Milanese, che io conoscevo e che lavora con lui, ora è onorevole. Tronchetti confonde i contatti formali con quelli sostanziali. Per quelli formali c´era Perissich e Rocco di Torre Padula. Per gli altri, serviva il fido Tavaroli, ora rinnegato».
Lei dà del falso a Tronchetti, che invece fa l´anima bella, perché ha mentito in altre occasioni?
«Per esempio quando dice che le indagini su Oak Fund sono del 2005, invece sono nate nel 2001, dopo l´acquisto di Telecom dalla cordata di Emilio Gnutti e Roberto Colaninno. Voleva sapere a chi erano andati parte dei soldi versati per l´acquisto di Telecom. Si pensava a una parte politica, la sinistra, a cui Tronchetti dava fastidio».
Fastidio?
«Sì, era entrato con i piedi nel piatto in Telecom, appetito da tanti. Voleva fare l´imprenditore indipendente e questo può comportare dei rischi. Ora infatti è sceso a patti con la politica, è nei ranghi, è diventato manovrabile come tanti, tanti altri. Forse è quello che volevano, farlo tornare a più miti consigli. Era una minaccia al potere, non era il potere. Ma di mezzo ci sono finito io, con la mia famiglia».

***
il Giornale, domenica 5 giugno 2010
Tavaroli, Cipriani, Ghioni, tutti ex dipendenti o comunque a contratto con Pirelli e Telecom, dicono che Marco Tronchetti Provera era a conoscenza dei dossier illegali che confezionavano. Possibile che mentano tutti?
«Mettiamo le cose in ordine - dice subito Tronchetti nella sua prima intervista su questa vicenda -. Tutte le persone che lei cita riferiscono cose dette o riportate da Tavaroli (l’ex capo della security Telecom e Pirelli, ndr). Nessuno di questi signori può infatti sostenere di avermi parlato o passato personalmente un documento di carta. Per quanto riguarda Tavaroli, invece, nei suoi numerosi interrogatori davanti ai magistrati dice che sia il sottoscritto sia Buora siamo persone per bene e ammette di non averci mai consegnato alcun dossier. Uno dei motivi per i quali non sono entrato nel processo. Quello che i signori dicono fuori dalle aule giudiziarie è tutt’altra cosa. Pensi che Cipriani riferisce di un Tavaroli che con il dossier sotto il braccio si precipitava di continuo nella mia stanza. Lo stesso Tavaroli nell’intervista di ieri lo smentisce. Insomma sui giornali si legge di tutto».

Ma proprio nell’intervista di ieri a «Repubblica», Tavaroli dice che lei sapeva tutto.
«Tavaroli sostiene cose, ancora una volta, che non sono in linea con la verità e in contraddizione con la sua stessa verità processuale. L’unica cosa corretta che dice è che sono un persona indipendente e che per questo ho pagato e pago un prezzo».

Ritorniamo a quella che lei definisce verità processuale.
«Sia di fronte al giudice Gennari sia davanti ai Pm, Tavaroli dice esattamente l’opposto di quanto ha dichiarato a Repubblica. agli atti».

E Tronchetti inforca gli occhialini e inizia a leggere l’interrogatorio in cui Tavaroli ammette che pur di uscire di galera sarebbe pronto a dire qualsiasi cosa, ma non può mentire. «E che vi devo dire? - Tronchetti legge un verbale di Tavaroli davanti al Gip nel 2007 -. Cioè vi devo dire che Tronchetti è un delinquente? Ma non è vero. Che Buora è un delinquente? Non riesco. Cioè non mi viene. Mi piacerebbe, non glielo posso dire. Son gente di cui non ho idea di illeciti. Anzi tutto il contrario. gente che mi ha sempre chiesto di operare nella tutela della legalità».

Ritorniamo ai casi specifici. Tavaroli e il suo amico Cipriani sostengono che lei abbia commissionato dossier sull’universo mondo. Ma anche sui filippini al suo servizio, sulla guardarobiera di sua moglie, sulle sue figlie bloccate alla frontiera di Sankt Moritz. Difficile immaginare che queste pratiche non fossero da lei richieste.
«Non facciamo confusione. Io non ho mai commissionato un dossier a nessuno. Ho in azienda una persona di fiducia, che si occupa di sicurezza. Se ho un piccolo problema, mi viene naturale chiedergli una cortesia per risolverlo. Insomma ho i miei figli bloccati per un errore in frontiera, e gli chiedo di fare una telefonata per controllare cosa sia successo. E altrettanto vale per il figlio di un mio amico che aveva dei seri problemi con la droga. Che poi Tavaroli si rivolgesse a Cipriani mi era del tutto oscuro. normale che mi rivolgessi a un uomo di fiducia, con un passato nelle forze dell’ordine e che per di più curava la security di un gruppo complesso come il nostro»

Si trattava di semplici telefonate?
«Sì, mai un dossier. Bisogna dunque distinguere bene le cose. In casi eccezionali ho chiesto delle cortesie, banali e semplici, a un uomo della sicurezza. Ma l’attività di dossieraggio era ben altra cosa. E mettere insieme le due vicende è assurdo».

Le si può contestare l’utilizzo di strutture aziendali per uso privato?
«Non mi sembra il caso. In rarissimi casi ho chiesto una cortesia a una persona che per la funzione che ricopre ha dei contatti. La stessa cosa ho fatto in casi eccezionali con un medico, consulente della Pirelli con relazioni in tutto il mondo, quando qualcuno ha avuto un problema di salute serio».

Tavaroli accenna a una riunione al vertice sulla fuga di notizie riguardo a Telecom, in cui si metteva sotto osservazione il sindaco Casiraghi?
« una cosa dissennata. La dottoressa Casiraghi è stata per anni sindaco del gruppo e non ha mai avuto a che ridire sulle strutture di governance all’interno delle aziende, e attribuirle soffiate alla stampa mi sembra scorretto».

Mi scusi Tronchetti, ma la Casiraghi collaborava con Massimo Mucchetti, che guarda caso è stato oggetto di un tentativo di spionaggio. Insomma sarà pure una cosa dissennata ma il giro, diciamo così, Casiraghi-Mucchetti qualche attenzione illegale l’ha subita?
«Anche qui mi rifaccio alle parole di Tavaroli. Tronchetti si mette a leggere di nuovo il verbale in cui Tavaroli davanti al giudice Gennari dice: ”Il dottor Tronchetti non ha mai chiesto un’indagine su Mucchetti e su altri”. Per quanto riguarda i rapporti tra Tavaroli e Mucchetti è interessante vedere un altro passaggio dell’interrogatorio di Tavaroli in cui, chi scrive, legge nel verbale: ”Mucchetti è una pessima persona. Mucchetti è uno che quando l’ho incontrato mi ha offerto di tutto perché mi ha detto: Io voglio vedere il dottor Tronchetti in galera. Lo odio. E mi ha offerto di tutto per vendermi qualsiasi cosa del dottor Tronchetti perché lui doveva far un libro per rovinare il dottor Tronchetti perché lo vuole vedere in galera. Queste sono le parole che lui ha detto a me”. Questo è ciò che Tavaroli dice davanti ai magistrati e che dà uno squarcio interessante di quali fossero rapporti e sentimenti».

Ma perché secondo lei Tavaroli la difende a spada tratta davanti al giudice a costo di restare in galera, mentre oggi la molla?
« certamente un comportamento anomalo, quello di chi ha tante verità quanti sono i suoi interlocutori. Ma non è l’unico in questa vicenda. Pensi a quello di Cipriani. Pochi mesi fa ha chiesto, attraverso i suoi avvocati, un accordo transattivo da 4 milioni. Noi rifiutiamo. E ora viene in Tribunale e come se nulla fosse dice tranquillamente di aver operato su mio mandato. E per quale motivo solo pochi mesi fa allora voleva fare un accordo per restituire dei soldi? Per il suo buon cuore? Si tratta evidentemente di un modo per turlupinare l’opinione pubblica e comunicare il falso».

Ma in realtà tra lei e Cipriani qualche rapporto esiste. C’è una fattura di una società di Cipriani per la sicurezza del matrimonio di sua figlia?
«Io ho la fortuna di avere due figlie che hanno sposato due bravi ragazzi, ma se lei mi chiede chi ha fornito il catering o chi si è occupato dei trasporti o della sicurezza non le sarei in grado di risponderle. Ci saranno sicuramente fatture a mio nome, ma non per questo conosco e ho rapporti con tutti i fornitori del matrimonio».

Torniamo alle accuse mediatiche di Tavaroli. vero che lei ha organizzato una colazione con il giudice Caselli per approfondire una vicenda legata a Luca Cordero di Montezemolo, a ridosso della sua elezione alla presidenza di Confindustria?
« vero, l’ho detto anche ai magistrati nella mia testimonianza. avvenuto per il tramite di don Ciotti ed evidentemente Tavaroli ne era al corrente».

Ma quale era il problema con Montezemolo e perché se ne occupava lei?
«C’era stato un attacco fatto in Assolombarda, l’associazione industriali di cui faccio parte, e riguardava alcune vecchie storie. Il giudice Caselli mi ha confermato che non c’era nulla a sua conoscenza che riguardasse Montezemolo di recente. E non c’era dunque nessuna ragione che gli impedisse di ricoprire un ruolo pubblico».

In tutta questa brutta vicenda ricompare come un fiume carsico un famigerato dvd di Cipriani contenente tutti i dossier illegali. Tavaroli dice che lei era preoccupato perché la Procura ci aveva messo le mani sopra e aveva la password per decrittarlo.
«Dobbiamo fare un passo indietro. A fine 2005 ci rendiamo conto che mancava una parte della documentazione che giustificasse fatture di società estere riferibili a Cipriani. Per farla breve dopo una certa consultazione tra legali, Tavaroli mi disse che era in grado di produrre le pezze giustificative. Quando a marzo-aprile del 2006 non ottenemmo alcun riscontro capimmo che il rapporto fiduciario con Tavaroli si era rotto. Gli abbiamo chiesto di lasciare l’azienda e abbiamo inviato alla magistratura copie delle fatture. In questa fase si inserisce la storia del dvd. Prima dell’uscita di Tavaroli c’era arrivata attraverso un legale di Cipriani l’offerta di un dvd dove, stando a quanto dicevano, erano conservati i dossier e altro materiale. Rifiutammo. E dicemmo di inviarli direttamente alla magistratura».

Quindi voi avete detto di inviarlo alla magistratura?
«Non so cosa ci fosse nel dvd. Ma la cosa certa è che noi non abbiamo mai avuto nessun timore che il dvd finisse ai magistrati. Anzi siamo stati noi a chiederlo»

Non era neanche interessato a sapere chi si celasse dietro al misterioso fondo Oak che partecipò all’Opa di Colaninno su Telecom? Per anni si è fantasticato di partecipazioni nascoste e scottanti.
«Ma si figuri. Quando entrammo in possesso di Telecom il problema non era quello dell’Opa passata, ma semmai dell’indagine Telekom Serbia. E sulla vicenda demmo l’incarico all’ex presidente della Corte costituzionale Corasaniti di dialogare con la commissione parlamentare di inchiesta avendo pieno accesso a tutte le carte dell’azienda, perché non volevo coinvolgere l’azienda. Quando nel 2002 negoziammo l’uscita totale da Telekom Serbia, Tavaroli, che in un viaggio aveva accompagnato Buora nell’operazione, mi disse che gli avevano offerto della documentazione che poteva interessare le indagini. Dissi a Tavaroli di consegnarle alla magistratura se rilevanti».

Va bene, ma la sua security passò un bel po’ di tempo a occuparsi di Oak found. E anche in questo caso l’interesse poteva apparire aziendale. Semplifico: lei non era molto gradito al governo Prodi, dimostrare che D’Alema e amici avessero avuto un ruolo nel fondo le avrebbe dato in mano un arma nucleare.
«E anche in questo caso le rispondo come ha fatto Tavaroli nell’interrogatorio che ha avuto davanti alla Procura il 31 maggio 2007. Si consuma il solito rito delle carte e degli occhiali e Tronchetti inizia a leggere il verbale in cui Tavaroli dice, e siamo nel gennaio 2006: ”Il presidente Tronchetti mi chiese conferma del fatto se nei dossier vi fossero indagini riguardanti politici. Risposi che mi ricordavo, oltre a quelle che stavano emergendo, che vi era l’operazione Oak found, nelle cui conclusione si attribuiva il fondo al partito Ds. Il presidente si inquieta chiedendomi conto di questo incarico”. Lo stesso Tavaroli davanti ai giudici ammette quindi che io non ne sapevo nulla e che quando lo seppi mi inquietai, come dice lui. E se vuole le dico che è uscito sui giornali che il fondo era gestito da Magnoni ed era partecipato dall’ex proprietario della Campari, Rossi».

 vero che Tavaroli però le procurava dei buoni rapporti con alcuni politici?
«La questione D’Alema a cui si riferisce è presto detta. una balla. Avevo un rapporto diretto, come è naturale, con D’Alema. Credo piuttosto che Tavaroli, alla ricerca di un modo per accreditarsi, abbia cercato per fatti suoi di metterci in contatto: cosa che però non serviva. Operazione che avrà fatto anche con altri politici. Brancher l’ho conosciuto una volta allo stadio, grazie a una occasionale presentazione di Tavaroli. Ma poi non l’ho più rivisto. Anche in un altro punto Tavaroli si contraddice. A Repubblica afferma che ero io a chiedere il suo ritorno alla security di Telecom. Ai magistrati invece dichiara: ”Preciso che nel gennaio 2006 pareva che dovessi rientrare in Telecom; ebbi un colloquio alla presenza di Giancarlo Valente con il presidente Tronchetti nel suo ufficio di Piazza Affari a Milano. In quella circostanza il presidente mi comunicò che non trovandosi alcune pratiche degli incarichi affidati a Cipriani era inopportuno che io tornassi in azienda”».

Tavaroli dice che si stavano anche occupando di Calciopoli?
« vero ciò che dice. Moratti si era rivolto a Tavaroli, su mio consiglio, perché aveva delle questioni delicate da affrontare su vicende arbitrali che poi portarono a Calciopoli. Quello che è successo è un po’ diverso: Moratti è andato direttamente dalla Boccassini a denunciare ciò che aveva saputo. Ma alla fine il giovane arbitro che poteva svelare tutta la vicenda non se la sentì di testimoniare e tutto è saltato».

Era la stessa security che teneva d’occhio Vieri...
«C’era il timore che Vieri conducesse una vita non da sportivo e Moratti si chiedeva cosa facessero le altre squadre in tema di sicurezza. stato normale chiedere al responsabile della sicurezza Pirelli cosa si potesse fare. Si trattava solo di una consulenza».

Ma tutte queste attività, diciamo così collaterali, e per di più svolte con Cipriani e altri consulenti non facevano scattare un campanello di allarme nei costi della security?
«Non è così semplice. Le dico solo che un funzionario dell’amministrazione era riuscito dal 1999 al 2003 a sottrarre 10 milioni all’azienda senza che nessuno se ne accorgesse. Poi ne abbiamo recuperati quattro. Ma i campanelli d’allarme in due società che complessivamente avevano oltre 120mila dipendenti, esborsi per gli acquisti che solo per Telecom ammontavano a circa 12 miliardi di euro all’anno, possono non suonare immediatamente. Nel caso della Security il budget annuo ammontava a 50 milioni. Quelli relativi a servizi affidati ad esterni erano meno di 10 milioni. Il resto erano acquisti di apparati per la sicurezza di rete, software, centraline, generatori in caso di black out. Non è facile cogliere anomalie».

Mentre era piuttosto facile cogliere l’anomalia dei media vicini all’ingegner De Benedetti nei suoi confronti è dunque molto suggestivo il pensiero che lei avesse potuto chiedere alla sua struttura di darle qualche informazione riservata, come dice Tavaroli?
«In quella fase gran parte dei media, come scrisse anche il pm Napoleone, hanno contribuito a creare l’illusione collettiva delle intercettazioni telefoniche. Si continuavano a pubblicare foto che alludevano a grandi orecchi Telecom che ascoltavano per mio conto il Paese. Tutto ciò si è rivelato una grossa balla: come ha anche denunciato Guido Rossi al Copaco nell’ottobre 2006 non vi è evidenza di una sola intercettazione. Era un modo per deleggittimarmi. Dice la verità Tavaroli quando dice che volevano fare fuori un imprenditore indipendente. Dal gennaio del 2005 a fine 2006 milioni di italiani sono stati bombardati dall’illusione delle intercettazioni. Quando lascio la gestione di Telecom la cosa svanisce e perde appeal».

E il dossier su De Benedetti?
«L’unica cosa che so è grazie a De Benedetti stesso. Davanti a un testimone mi ha riferito che nel dossier che lo riguarda non c’è nulla. Anzi no, sostiene di essersi stupito del fatto che ci sono i numeri di telaio di tutte le sue automobili. Ma io quel dossier non l’ho visto».

E l’ingegnere come ha fatto?
«Non lo so lo chieda a lui».

Lei ha visto qualche dossier?
«Neppure uno».

Erano tutti nel famoso dvd?
«Così hanno detto. Anche se una parte li abbiamo trovati noi, in un ufficio della Bicocca che era utilizzato dalla security. Non appena li abbiamo visti, li abbiamo sigillati e inviati alla Procura».

Tavaroli nella sua intervista allude a un sua spallata, che avrebbe dato a Leopoldo Pirelli con Tangentopoli...
«Questa è la cosa che mi ferisce di più, capisco l’amarezza per una persona che si è trovata nella situazione in cui si è trovato Tavaroli, però certe cose superano anche dal punto di vista umano la soglia accettabile. Leopoldo lasciò gli incarichi operativi dell’azienda tra la fine del ”90 e l’inizio del ”91, prima di Tangentopoli. Mediobanca nelle persone di Cuccia, Maranghi e Braggiotti mi chiese di assumere la responsabilità dell’azienda. Io dissi che non la avrei assunta senza la richiesta di Leopoldo e senza che a quest’ultimo fosse conferita la presidenza».

C’è chi ritiene che ci sia un certo occhio di riguardo da parte della Procura di Milano nei suoi confronti e di quelli di un’azienda storica come Pirelli. Un po’ sul modello della Fiat a Torino?
«Se lei guarda gli interrogatori che il giudice e i Pm hanno fatto a Tavaroli vede quante volte è costretto a ripetere che sa benissimo che se mettesse in mezzo il sottoscritto o il dottor Buora sarebbe la via più facile per uscire di galera ma come le ho già detto non lo fa, nonostante Pm e giudici lo incalzino. Oggi Tavaroli sostiene che ci sono prove importanti contenute nei computer. stato quasi un anno in prigione, bastava che tirasse fuori un documento, una mail per uscire e tornare a casa dai suoi figli, perché non lo ha fatto? Forse perché le prove non esistono, né nei pc né da nessuna altra parte».

Teme che con il rinvio delle carte alla Procura fatto dal gup si possa riaprire la sua vicenda processuale?
«Noi abbiamo denunciato dei comportamenti illeciti. Tutto ciò che avevo da dire l’ho testimoniato in quattro diverse occasioni durate qualche decina di ore».

Ma il fatto che Cipriani & Co. non siano stati rinviati a giudizio per appropriazione indebita ma «solo» per associazione a delinquere e corruzione non apre scenari nuovi?
«Occorre leggere le motivazioni».

 tranquillo dunque?
«Ma veda, un risultato tutta questa vicenda lo ha avuto. stato alimentato un processo mediatico che ha contribuito ad indebolirmi nel momento in cui cercavo un percorso di sviluppo per la Telecom. Inoltre oggi qualcuno vorrebbe usare questi ultimi schizzi di fango per condividere le responsabilità che come emerge da quanto detto sono chiare e definite».

Lei pensa che senza la campagna di stampa, oggi sarebbe ancora in Telecom?
«Penso che senza le pressioni mediatiche e le ingerenze politiche sarebbe stato possibile portare avanti quel percorso di sviluppo cui facevo riferimento».

E il governo Prodi, la politica ci hanno messo il loro zampino?
«Questo lo lascio valutare a lei. Pensi però al fatto che il prezzo che mi venne pagato dalle banche per cedere tutta Telecom è pari all’offerta che mi avevano fatto At&T e American Moviles per una minoranza e non già per tutta la mia partecipazione. Ancora più chiaramente: oggi avrei incassato dagli americani la stessa cifra che ho preso dalle banche, ma in più sarei rimasto al 33 per cento del gruppo. Fui costretto a rinunciare a quell’offerta per le ingerenze esterne che subii in quella fase. Ne è testimonianza l’inusuale presa di posizione che fece in quell’occasione l’ambasciatore americano sul Corriere della sera e che denunciava la difficoltà di fare investimenti in Italia».
Nicola Porro