Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2010  giugno 05 Sabato calendario

TORNA LO SPETTRO DEL CONTAGIO MA L´ECONOMIA GLOBALE SI RITROVA SENZA UNA GUIDA

Tutte le fragilità dell´economia globale sono riapparse di colpo. Ieri è bastata la minuscola Ungheria - l´ultima candidata a una bancarotta sovrana - a precipitare l´euro ai minimi dal 2006, mentre andavano a picco le Borse mondiali. Da Budapest si è riacceso l´allarme su un nuovo contagio di "Stati falliti". Un allarme che preoccupa anche per la tenuta del sistema bancario italiano. Le voci di un buco nei conti della banca francese Société Générale hanno confermato quei timori. Ma il collasso ungherese non è stato l´unico fattore dietro questo venerdì nero. L´America ci ha messo del suo. La sua ripresa economica sembrava una certezza. Ieri sulla solidità di questa crescita sono tornati dei dubbi. A maggio gli Stati Uniti hanno creato "solo" 431.000 posti di lavoro. Ancora troppo pochi per una nazione che nel biennio recessivo ne ha distrutti otto milioni. In più la qualità della nuova occupazione è deludente. Oltre 400.000 sono impieghi a tempo determinato, assunzioni pubbliche di breve durata per le operazioni del censimento demografico. L´economia reale di nuove assunzioni ne ha generate poche decine di migliaia, un´inezia. Barack Obama è costretto ad ammettere che la ripresa è ancora anemica: «Non siamo tornati alla prosperità». Il presidente preme sul Congresso perché approvi una nuova manovra di spesa pubblica da 100 miliardi di dollari, mirati a disoccupati e piccole imprese. Non lo aiuta il rafforzamento del dollaro che pesa sull´export made in Usa. E soprattutto i venti di panico dall´Europa trovano l´economia americana in una fase ancora vulnerabile. La ripresa è un virgulto giovane. Le turbolenze finanziarie che hanno l´epicentro nell´Unione europea possono spaventare i consumatori americani, già costretti a ridurre il loro indebitamento.
Così Wall Street ieri era costretta a palpitare anche per le convulsioni della politica ungherese. Sugli schermi Bloomberg delle sale di trading hanno avuto l´effetto di una bomba le parole del portavoce del premier magiaro, Viktor Orban, sulla possibilità di una "crisi di stile greco". Come Atene, ecco che anche Budapest "scopre" improvvisamente che i suoi conti pubblici in passato furono truccati; squarcia il velo delle menzogne e mette a nudo una situazione debitoria molto più pesante. Si arriverà alla dichiarazione d´insolvenza? «Non si possono usare queste parole alla leggera», ha ammonito un duro comunicato della Royal Bank of Scotland: non a caso, un colosso del credito che fu salvato nel 2008 solo grazie all´intervento diretto del governo di Londra. E´ proprio lì che si nasconde uno dei meccanismi di trasmissione del possibile contagio. Molte banche, italiane incluse, sono esposte verso l´Est europeo. Se uno Stato cessa di pagare i suoi debiti, quali buchi si aprono nei conti di alcune banche occidentali? L´Europa ha già una situazione ai limiti della sostenibilità: è il sistema bancario spagnolo, un malato in coma tenuto in vita a furia di flebo e tende a ossigeno. Poi ci sono gli effetti sulle finanze pubbliche di altri paesi. Ieri la paura originata da Budapest si è subito riflessa sui rialzi dei credit default swap, gli strumenti assicurativi che misurano il rischio d´insolvenza degli Stati sovrani. Si è divaricata di nuovo la forbice tra i paesi che il mercato giudica più solidi, come la Germania, e quelli dell´area mediterranea. Il franco svizzero, tradizionale rifugio nelle tempeste, è balzato ai record sull´euro. Pesto si sentiranno nuove grida contro la speculazione. Ma sono anche i prudenti fondi pensione degli statali americani a "ritirarsi" da certi paesi, se sentono odore di bruciato. La fuga verso la sicurezza, mentre favorisce i Treasury Bond americani e i Bund tedeschi, renderà più caro rifinanziare i debiti pubblici di altri paesi. La stessa manovra Tremonti, ancora fresca di stampa, potrebbe rivelarsi già superata entro breve tempo.
"Global governance" cercasi: in questa nuova convulsione della crisi, che colpisce proprio gli Stati sovrani, manca all´appello ogni forma di risposta coordinata. Proprio questa settimana si è concluso in un fiasco il G20 dei ministri economici a Busan, in Corea del Sud. Ancora una volta è stato impossibile raggiungere l´accordo tra i paesi ricchi sulle nuove regole bancarie: quelle che dovrebbero ridurre i rischi e consolidare la base patrimoniale delle aziende di credito. E´ un pessimo segnale che può preludere a un flop nel maxivertice di Toronto il 26 giugno. Viene a mancare così quel quadro di certezze normative, che è uno degli ingredienti indispensabili per ridare stabilità al sistema. Anche nelle politiche fiscali e di bilancio regna la confusione, Europa e Stati Uniti sembrano tirare in direzioni opposte: politiche restrittive sul Vecchio Continente, mentre Washington dà ancora la priorità alla crescita. Manca un centro di gravità, manca una strategia. Il microcosmo impazzito della piccola politica ungherese, con la sua atmosfera da Titanic, ieri ai mercati è sembrato l´allegorìa di una realtà più grande.