Marco Imarisio, Corriere della Sera 5/6/2010 Antonio Di Pietro-Marco Imarisio, Corriere della Sera 06/06/2010 Antonio Di Pietro-Marco Imarisio, Corriere della Sera 07/06/2010, 5 giugno 2010
3 articoli - SILENZI E AMBIGUIT DELL’ONOREVOLE DI PIETRO - Non è vero che la stampa sia sempre cattiva con lui
3 articoli - SILENZI E AMBIGUIT DELL’ONOREVOLE DI PIETRO - Non è vero che la stampa sia sempre cattiva con lui. Lo scorso 17 maggio Antonio Di Pietro era uscito dalla procura di Firenze dirigendosi con piglio sicuro verso piazza della Repubblica, dove troneggiava e fumava un finto reattore nucleare di cartapesta, propedeutico alla raccolta di firme dell’Italia dei valori per un referendum sul tema. Tra applausi, cori e foto ricordo con i suoi sostenitori, l’ex pubblico ministero si era definito un «teste d’accusa». Di Pietro disse che aveva spontaneamente scelto di mettere a disposizione degli ex colleghi la sua esperienza di investigatore. I magistrati che seguono l’inchiesta sugli appalti per le Grandi Opere l’avevano convocato come persona informata sui fatti, invece, con tanto di apposito decreto di notifica. C’è differenza. Quel giorno il dettaglio era diventato una nota a margine, le cose che contano in fondo sono altre. Un peccato veniale. Giocare con le parole, dire e non dire, abbellire la realtà, è tutto lecito. Solo che spesso Antonio Di Pietro trasforma le sue piccole furbizie in metodo. Non risponde, non del tutto almeno, oppure parla d’altro, evocando complotti e mandanti occulti. Altre volte, semplicemente, tace. E non si accorge che così facendo fa il gioco dei suoi detrattori, una legione sempre più numerosa. Vecchia storia, questa delle sparate che si mischiano a silenzi e a repliche invece puntuali. Ancora attuale, però. L’approccio mediatico rimane invariato nel corso del tempo, e non accenna a migliorare, dando così un indubbio contributo alla genesi di leggende metropolitane che riguardano anche su dettagli non proprio fondamentali nella complessa biografia dell’onorevole. Ad anni alterni torna fuori, tra dubbi e ironie, il suo personale tour de force per laurearsi in Legge alla Statale di Milano. La tesi venne discussa nel 1978, il giovane Di Pietro ci arrivò sostenendo 22 esami in 32 mesi, compresi «mattoni» quali diritto privato, pubblico, amministrativo. L’istituto di presidenza della facoltà confermò a suo tempo che tutto era in regola. Ma le illazioni, falsità di vario genere, sono proseguite, nel silenzio del diretto interessato, al quale basterebbe poco per mettere a cuccia i detrattori. Di Pietro, è un dovere ricordarlo, ha sempre vinto in tribunale, su questioni ben più importanti dei propri titoli di studio. «Non luogo a procedere», quindi prosciolto prima di un eventuale processo da accuse anche infamanti come quella di concussione, generata dall’inchiesta-monstre del Gico di Firenze. Quella brutta storia poggiava su un tema ricorrente della sua vita, il contrasto tra l’azione pubblica, del magistrato prima e del politico poi, con una condotta privata spesso pasticciata, non priva di ambiguità e zone d’ombra. A metterlo su quella graticola furono le sue relazioni con l’avvocato Giuseppe Lucibello e l’amico costruttore Antonio D’Adamo i quali a loro volta intrattenevano’ questa era l’ipotesi di accusa’ affari con il finanziere Pacini Battaglia. La rilevanza penale dell’intreccio era pari a zero, ma le personalità pubbliche non si giudicano solo dal proprio casellario giudiziale. Proprio per questo, l’alone di mistero che grava su alcuni punti della biografia dell’ex magistrato nuoce non solo a lui, ma anche alle sue opere. «Vogliono infangare Mani Pulite» ripete ogni qual volta vengono pubblicati articoli che riesumano i suoi molto presunti legami con i servizi segreti italiani e americani. Può essere. Ma certi silenzi, come quello sulla surreale vacanza alle Seychelles durante la quale l’allora neo magistrato scrisse un dossier di 172 pagine su Francesco Pazienza che poi finì nelle mani dei servizi segreti italiani, non aiutano. E neppure certe dimenticanze sui viaggi americani, ultimo in ordine di tempo quello fatto in compagnia dell’ex amico Mario Di Domenico. Dopo la recente pubblicazione di una sua foto che lo ritraeva con il dirigente del Sisde Bruno Contrada, il Corriere lo invitò a un confronto sul tema. Risposta non pervenuta. Sono dettagli, omissioni probabilmente ininfluenti. Ma portano ramoscelli da ardere a chi sostiene l’inverosimile tesi che Mani Pulite sia stata guidata a tavolino dall’intelligence Usa. Creano un danno ad una pagina importante della storia italiana, comunque la si giudichi, della quale Di Pietro è giustamente orgoglioso. Possibile che i suoi ultimi impicci siano il frutto dei rancori di vecchi amici. Ma è lui a sceglierseli, i compagni di viaggio. E con molti di essi, da Elio Veltri a Di Domenico, finisce quasi sempre male, all’insegna della reciproca incomprensione. Nel primo caso si tratta di una querelle sui rimborsi elettorali delle Europee, che secondo Veltri sarebbero stati gestiti in modo privato. Nell’altro, l’accusa di un uso «non associativo» dei soldi del partito apre la strada a illazioni sulla passione immobiliare di Di Pietro, con proprietà che vanno da Curno alla Bulgaria. In questo campo l’attività è frenetica. Tra il 2002 e il 2008 l’ex pm ha speso 4 milioni di euro nella compravendita di nove case, tutte passate sotto l’ombrello della An.To.Cri. La sigla è l’acronimo di Anna, Toto e Cristiano, i suoi tre figli. Si tratta della società di famiglia, dalla quale Di Pietro, nella veste di presidente dell’Idv, ha preso in affitto alcuni immobili per conto del partito. Nulla di compromettente, lo ha stabilito una inchiesta della procura di Roma, che ha archiviato ogni denuncia. Ma anche qui, alcuni comportamenti, come l’acquisto di case tramite prestanome, o di immobili «proibiti» per legge ai parlamentari in carica, lasciano il fianco scoperto alle critiche di chi afferma che il paladino della questione morale dovrebbe agire con meno disinvoltura nei suoi interessi privati. Paolo Flores D’Arcais sostiene da tempo che un certo modo di fare «democristiano» si sia impossessato del fondatore dell’Idv. Nel settembre 2009 Micromega, giornale diretto dal filosofo romano, pubblicò una inchiesta sul partito dell’ex magistrato. «C’è del marcio in Danimarca» era il titolo, e quel che seguiva era anche peggio. Il capostipite degli impresentabili, ovvero quel Sergio De Gregorio scelto da Di Pietro come capolista in Campania per le politiche del 2006, il voltafaccia con annesso passaggio al centrodestra fu velocissimo, veniva appena nominato. Acqua passata. Piuttosto, in 40 pagine di testo veniva fatta una radiografia completa sulla vena «inciucista e politicante» che permeava l’Idv, facendo nomi e cognomi dei riciclati presi a bordo. Dai transfughi dell’Udeur a quelli di Forza Italia, passando per il capo della Campania Nello Formisano, «che insieme all’ex dc potentino Felice Belisario ha riempito il partito delle mani pulite di faccendieri e arrivisti, in larga misura di provenienza democristiana». Una mazzata, che fece scalpore ma generò un dibattito che lo stesso Flores giudica «sterile e improduttivo». E la promessa di chiarire tutto’ dice in una intervista a La Stampa’ si è rivelata una promessa da marinaio. Ci sono argomenti, pubblici e privati, che vengono lasciati cadere quando invece il primo a trarre beneficio da una maggiore chiarezza sarebbe proprio Di Pietro. Tanto più che quando si spiega, l’ex magistrato lo fa bene. All’inizio di quel 2009 per lui infausto, il suo nome spuntò nell’inchiesta napoletana su Global Service, il mega appalto dei servizi pubblici. Tra gli altri, era stato arrestato Mario Mautone, provveditore alle Opere Pubbliche della Campania che Di Pietro aveva chiamato a lavorare al ministero delle Infrastrutture da lui diretto. Numerose intercettazioni allegate agli atti dimostravano come il suo primogenito Cristiano, consigliere provinciale a Campobasso per l’Italia dei Valori, tentasse tramite Mautone di sistemare gli amici, e sembravano anche dare conto delle preoccupazioni del padre per tenerlo fuori dall’indagine, della quale risultava essere al corrente. Di Pietro prese carta e penna, e scrisse un memoriale dettagliato, che diede ai magistrati e alle stampe. Le voci e i sussurri sul suo conto si zittirono immediatamente. In quell’occasione mostrò la sua faccia migliore, argomentando e spiegando. Rimasero solo le accuse di familismo spinto, e l’unico caduto sul campo fu Cristiano, costretto a dimettersi dal partito. Oggi è passato poco più di un anno, ma sembra un secolo. Secondo Di Pietro la pubblicazione dei verbali dell’architetto Zampolini va letta come «parte di una strategia eversiva» nei suoi confronti, decisa da «mandanti e beneficiari occulti». Colpa delle lobby, di una informazione schierata contro di lui. All’appello dell’invettiva mancano i giudici comunisti, ma con qualche allenamento possiamo arrivarci. Marco Imarisio VI RACCONTO LA MIA STORIA PERSONALE CARTA SU CARTA - Caro Direttore, il Corriere della Sera di ieri, con un articolo in prima pagina a firma Marco Imarisio, ha adombrato il sospetto di miei «silenzi ed ambiguità» riguardo la mia storia personale. Vorrei rispondere ai rilievi mossi, documentando punto per punto. Mi scuso, innanzitutto e preliminarmente, per la pignoleria e per la montagna di carte processuali a cui faccio riferimento e che le invio. Ma – mi creda – ad un persona come me – invisa amolti e con pochi strumenti di informazione a disposizione – non rimaneva e non rimane altra scelta che ricorrere alla Giustizia per vedere riaffermata, nero su bianco, la verità rispetto alle mille menzogne che sono state scritte sul mio conto in tutti questi anni. E veniamo al merito dell’articolo: 1. Non sono stato affatto convocato dai magistrati di Firenze con «tanto di apposito decreto di notifica». 2. Non è affatto vero che io mi sia laureato in modo anomalo. Mi sono iscritto all’Università di Milano nell’anno 1974 e mi sono laureato nel 1978, rispettando appieno il piano di studio all’epoca previsto da quell’Università per la laurea in legge. Sono certo che anche Lei e il dottor Imarisio avete rispettato il piano di studio e vi siete laureati senza andare fuori corso. E’ semmai anomalo il comportamento di quegli studenti che sforano il piano di studio e vanno «fuori corso», non di chi lo rispetta e si laurea nei tempi previsti. Lo stesso giornalista, peraltro, riferisce che «l’istituto di presidenza della facoltà confermò a suo tempo che tutto era in regola». Il mio certificato di laurea e il mio libretto degli esami sono già stati pubblicati una miriade di volte e, comunque, invio anche a lei un’ulteriore copia. Le invio anche copia della causa per danni da me notificata al Presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi, per aver sostenuto nella trasmissione "Porta a Porta" del 10 aprile 2008 che la mia laurea fosse falsa. Causa, ad oggi, ferma alla Camera dei Deputati, a seguito della sua richiesta di insindacabilità ex art. 68 Cost. 3. Le accuse del Gico di Firenze circa miei presunti favori ricevuti da Pacini Battaglia, da Antonio D’Adamo e da Giancarlo Gorrini sono state tutte smontate dai giudici di Brescia che, dopo due accurate e meticolose inchieste, hanno sentenziato che «i fatti non sussistono». Al riguardo, Le invio copia della sentenza numero 3940/96 del 18 febbraio 1999 (riguardante la vicenda D’Adamo-Pacini) e della sentenza n.ro 189/96 del 29 marzo 1996 (riguardante la vicenda Gorrini); 4. Non è vero che io abbia mai avuto a che fare con i Servizi segreti, né italiani, né stranieri. Sul punto si sono espressi, già diverse volte, i magistrati (ai quali mi sono rivolto per tutelare la mia onorabilità) che hanno riconosciuto che io non ho mai avuto alcun rapporto con strutture di tal tipo. Allego al riguardo, e in via esemplificativa, la sentenza del 17 marzo 1997 del Tribunale di Milano con cui è stato condannato in primo grado l’allora senatore Erminio Boso per aver sostenuto una panzana del genere. Allego anche la richiesta di rinvio a giudizio della Procura della Repubblica di Torino n.ro 5981/98 del 26 ottobre 1999 che ha rinviato a giudizio Bettino Craxi sempre per aver falsamente sostenuto che io fossi un agente dei Servizi segreti (il processo poi non si è svolto perché Craxi nel frattempo è deceduto). Se si ha l’onestà intellettuale di valutare le cose in buona fede, (come sono certo farà Il Corriere della Sera) tali sospetti non possono essere alimentati strumentalizzando la mia relazione all’Autorità giudiziaria circa la presenza del latitante Francesco Pazienza alle Seychelles, né la mia partecipazione alla cena natalizia del 1992, svoltasi presso il Reparto dei Carabinieri di Roma, su invito del Comandante col. Vitaliano, cena a cui partecipò anche il questore Bruno Contrada, allora dirigente del Sisde. Comunque, e proprio al fine di non essere accusato di reticenza, le allego l’atto di citazione (con annessi 18 documenti allegati) che ho proposto nei confronti di Mario Di Domenico per le false dichiarazioni dallo stesso rilasciate circa l’asserito mio coinvolgimento nella vicenda Contrada e di cui proprio "Il Corriere della Sera", tempo addietro, ha dato notizia con grande risalto (atto di citazione che, come potrà constatare, non ha riguardato né "Il Corriere della Sera", né il giornalista Cavallaro, proprio perché ho ritenuto e ritengo legittimo e doveroso il vostro mestiere). Allego anche l’atto di citazione che ho proposto nei confronti di Francesco Pazienza ed altri, in relazione alle elucubrazioni montate in ordine alla mia segnalazione all’Autorità giudiziaria sulla sua permanenza da latitante nello stesso posto in cui io e la mia futura moglie ci trovavamo in vacanza. Anche in questo caso, sarebbe stato anomalo il mio silenzio su quanto avevo visto e sentito circa il rifugio di Pazienza e non la pronta relazione al mio Capo Ufficio, una volta rientrato in Italia. Peraltro faccio presente che la legge impone a tutti i pubblici ufficiali di segnalare all’Autorità giudiziaria fatti e circostanze penalmente rilevanti ed io ero all’epoca magistrato! 5. Non è vero che io abbia fatto un uso privato dei soldi del partito. Su questa questione, sono già intervenuti ben tre provvedimenti del giudice penale che ha archiviato tutte e tre le volte altrettanti esposti del denunciante Di Domenico per assoluta infondatezza dell’accusa. Allego al riguardo il decreto di archiviazione n.ro 4620/07 - GIP Imperiali di Roma del 14 marzo 2008, il decreto di archiviazione n.ro 15233/09 - GIP Silvestri di Roma del 26 maggio 2009 ed il decreto di archiviazione n.ro 860/09 - GIP Marzagalli di Busto Arsizio del 12 ottobre 2009. 6. Non è vero che io abbia mai fatto’ con riferimento alle proprietà immobiliari di mia proprietà’ una commistione tra patrimonio mio personale e patrimonio del partito Italia dei Valori. Allego, al riguardo, la sentenza del Tribunale di Monza n.ro 760/10 del 2 marzo 2010 che condanna il quotidiano Il Giornale, il direttore dell’epoca Mario Giordano e il giornalista Chiocci a risarcirmi, con 60.000 euro, il danno per le falsità e le diffamazioni pubblicate il giorno 4 agosto 2008 con un dossier intitolato: "Di Pietro ha investito 4 milioni di euro in case, ecco il suo patrimonio". 7. Non è vero che io abbia fatto un "uso non associativo" dei soldi del partito, come pure da taluni sostenuto. Allego, al riguardo, la memoria esplicativa (con annessi 65 documenti allegati) che ho consegnato alla Procura della Repubblica di Milano (PM dottor Fusco). Dalla disamina dei documenti in questione si evince in modo evidente – sempre se si ragiona in buona fede – che i soldi del partito sono sempre finiti nelle casse del partito. 8. Non è vero che io abbia acquistato case tramite "prestanome", nel senso dispregiativo del termine, o che abbia acquistato "immobili proibiti per legge ai parlamentari in carica", come pure si afferma nell’articolo (credo in buona fede a seguito di una martellante campagna denigratoria, svolta da altre testate giornalistiche). Allego, al riguardo, l’atto di citazione promosso nei confronti del quotidiano "Il Giornale" che, per primo, ha sostenuto tale falsità, con annessi 18 documenti allegati, dai quali si evince in maniera incontrovertibile che non è affatto vero che io abbia acquistato un immobile "proibito per legge", né che io abbia intestato ad altri l’immobile acquistato. Spero, caro Direttore, che la documentazione inviata e le spiegazioni fornite possano essere sufficienti per rivedere «i dubbi e le ambiguità» che "Il Corriere della Sera" ha nei miei confronti. Nel caso dovessero permanere ulteriori perplessità, non si faccia scrupolo, me li chieda o me li faccia chiedere. Antonio Di Pietro ( Leader di Italia dei valori) Ringraziamo l’onorevole Di Pietro, per la risposta sollecita e cortese e per la copiosa documentazione giudiziaria allegata a sostegno delle sue tesi. Tuttavia, la biografia di un uomo politico come lui non si basa solo sulla verità giudiziaria. E’ proprio questo lo spirito e l’intenzione dell’articolo al quale si riferisce l’onorevole: ci sono comportamenti sui quali sarebbe meglio spiegarsi in modo definitivo. Con parole chiare, non con stralci di sentenze. A tal proposito: l’onorevole è stato convocato dai magistrati di Firenze, quindi non si era «presentato spontaneamente». Non abbiamo mai detto che si sia laureato in modo «anomalo», ma che i suoi silenzi su alcuni aspetti di questa vicenda hanno lasciato spazio a «illazioni e falsità». Sull’inchiesta di Brescia abbiamo scritto chiaramente del non luogo a procedere deciso dai giudici. A lasciare perplessi furono alcune sue frequentazioni e comportamenti, mai del tutto spiegati. Non abbiamo scritto che l’onorevole Di Pietro abbia avuto a che fare con i Servizi. Su questo tema il leader dell’Italia dei Valori ha dato più versioni, non tutte univoche. Sono documentabili anche le interviste nelle quali viene negata l’esistenza di viaggi americani che poi si sono rivelati veri. Non abbiamo scritto che Di Pietro abbia fatto uso privato dei soldi del partito. Ci siamo limitati a riportare il fatto (non smentito) di avere affittato al partito case di sua proprietà. Sul presunto «uso non associativo» c’è ancora una inchiesta aperta a Roma, ma comunque, anche qui, non abbiamo sostenuto tale tesi. vero, «prestanome» può essere dispregiativo. Ma l’acquisto tramite altra persona di un immobile inibito ai parlamentari e finito nella disponibilità dell’onorevole rientra tra quei comportamenti che avrebbero bisogno di essere spiegati meglio, non solo con le carte giudiziarie. Marco Imarisio L’EX PM, L’INCARICO DI MINSITRO E L’ACQUISTO DELLA CASA - Caro Direttore, La ringrazio per aver pubblicato la mia risposta ai quesiti che aveva posto il dottor Imarisio. Il giornalista, però, sembra non essere rimasto soddisfatto su un punto. Infatti, ieri, è tornato sull’acquisto da parte mia di un appartamento messo all’asta (insieme a centinaia di altri), dalla Scip. Egli mi ha posto la seguente specifica domanda: «L’acquisto di un immobile inibito ai parlamentari e finito nella disponibilità dell’onorevole rientra tra quei comportamenti che avrebbero bisogno di essere spiegati meglio». Eccomi! Anche se devo dire che, a corredo della mia replica, avevo consegnato al «Corriere della Sera» tutta la documentazione relativa a tale operazione immobiliare, documentazione che ora risulta anche essere pubblicata sul sito www.corriere.it. Mi spiace che Marco Imarisio non abbia avuto modo di esaminarla. Se l’avesse fatto, avrebbe evitato di fare un’affermazione tecnicamente e giuridicamente sbagliata. L’asta della Scip, per l’alienazione dell’immobile in questione, si è tenuta il 10 novembre 2004. L’aggiudicazione definitiva è avvenuta in data 16 marzo 2006, come risulta dal relativo verbale per atto del notaio Giuseppina Santangelo n.256 del 16 marzo 2006. Nella stessa data ho proceduto personalmente alla stipulazione dell’atto di compravendita con la Scip s.r.l. In pratica, contestualmente all’aggiudicazione, vi è stata immediatamente’ nello stesso giorno’ anche l’indicazione dell’acquirente. Risulta, pertanto, documentalmente provato, che non vi è stato alcun acquisto per interposta persona o per «prestanome» che dir si voglia: l’atto di acquisto è stato effettuato direttamente da me, in tempo reale, lo stesso giorno dell’aggiudicazione. Il sig. Belotti si è limitato soltanto a partecipare agli adempimenti prodromici ad esso, nei modi di legge e nel rigoroso rispetto delle formalità di capitolato (che, infatti, prevedeva come modalità di partecipazione all’asta, quella prevista dall’art. 1401 c.c., ovvero che il contraente venisse nominato al momento della stipulazione del rogito). Come è noto, all’epoca’ vale a dire sia quando si è svolta l’asta, sia quando è avvenuta l’aggiudicazione, sia quando è stato fatto il rogito – io ero parlamentare europeo, mentre sono diventato Ministro delle Infrastrutture il 17 maggio 2006, vale a dire in una data successiva alla compravendita in questione. Orbene, l’articolo 1471 del codice civile specifica che non possono essere compratori, nemmeno all’asta pubblica, né direttamente né per interposta persona, gli amministratori dei beni dello Stato. Ma io non ero affatto «amministratore dei beni dello Stato» allorché venne effettuata l’asta pubblica (il 10 novembre 2004) e nemmeno quando sottoscrissi, davanti al notaio, l’atto di compravendita (il 16 marzo 2006). Sono diventato Ministro il 17 maggio 2006 (e certamente, due anni prima, ossia quando partecipai all’asta, non potevo sapere che poi sarei diventato Ministro!). Non esiste, invece, alcuna norma di legge che vieta ai parlamentari europei di partecipare a un’asta pubblica per l’acquisto di un immobile. Insomma è giuridicamente sbagliato affermare - come fa Imarisio - che io avrei provveduto «all’acquisto di un immobile inibito ai parlamentari». Posso comprendere il suo errore, purché, però, non sia volutamente reiterato! Antonio Di Pietro (Leader di Italia dei Valori) Ringraziamo l’onorevole Di Pietro per la replica. Ribadiamo, ancora una volta, che la valutazione dei comportamenti di un uomo politico può esulare dalle carte giudiziarie e dalla cronologia di una compravendita immobiliare. Marco Imarisio