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 2010  giugno 05 Sabato calendario

IN IRAN RIVOLUZIONE PER POCHI

Si avvicina l’anniversario delle contestate elezioni presidenziali del 12 giugno in Iran e i leader del movimento verde chiedono di poter organizzare le dimostrazioni. Intanto le autorità cercano di mettere un freno al carattere indomito degli abitanti di Teheran, da oltre un secolo al centro delle proteste, e il ministro degli Interni annuncia un piano per spostare la capitale «per evitare una strage in caso di terremoto ». Sono anni che se ne parla, ma questa volta sembrano fare sul serio, tant’è che il ministro dell’Istruzione faciliterà l’ammissione nelle università fuori da Teheran.
Il governo cerca così di allontanare i giovani dalla capitale per scoraggiare ulteriori scosse del terremoto politico iniziato l’anno scorso. il momento per fare il punto sul movimento verde, capirne la composizione, le debolezze e i fattori che potrebbero portarlo al successo. In questi mesi la repressione, volta a intimidire l’opposizione, è stata durissima. I leader dell’onda verde l’hanno (per ora) scampata anche se il giornale di Karrubi è stato chiuso, Mussavi ha perso il posto di direttore all’Accademia d’Arte, suo nipote è stato ucciso durante una manifestazione e il capo delle sue guardie del corpo arrestato, mentre l’ex presidente Khatami non può lasciare l’Iran. Fin qui è cronaca, succinta e non esaustiva.
Partiamo dalla composizione del movimento. In un reportage sul quotidiano ginevrino «Le Temps» il giornalista Serge Michel, che ha vissuto a Teheran, spiegava che il movimento è trasversale a generazione diverse: anche se il 70% della popolazione ha meno di 35 anni, non vi militano solo giovani e per esempio durante le dimostrazioni estive un ragazzo cercava di tenere a bada la madre che, come nel 1979, dava fuoco ai cassonetti per strada, rischiando grosso.
L’impressione è che il movimento verde abbia due anime, laica e islamica. La prima chiede di emendare la Costituzione, avendo come riferimento la Dichiarazione universale dei diritti umani del 1948, nega il ruolo assoluto dell’Islam nello spazio pubblico e non si accontenta di cambiare presidente.
La fazione islamica è a sua volta divisa: a una parte basterebbe sostituire Ahmadinejad e limitare i poteri di Khamenei (o sostituirlo) senza mettere in discussione i privilegi dei mullah, il governo del clero (velayat-e faqih) su cui si fonda la Repubblica islamica, il Consiglio dei Guardiani che seleziona i candidati alle elezioni ed esercita il diritto di veto sulle leggi promulgate dal parlamento; l’altra fazione vorrebbe invece ricominciare senza velayat-e faqih (un principio peraltro non condiviso da tutto il clero sciita) ma i suoi esponenti non se la sentono di dirlo a voce alta.
Nel movimento verde, in Iran e nella diaspora, queste diverse anime convivono. Definirne le percentuale non è possibile. Non vi sono statistiche e molti tengono i piedi in più scarpe: se ottimisti circa il crollo della Repubblica islamica, tendono verso la laicità, se intimiditi propendono per l’attuale cornice legale. Dopo la repressione di questi mesi è comunque ragionevole sostenere che sia maggiore il numero di coloro che credono che la Repubblica islamica non sia riformabile. A sostegno di questa tesi sono portati gli slogan di condanna dell’attuale sistema politico. Urlando: «Morte al dittatore! » i manifestanti se la prendono con il leader supremo Khamenei, mentre «Né est né ovest, Repubblica iraniana » oppure «Governo nazionale verde » sono nuove versioni del «Né est né ovest, Repubblica islamica!» dell’Ayatollah Khomeini.
I nuovi slogan suscitano le reazioni di coloro che, all’interno del movimento verde, chiedono un cambiamento ma non l’abrogazione del velayat-e faqih.
Ministro alla Cultura dell’ex presidente riformatore Khatami, Mohajerani ha di-chiarato: «Gli slogan che vogliono la rimozione di Khamenei non appartengono al movimento verde, ma a forze marginali composte da monarchici, marxisti e ai mujaheddin del popolo», minimizzando il fatto che oggi moltissimi siano contro il leader supremo. A fine dicembre, in occasione delle manifestazioni di Ashura, i laici erano stati accusati di «approfittare delle occasioni religiose per diffamare il movimento verde », e c’erano stati screzi tra le diverse anime dell’opposizione.Queste divisioni sono presenti anche nelle famiglie dei funzionari pubblici: mentre i genitori cercano un compromesso, i figli si spingono oltre.
Detto questo, l’Iran è una realtà complessa, ma è evidente che il movimento verde sia contraddistinto da due elementi che lo indeboliscono: è prevalentemente persiano in un paese dove convivono minoranze etniche, linguistiche e religiose; in campagna elettorale Mussavi e Karrubi le avevano corteggiate sperando nel loro voto, e ora per essere vincenti dovrebbero tirarle dalla loro tenendo presente che le minoranze etniche sono spesso anche minoranze religiose ( i musulmani sunniti, 9% della popolazione, sono baluci, turcomanni e curdi). Il secondo luogo, il movimento verde è di élite e finora non ha veramente coinvolto i ceti più bassi. Gli storici vi leggono la stessa debolezza del partito comunista Tudeh al tempo dello scià: vi militavano i ribelli della borghesia e gli intellettuali di sinistra, ma non il proletariato urbano, con cui comunicava meglio l’Ayatollah Khomeini.
Venendo ai fattori che potrebbero portarla al successo, l’onda verde dovrebbe cercare di coinvolgere maggiormente i sindacati, che in questi mesi sono stati presi di mira dalle autorità. E, al tempo stesso, usare i meccanismi del movimento statunitense per i diritti civili: mantenere alta la motivazione dei sostenitori, rinsaldare i legami con chi opera dentro al sistema e non far calare l’attenzione internazionale. E questo è anche compito nostro.