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 2010  giugno 05 Sabato calendario

ARGOMENTI DI: ROSARIO ROMEO, VITA DI CAVOUR, LATERZA, BARI 2004 (1)


Cavour scrittore di saggi (da pagina 130 a pagina 142)

31 agosto 1843: Pubblica nella «Gazzetta dell’ Associazione Agraria» un articolo contro l’istituzione di poderi modello.

15 settembre 1843: Nella «Bibliothèque Universelle» di Ginevra esce un suo articolo (datato 11 settembre) sull’opera postuma di Federico Lullin de Châteauvieux: Voyages agronomiques en France. «Accanto a un’efficace polemica contro gli "agronomes améliorateurs", il conte vi tratteggiava con vigore la funzione conservatrice e progressiva insieme che a suo giudizio spettava agli agricoltori moderni e innovatori». Seguivano lodi a Lullin come proprietario illuminato, «ricco di interessi intellettuali e politici, fedele alla grande ispirazione liberale appresa nel circolo di Coppet, e nel tempo stesso tecnico valente delle cose agrarie» (131).

Gennaio-Febbraio 1844: Nei fascicoli della «Bibliothèque Universelle» di Ginevra sono pubblicate le sue Considérations sur l’état actuel de l’Irlande et sur son avenir. O’Connell, puntando alla revoca dell’unione con l’Inghilterra, ha riunito contro di sé «tutte le gradazioni dello schieramento politico inglese [...] era dovere di tutti coloro che fossero amici, insieme dell’Inghilterra e del popolo irlandese, auspicare il giorno in cui O’Connell potesse rinnovare l’alleanza coi liberali inglesi e riaprire così la strada delle riforme progressive che gli avvenimenti dell’ultimo anno avevano sbarrato». Analisi dei mali dell’Irlanda: «L’accentramento della proprietà nelle mani dei proprietari protestanti creava fra costoro e la massa dei contadini cattolici una frattura sociale senza esempio in Europa, grazie ad un regime fondiario che riuniva tutti gli svantaggi della grande e della piccola coltura, affidata ad affittuari privi di mezzi, di capitali e di conoscenze tecniche». Due soluzioni: «quella delle riforme legali e quella delle misure rivoluzionarie, tendente a "tagliare il male alla radice, cambiando le leggi che reggono la distribuzione della proprietà, affrancando senza esitazione l’affittuario dalla dipendenza del proprietario, operando, per parlare chiaramente, una vera rivoluzione sociale". Cavour si rifiutava di prendere in considerazione questa soluzione, la quale, ai suoi occhi, "quali che possano esserne i risultati ultimi, si fonda sull’ingiustizia e le proscrizioni, sulla violazione delle leggi della morale e dell’umanità"; e sottolineava invece i vantaggi che nell’ambito dell’Unione potevano essere ottenuti in tutta una serie di settori di decisiva importanza. Entro questi confini, egli auspicava l’abolizione dei fedecommessi e delle primogeniture, e la semplificazione delle procedure relative ai trasferimenti della proprietà terriera, che in tal modo si sarebbe gradualmente suddivisa in più mani, analogamente a ciò che accadeva in Francia sotto il regime del codice Napoleone». Quanto alla Revoca «solo la sconfitta dell’Inghilterra in un conflitto internazionale avrebbe potuto aprire le vie del trionfo di O’Connell». Il saggio, lodato alla Camera dei Comuni, fu tradotto già nel 1845 e poi di nuovo nel 1868. «"Succès fou". In quello scritto Cavour espresse infatti con estremo vigore e chiarezza la posizione propria del liberalismo del suo tempo, fiducioso nella forza di progresso di cui era portatrice la libera attività economica, una volta svincolata dalle vecchie istituzioni, e riluttante invece a quelle forme di intervento, tendenti a modificare la distribuzione della ricchezza fra le classi sociali, che caratterizzano invece il liberalismo democratico delle generazioni successive» (133-134)

«Alle fortune della Gran Bretagna (Cavour) vedeva indissolubilmente legate quelle della libertà nel mondo. E nel tempo stesso si manifestava la sua fiducia nelle dottrine dell’economia politica, massimo strumento intellettuale foggiato dalla cultura moderna al servizio del progresso civile» (134)

Nel corso dell’ultimo viaggio in Inghilterra (primavera del 1843), Cavour «aveva avuto modo di constatare i progressi del movimento per la revoca delle leggi sul grano, e aveva notato la crescente avversione di molti tories per sir Robert Peel, che già nell’anno precedente aveva fatto adottare una serie di riduzioni doganali e introdotto, con l’income tax, lo strumento fiscale destinato a sostituire in buona parte i proventi doganali e a rendere dunque concretamente possibile la riforma daziaria». Propone a De La Rive un saggio sulla questione, che appare , sempre nella "Bibliothèque universelle de Genève", nel marzo 1845.
Gli investimenti e il progresso tecnologico che hanno permesso la riduzione dei costi nell’industria inglese, non saranno applicabili all’agricoltura perché a) il progresso tecnologico in agricoltura non potrà ancora progredire più di tanto, b) la scarsità dei terreni in Inghilterra la pone in una condizione di inferiorità rispetto all’Europa e all’America, che hanno piantagioni di estensione molto maggiore e possono vincere, nella produzione, la concorrenza con gli inglesi. A questi non resta dunque che liberalizzare totalmente il commercio, «aprendo alle derrate alimentari il mercato più ricco del mondo». La forza dell’esempio avrebbe fatto cadere le barriere anche nel resto del mondo. In quel momento le importazioni nette inglesi rappresentavano il 36 per cento delle esportazioni di tutti gli altri paesi messi insieme «costituendo una fonte essenziale di potere di acquisto in sterline nelle mani dei clienti esteri del Regno Unito».

Articolo sulle ferrovie, uscito il 1° maggio 1846 (Des chemins de fer en Italie). Motivazione profonda: rispondere alle critiche mosse da Giuseppe Ferrari al moderatismo italiano e a Cesare Balbo (Revue des deux mondes, novembre 1844-gennaio 1845). Pretesto: recensire il libro sulle ferrovie di Ilarione Petitti da Roreto uscito verso la fine del 1845. Troppo politico, De La Rive lo rifiuta, esce perciò sulla piccola Revue Nouvelle.
«Cavour esaltava le ferrovie come strumento di quel progresso concreto, sul piano civile ed economico, al quale, piuttosto che alle congiure e alle sommosse, era affidata la causa italiana». «Sguardo attento alla finalità generale di coinvolgere per quanto possibile la monarchia sabauda e Carlo Alberto nella politica nazionale». Importanza di due linee principali, «ambedue in partenza da Torino, e dirette la prima a Venezia e la seconda ad Ancona». Lodi alle «buone intenzioni del governo napoletano». Fulmini al governo pontificio. «Lodi, anche contro le sue intime convinzioni, alla decisione del governo sabaudo di affidare allo Stato la costruzione della Torino-Genova, e alla stessa persone del sempre detestato e deriso Carlo Alberto, che per l’occasione diventata "l’illustre monarca che regna con tanto splendore su questo regno"». Attribuisce al governo austriaco «la responsabilità del mancato collegamento fra la rete lombarda e piemontese, parlando apertamente di un avvenire in cui tutta la valle del Po avrebbe potuto formare un solo Stato, e sollevando esplicitamente dubbi sull’opportunità della linea Vienna-Trieste, non già sotto l’aspetto economico ma perché "essa accresce i mezzi d’influenza della casa d’Austria sull’Italia intera"; anche se poi si dichiarava convinto che gli effetti economici e civili di quella linea erano per la causa italiana più importanti di questi minori svantaggi». A favore della Borsa e dei capitali privati per questi investimenti a breve (contro Petitti, timoroso che i privati facessero aggiotaggio). «Il conte sottolineava l’importanza che la rete ferroviaria poteva avere per i progressi economici e materiali dell’Italia, anche in relazione all’atteso ritorno al Mediterraneo dei traffici con l’Oriente». «Ma soprattutto Cavour insisteva sul contributo che le ferrovie potevano dare ai progressi morali della penisola, cioè in concreto, allo sviluppo del movimento nazionale. [...] Non rivoluzioni e sommosse avrebbero dunque condotto all’indipendenza nazionale, ché l’esperienza dimostrava come l’Italia fosse un terreno assai poco favorevole ai movimenti democratici e alle rivolte militari. L’analisi della società italiana confermava del resto che nella penisola mancavano forze rivoluzionarie consistenti: e Cavour si diceva anzi convinto che "se l’ordine sociale fosse veramente minacciato, se i grandi principi su cui esso riposa corressero un pericolo reale si vedrebbero [...] molti degli oppositori più decisi, dei repubblicani più estremi, accorrere fra i primi nelle file del partito conservatore". L’indipendenza sarebbe stata invece "la conseguenza necessaria dei progressi della civiltà cristiana, dello sviluppo dei lumi", i quali, prima o poi, sarebbero sboccati in una "crisi politica, di cui la Polonia e l’Italia sono chiamate a profittare più di ogni altro paese". Per questa via soltanto l’Italia sarebbe giunta a conquistare quel "migliore avvenire [...] che noi invochiamo con tutto il nostro cuore", e che "è la conquista dell’indipendenza nazionale". "Bene supremo" questa indipendenza: "che l’Italia potrebbe raggiungere solo con l’unione degli sforzi di tutti i suoi figli [...] senza il quale essa non può sperare nessun miglioramento reale e duraturo nella sua condizione politica, né procedere con passo sicuro sulla via del progresso"» (136-139).

Qualche data:
• dicembre 1845: crisi ministeriale in Inghilterra («fallimento del tentativo Russell di formare un gabinetto whigh e ritorno al potere di sir Robert Peel»)
• 15 maggio 1846: i Comuni votano l’abrogazione delle Corn Laws.
• 25 giugno 1846: la Camera dei Lords vota l’abrogazione delle Corn Laws.
luglio 1846: Francesco Predari fonda l’"Antologia italiana" organo del pensiero liberale moderato italiano.
• 31 marzo 1847: sull’Antologia italiana appare il saggio di Cavour sulla politica commerciale inglese (specialmente in relazione ai traffici con l’Italia), scritto in italiano per le insistenze di Cesare Balbo.

«Per Cavour il gesto con il quale sir Robert Peel, rompendo tutti i suoi antichi legami politici, era passato nel campo avverso alle Corn Laws, forniva la più alta prova di moralità politica che potesse dare un uomo di Stato» (139).

Necessità di migliorare e rendere competitivi i prodotti italiani per sfruttare l’occasione fornita dall’apertura dei mercati inglesi. Sete: per vincere la concorrenza asiatica, esportare sete ritorte e non più il prodotto grezzo. Oli: ci sono troppe tasse sul sapone in Inghilterra, le nostre esportazioni (seconda voce) non hanno subito variazioni. Vantaggi solo «articoli di minor momento» frutta secca, agrumi, marmi. L’Italia importava dall’Inghilterra più grani di quanti ne esportasse, l’unico vantaggio è che i prezzi saranno più stabili. (140)

«Il Cavour della maturità si riconosce figlio del suo tempo e della grande cultura liberale della Restaurazione nella quale si era formato. Fede in un progresso che è soprattutto, Cavour non si stanca di ricordarlo, progresso intellettuale e morale, incremento della dignità e della capacità creativa dell’uomo; sì che Cavour fu sempre saldissimo nella convinzione che "al primo posto per un popolo" fosse da mettere "le sentiment de sa propre dignité"» (140) Causa generale della ragione = Idea di provvidenza storica = idea positivistica dell’ineluttabile progresso. Convinzione di Cavour: «La libertà economica è una causa di interesse generale, volta a "favorire ugualmente tutte le classi della società"». «I valori della nazionalità [...] affondano le loro radici in quel medesimo sentimento della dignità umana, sul piano individuale prima ancora che su quello collettivo, di cui si alimentava l’idea cavouriana della libertà; e la stessa carica morale da cui questa trae tutta la sua forza si ritrova negli accenti con i quali Cavour si richiama ai nessi che uniscono il sentimento nazionale alla conquista di un più elevato livello umano e civile per tutti i membri della collettività. "La storia di tutti i tempi - egli scrisse in una pagina del saggio sui Chemins de fer che è certo fra le più alte di tutta la letteratura politica del Risorgimento - prova che nessun popolo può raggiungere un alto grado di intelligenza e di moralità senza che il sentimento della sua nazionalità sia fortemente sviluppato: in un popolo che non può essere fiero della sua nazionalità il sentimento della dignità personale esisterà solo eccezionalmente in alcuni individui privilegiati. Le classi numerose che occupano le posizioni più umili della sfera sociale hanno bisogno di sentirsi grandi dal punto di vista nazionale per acquistare la coscienza della propria dignità. Ora, questa coscienza [...] costituisce per i popoli come per gli individui un elemento essenziale della moralità. E quindi, se noi desideriamo con tanto ardore l’emancipazione dell’Italia [...] non è soltanto per vedere la nostra patria gloriosa e potente, ma soprattutto perché essa possa innalzarsi nella scala dell’intelligenza e dello sviluppo morale fino al livello delle nazioni più civili". [...] La nazionalità, come la libertà, aveva dunque per sé il moto irresistibile della storia; e alla storia finiva per essere rinviata, nella visione politica che anche Cavour faceva propria in questi anni, la responsabilità ultima della conquista dell’indipendenza, nella indeterminatezza di quella "commotion politique" che anche per il moderatismo e per Cavour doveva costituire lo sbocco finale di tutto il processo, e di cui dunque si auspicava il verificarsi, nel tempo stesso in cui si vietava al movimento nazionale di adoperarsi in alcun modo per affrettarla» (141-142)