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 2010  giugno 10 Giovedì calendario

CHI SCOMMETTE SULL’EURO MERKEL


"Come ai tempi della Repubblica romana, quando il Senato poteva decidere di nominare un dictator per far fronte a una grande crisi, a un pericolo per la sua sopravvivenza. Ora i paesi del Sud Europa hanno insistito per settimane perché la Germania intervenisse per salvarli, e quelli del Nord hanno chiaro che Berlino è cruciale perché l’eurozona continui a funzionare". Per Marko Papic, capo analista per l’Europa della società statunitense di intelligence geopolitico Stratfor, la crisi dell’euro è come il passaggio delle Alpi da parte di Annibale: allora Roma scelse di affidarsi a Quinto Fabio Massimo il Temporeggiatore, ora l’Europa si è messa nelle mani di Angela Merkel, la Cancelliera di ferro. Temporeggiatrice anche lei, sul salvataggio della Grecia, adesso più dinamica che mai. "Berlino non firma assegni in bianco", precisa Papic, "vuole qualcosa indietro: la riforma dell’eurozona secondo le sue volontà". Dopo aver seminato a destra e a manca il verbo dell’austerità, la Merkel punta diretta alla riforma del Patto di stabilità, sempre e solo nel nome della disciplina. Ma la ricetta tedesca è quella buona? I dubbi sono in aumento.
Il 7 giugno in Lussemburgo si riunisce per la seconda volta la task force voluta dal presidente della Ue, Herman Von Rompuy, proprio per rafforzare il Patto di stabilità, e al momento la Germania è l’unica, assieme alla Commissione Ue, ad aver presentato delle proposte nero su bianco. Proposte incendiarie: perdita del diritto di voto e sospensione dei fondi strutturali e di coesione per i paesi recidivi nelle violazione della disciplina di bilancio, ruolo di supervisione delle finanze pubbliche per la Bce e non più solo della Commissione, procedura di fallimento controllato per chi è sull’orlo del baratro, iscrizione nelle Costituzioni nazionali dell’impegno a ridurre spese e deficit e conseguente modifica del Trattato di Lisbona. "La Germania sta facendo quello che vuole", spiega una fonte diplomatica di uno dei paesi fondatori della Ue: "Bisogna riconoscerle che nei momenti di crisi vengono fuori i più grandi e quelli che hanno più soldi, e oggi non c’è alternativa a fare ciò che vuole Berlino". Affermazioni che sanno di rassegnazione, ma che riflettono gli equilibri in campo: Nicolas Sarkozy è scomparso, José Luis Zapatero nel baratro, Silvio Berlusconi non pervenuto (ma gli ultimi due non hanno mai contato granché), David Cameron è nuovo e non pensa all’Europa, e la Commissione è debolissima.
"Si doveva agire più rapidamente", ha accusato in un’intervista alla "Faz" José Manuel Durao Barroso alludendo ai tentennamenti tedeschi sulla Grecia. "La Germania ha una grande responsabilità se la situazione è arrivata quasi a marcire", insiste un alto funzionario comunitario che ha gestito il salvataggio di Atene e poi il meccanismo da 750 miliardi di euro per gli altri paesi dell’euro: "Siamo giunti a un minuto dal disastro totale che avrebbe avuto conseguenze imprevedibili per tutti, in primis per la stessa Germania, che dopo la Francia è la più esposta sul debito dei piigs. Perché l’ha fatto? L’ha fatto deliberatamente, per calcolo politico interno: sembra che a Berlino non si rendessero conto che stavamo peggio di Lehman Brothers. Spero che ora i tedeschi abbiano imparato a essere più umili". Non sembra, perché non si fermano più.
La Merkel e il suo ministro delle Finanze Wolfgang Schäuble si sono lanciati in una caccia spietata: divieti, austerità e nuove regole, in casa e nella zona euro. "Per frenare gli eccessi degli speculatori", dice Schäuble; "per dare più sicurezza ai cittadini", è il mantra della Merkel. Così facendo hanno tirato il freno antidebito in patria, promettendo di risparmiare almeno 10 miliardi di euro all’anno fino al 2016, e hanno distribuito l’olio di ricino a mezzo continente. "Prima i tedeschi pagavano l’eredità del nazismo, Adenauer e Kohl sapevano che essere il motore dell’integrazione europea era il modo migliore per essere accettati. Ora la Germania è tornata a essere un paese come gli altri, ossia egoista. Non c’è più solidarietà in Europa", commenta Nicolas Veron del prestigioso think tank Bruegel. "La Germania non è mai stata libera quanto lo è oggi", affermava Merkel il 30 novembre 2005 nel suo discorso di insediamento. Dopo tante privazioni, il primo cancelliere cresciuto nell’ex Ddr alla libertà ci ha preso gusto.
Il 18 maggio Berlino ha vietato, senza consultarsi con i partner, le vendite allo scoperto dei titoli di dieci colossi finanziari nazionali. Non paga delle costernate reazioni internazionali, la Cancelliera ha esteso lo stop alle operazioni "naked" su derivati e credit default swaps. Ma col suo solitario e teutonico "Verbot" la Merkel alla fine ha solo aumentato lo stress sui mercati e la volatilità dell’euro, ormai in caduta libera (per il giovamento dell’export tedesco). Spiegano al ministero delle Finanze di Berlino per bocca di Bertrand Benoit, portavoce di Schäuble: " un segnale agli altri governi per regolare i mercati". E, in difesa della Merkel: "All’estero non la potete criticare sia se non si muove sia quando lo fa". Di fatto, però, le critiche piovono anche in casa: "Presa a livello nazionale la mossa su Cds e derivati non ha senso", afferma Andreas Schmitz, presidente dell’Associazione tra le banche. Le trappole congegnate a Berlino "per mettere i lacci agli speculatori", è il parere di Andreas Rees, capo-economista di HypoVereinsbank, "sono da dilettanti e dettate da meri impulsi politici".
 un segreto di Pulcinella che dopo la batosta del 9 maggio alle elezioni in Nordreno-Vestfalia (in cui la Merkel ha perso il 10 per cento), i deputati della Cdu e della bavarese Csu hanno messo sotto torchio la Cancelliera, percepita come "schwach", debole. La sua reazione non s’è fatta attendere: "Voglio una tassa", ha annunciato, "sulle transazioni finanziarie". A nulla è valso lo scetticismo di Schäuble, che propende per una tassa mirata ai redditi di banche e manager nel settore. A fine giugno, al G20 di Ottawa, Merkel e Schäuble proveranno comunque a lanciare la tassa sulle attività finanziarie, ma l’operazione rischia di trasformarsi in una Caporetto. Il premier canadese Stephen Harper ha già detto che mai e poi mai vesserà le sue banche, uscite illese dallo tsunami finanziario, con simili balzelli. Come le altre norme anti-speculazione della Merkel, anche questa ha il difetto, spiega ancora Rees, "di isolare la Germania e innervosire gli investitori internazionali". Un problema a cui si somma il sospetto che le iniziative contro gli speculatori non siano che un sotterfugio per svalutare l’euro e incrementare l’export tedesco. la stessa interpretazione con cui, giovedì 27 maggio, Timothy Geithner ha messo alle corde Schäuble. Il segretario del Tesoro di Obama è venuto a Berlino per dire che anche Washington al vertice di Ottawa dirà di no alla tassa sulle transazioni.
"L’incontro-scontro Geithner-Schäuble", spiega l’economista Christian Dreger dell’istituto Diw di Berlino, "simboleggia l’alternativa fra la via d’uscita tedesca e quella Usa dalla crisi". Quella di Obama è "un’opzione morbida e neo-keynesiana", dice l’economista, basata su più stimoli alle imprese e al welfare. Da Berlino invece la Merkel impartisce ai tedeschi e alla Ue una più dura lezione sulla crisi: e cioè che l’euro si difende non solo tenendo a freno i vampiri della speculazione, ma puntando su bilanci più solidi. "Per anni", è il refrain, "abbiamo vissuto al di sopra delle nostre possibilità". Ma non sempre la dieta è la soluzione migliore a una crisi di credibilità.
"La Germania agisce per ragioni politiche interne non basate su analisi economiche serie", afferma Paul De Grauwe dell’Università di Lovanio: "A parte la Grecia, il problema in Portogallo, Spagna e Irlanda è stata l’esplosione del debito privato, che è diventato pubblico con i salvataggi delle banche. Non bisogna mettere l’accento solo sul rigore, che rischia di portarci in un circolo vizioso, ma controllare il debito privato ed eliminare gli squilibri della zona euro". Cosa che la Merkel non ha alcuna intenzione di fare, almeno nell’aspetto che implica l’aumento dei consumi interni tedeschi. Una posizione unilaterale, quella tedesca, che indurisce i negoziati per la riforma del Patto. Le sanzioni, finanziarie e non, per chi lo infrange ci saranno, ma difficilmente della dimensione auspicata da Berlino. " più probabile un sistema di incentivi per cui chi ha i conti a posto potrà continuare a sostenere la spesa pubblica, e gli altri no", ragiona Charles Wyplosz, economista dell’Università di Ginevra. Come impossibile sarà una riforma del Trattato di Lisbona per inserire vincoli costituzionali di spesa.
Poi c’è un nervo scoperto su cui Berlino è colpevolmente assente: la riforma del sistema bancario. "Le banche europee non ispirano fiducia. Quelle statunitensi hanno recuperato, le nostre no, e questo limita la crescita: è il fronte dimenticato della crisi. Attenzione: potrebbe esplodere a breve", spiega Veron del Bruegel. "Germania, Spagna e Francia sono visti come i Paesi a rischio; ci vogliono interventi per la trasparenza e la ricapitalizzazione, come negli Usa. Il problema è che non si sa quale sia l’anello più debole perché non c’è trasparenza. Ma molti indicatori", insiste, "lasciano intendere che le perdite siano concentrate in Germania". Chi impartisce la lezione è quindi il cattivo maestro di turno? "A Berlino si fa molto per il deficit pubblico, ma niente per la trasparenza nel sistema bancario. La commistione tra il potere e le banche tedesche, pubbliche e private, rende difficile l’azione in questo settore". questo il dictator buono per l’Europa?