Giovanni Caprara, Corriere della Sera 04/06/2010, 4 giugno 2010
IL MIRAGGIO DI PREVEDERE I TERREMOTI
Il primo campione dalle profondità della faglia di San Andreas in California è stato prelevato nei giorni scorsi con grande sorpresa. «L’analisi dei reperti ha dimostrato che il mondo del sottosuolo legato ai terremoti èmolto più complesso di quanto ci aspettassimo» spiega Massimo Cocco, dirigente di ricerca all’Ingv, l’Istituto nazionale di geofisica e vulcanologia, impegnato nel seguire da vicino l’indagine americana. A Parkfield, una piccola cittadina tra San Francisco e Los Angeles, gli scienziati hanno scavato un buco profondo tre chilometri per raccogliere campioni geologici dai quali trarre qualche indizio sulla possibilità che si scateni il temutissimo e atteso Big One, il grande sisma capace di sconvolgere la costa ovest degli Stati Uniti. Il «Safod Project», così è stato battezzato, è ora alle prime battute e continuerà proprio per tenere sotto controllo l’area della faglia. «Ma i dati raccolti – aggiunge Cocco’ dimostrano quanto sia necessaria ancora tanta ricerca per progredire su questo arduo fronte».
La previsione dei terremoti è il grande obiettivo degli scienziati della terra. «Oggi, grazie agli studi degli ultimi anni riguardanti la natura del suolo, le manifestazioni del passato, le simulazioni e le indagini più ampie delle regioni interessate possiamo dire se esiste un rischio, dove il sisma può manifestarsi e come. Ciò che purtroppo non riusciamo a sapere è quando si scateni».
In altre parole, i geofisici conoscono bene la struttura della crosta terrestre, la sua divisione in grandi e piccole placche. Sanno che il loro scontro e l’inabissamento delle une sotto le altre carica di energia il suolo fino al momento in cui questa si libera facendo tremare pericolosamente la terra. «Adesso esprimiamo delle probabilità sui tempi lunghi circa la risposta dei territori – nota Cocco – ma a tempi brevi o medi siamo impotenti, nessuno al mondo è in grado di dire qualcosa».
Da poco è avviato un progetto internazionale noto come «Csep», dalle iniziali di « Collaboratory Studies for Earthquake Predictability » per cercare di abbattere la barriera della previsione oggi impossibile. Il progetto, al quale partecipa anche il nostro Ingv, è nato con lo scopo di definire un esperimento scientifico per la verifica e il controllo dei diversi modelli teorici di previsione fin qui elaborati. Questi modelli vengono provati nei «laboratori naturali» come li hanno chiamati e che sono la California, l’Italia, la Nuova Zelanda, il Giappone e il Pacifico Occidentale. Qui, in pratica, si effettua un confronto tra i futuri terremoti e gli stessi modelli. Gli studiosi si sono assegnati un tempo di verifica di cinque anni e poi tireranno le somme. Ma anche qui siamo ai primi, timidi passi.
Intanto non si esclude nulla e tutti i segnali che il suolo trasmette sono considerati, anche quelli più estremi. «Da tempo sappiamo – prosegue Massimo Cocco – che le proprietà chimiche delle rocce si alterano nel periodo di accumulo di energia e ciò si accentua in prossimità del sisma provocando l’emanazione del gas Radon. Ma la sua presenza non costituisce una prova certa dell’arrivo del terremoto perché anni di analisi condotte in vari Paesi hanno dimostrato che a volte c’è un legame e in altri casi non è successo nulla. Quindi questo metodo non lo si può validare come uno strumento utile per lanciare l’allarme alla Protezione civile». I ricercatori hanno inoltre rilevato delle variazioni nelle proprietà elettriche del suolo ma anche le emissioni geoelettriche misurate sono alterne nel significato quanto il Radon.
Gli scienziati russi una ventina d’anni fa erano saliti ancora più in alto nel cercare risposte. Sempre nel periodo antecedente un terremoto avevano infatti registrato con alcuni satelliti l’aumento di intensità di alcune particelle atomiche addirittura nella quota di volo oltre l’atmosfera. Per tale ragione si era ipotizzata, pure in Italia attraverso la nostra agenzia spaziale Asi, la costruzione di satelliti specializzati. Ma la debolezza dell’ipotesi ha scoraggiato dovunque l’ investimento necessario.
«Quello che oggi è necessario fare – sottolinea Cocco – riguarda il miglioramento dei sistemi di monitoraggio per poter raccogliere informazioni sempre più dettagliate dei suoli e i loro comportamenti nel tempo. Solo così sarà possibile perfezionare sempre di più i modelli teorici e avvicinarci all’ambito obiettivo. Nel frattempo dovremmo intensificare gli esperimenti in laboratorio, creare dei simulatori per riprodurre i fenomeni che vogliamo indagare. Proprio come fanno i fisici nucleari che attraverso i loro potenti acceleratori di Ginevra ricostruiscono i primi momenti della nascita dell’Universo».
Per il momento, ricorda lo scienziato, l’unica via da seguire è la prevenzione nelle costruzioni e nella gestione del territorio. L’Italia ha una mappa di rischio sismico realizzata negli anni Novanta e perfezionata nel 2004 la quale segnala con precisione i pericoli dei quali le amministrazioni comunali devono tener conto, imponendo regole precise nei modi e nelle tecnologie di fabbricazione.
Intanto, come in California, anche in Italia gli scienziati dell’Ingv nell’ambito di un piano internazionale perforeranno per qualche chilometro il suolo della Penisola nei Campi Flegrei (già nel prossimo autunno) e in Umbria, alla ricerca di tracce preziose nascoste dalla geochimica delle profondità.
Giovanni Caprara