Ettore Livini, Affari & Finanza, 31/5/2010, 31 maggio 2010
Mondiali di calcio ecco la mappa degli affari nel pallone - A dodici giorni dal fischio d’inizio, i Mondiali di calcio hanno già il loro vincitore in pectore: la Fifa
Mondiali di calcio ecco la mappa degli affari nel pallone - A dodici giorni dal fischio d’inizio, i Mondiali di calcio hanno già il loro vincitore in pectore: la Fifa. Partite e spettacolo contano poco. Comunque vada a finire, l’edizione sudafricana sarà, almeno finanziariamente parlando, un successo. La federazione mondiale del pallone ha incassato per l’organizzazione – tra diritti tv, merchandising e sponsor – 3,4 miliardi di dollari, il 47% in più di Germania 2006 e ne spenderà a consuntivo circa 1,5. La conferma, se mai ce ne fosse stato bisogno, dei paradossi di un pianeta football a due facce: quella dorata del business che tira come non mai e quella fragilissima dei conti dei suoi club principali (Inter, Manchester, Real, Bayer e Barcellona compresi) che malgrado il boom mediatico dello sport hanno – causa debiti – conti che fanno acqua da tutte le parti. La macchina da soldi messa in piedi da Joseph Blatter è l’esempio lampante di come il calcio resti, malgrado la crisi, una miniera d’oro. Il pallone ha conquistato da tempo l’Africa e si è fatto spazio in Asia. Gli americani sono i primi acquirenti stranieri di biglietti per le partite in Sud Africa. La prima (e più efficace, sussurrano in molti) sanzione decisa da Seoul contro la Corea del Nord in questi giorni di tensione è stato l’oscuramento tv delle partite in chiaro dei prossimi mondiali sul territorio dei cugini di Pyongyang. Una febbre globale che la Fifa ha cavalcato con lungimiranza imprenditoriale e con straordinario successo economico: Zurigo non a caso ha chiuso il 2009 superando per la prima volta il miliardo di dollari di ricavi con profitti record di 169 miliardi. Nemmeno la crisi è riuscita per ora a sgonfiare il boom del pallone. Certo gli arrivi di turisti stranieri a Joahnnesburg non saranno quelli attesi (le stime sono state ridotte da 450mila a 370mila contro i 2 milioni dei mondiali tedeschi) e le vendite dei biglietti – la Fifa ne ha appena rimessi in circolo 150mila, compreso qualche tagliando per la finale – sono state meno brillanti delle previsioni. Il business del calcio però si fa altrove. Con diritti tv e sponsor. Due voci che continuano ad andare a mille. I grandi network hanno versato nelle casse della Fifa 2,5 miliardi di dollari per i diritti di Sud Africa 2010, più del doppio dell’edizione precedente. E mentre la pubblicità arranca in tutto il globo, Blatter & C. hanno dovuto scegliere nella lunga lista di candidati al ruolo di sponsor ufficiali (biglietto d’ingresso 125 milioni di dollari) della manifestazione. Numeri che non mentono. Il calcio ormai è davvero un’impresa. «Abbiamo appena fatto uno studio sul pallone in Germania analizzando tutto l’indotto con risultati sorprendenti – conferma Alberto Marchi, director di McKinsey & Company – Il pallone tedesco ha un giro d’affari complessivo vicino ai 5 miliardi, lo 0,2% del Pil nazionale e dà lavoro a 70mila persone garantendo alle casse dello Stato 1,5 miliardi di entrate fiscali l’anno». Le squadre in campo a Johannesburg e dintorni si spartiranno un montepremi da 240 milioni di dollari, + 60% rispetto alla Germania, di cui trenta al vincitore. Una sola partita come la finale di Champions League BayernInter vale 351 milioni di euro di giro d’affari, più dei ricavi annuali di centinaia delle società quotate a Piazza Affari, di cui 120 milioni sono i maggiori incassi solo per l’Inter. Il pianeta football in Europa, con tutte le sue magagne, vale 15 miliardi di entrate l’anno. La schizofrenia è proprio qui. I soldi ci sono e continuano a crescere. Ma, Fifa a parte, buona parte del calcio del Vecchio Continente annaspa sotto il peso dei debiti. Il Manchester – dopo la scalata a stelle e strisce – ne ha 820 milioni, il Real dopo le campagne acquisti tanto stellari quanto inefficaci di Florentino Perez viaggia a quota 800, il Barcellona a 500. L’Italia con Inter (431 milioni) e Milan (365) si difende bene. I buchi degli oneri finanziari sono stati tappati finora o dal boom delle entrate tv – il valore dei contratti della serie A con l’ultimo rinnovo sono saliti da 600 milioni a un miliardo – o dalla generosità dei presidentiPaperoni: Roman Abramovich ha coperto con il suo patrimonio i 600 milioni di voragine nei conti del Chelsea. Silvio Berlusconi e Massimo Moratti hanno firmato assegni per 500 milioni s testa per mantenere Milan e Inter, con alterne fortune, al vertice del calcio europeo. Le squadre in acque finanziarie peggiori, è il caso oggi di nomi blasonati come Liverpool e Arsenal, si aggrappano come salvagenti a capitali esotici in arrivo da Uzbekistan, Russia, Emirati e oggi persino dall’Africa per concedersi un altro giro di giostra. Risultato: «Il modello del calcio inglese non funziona più, la Liga spagnola si è polarizzata su due grandi club con dietro il vuoto, la Francia non va bene», dice Marchi. E l’Italia è addirittura in zona recessione: i debiti complessivi sono a quota 1,8 miliardi, negli ultimi dieci anni il sistema ha macinato due miliardi di perdite. Anche per colpa di una cronica immaturità imprenditoriale del nostro mondo calcistico. «Per assurdo questo è proprio il momento in cui abbiamo una finestra d’opportunità per rilanciarci – continua il director McKinsey ”. Ma bisogna trovare il modo giusto per chiudere il gap che si è aperto in Europa dal 2005 ad oggi, con i nostri big che hanno perso terreno sportivamente ed economicamente nei confronti dei team inglesi e spagnoli». La ricetta – che a dire il vero si sente ripetere uguale da anni senza grandi risultati pratici – è sempre la stessa. Primo capitolo: gli stadi di proprietà, la voce d’entrata che più è cresciuta nel resto del continente. «Va allargata la base di clientela – spiega Marchi’ anche a costo di costruire impianti più piccoli». La ragione è semplice: «Il coefficiente di riempimento degli spalti tricolori è del 40% – continua – Lo Stanford Bridge del Chelsea ha solo 45mila posti ma è sempre pieno e ogni spettatore spende in media allo stadio tra biglietto e altri servizi, dal bar al pranzo, 90 sterline (100 euro) contro i 2030 euro dei top team italiani». Altra miniera da sfruttare è quella dei biglietti "aziendali". «Tutti i posti migliori delle partite Nba sono prenotati e pagati bene da clientela corporate». Non solo: «Un’altra leva da utilizzare per aumentare le entrate è quella della vendita dei diritti del nostro calcio all’estero – dice Marchi – Oggi su questo fronte molto promettente incassiamo un quinto di quanto riescono a fare in Gran Bretagna e in Spagna che fanno più sistema rispetto a noi». Ultimo punto il lavoro sul merchandising «sul quale possono contare molto anche le società mediopiccole». Il vero nodo però resta quello delle uscite. Dove una voce domina su tutte: quella degli stipendi. L’Inter per pagare i suoi giocatori paga 86 centesimi per ogni euro che incassa. La media dell’incidenza sui ricavi per la serie A è salita dal 63 a 67% e il resto del continente, magra consolazione, non sta molto meglio di noi. «Il calcio non è differente da un’impresa normale anche su questo fronte – conclude Marchi ”. I compensi sono inelastici, andrebbero legati molto di più ai risultati». La fortuna del pianeta del pallone è che – malgrado tutto – il mercato va a gonfie vele e ha permesso sinora malgrado la recessione di mascherare le magagne finanziarie. L’appeal è altissimo. La Fifa ha avviato 2.500 cause contro aziende che cercavano in modo più o meno velato di farsi pubblicità sfruttando Sud Africa 2010. Ultima in ordine di tempo l’aerolinea sudafricana Kulula, bacchettata in tribunale per uno spot che diceva «La compagnia non ufficiale di "voi sapete cosa"». Il gioco insomma è diventato qualcosa di molto più serio. Ultima testimonianza, una ponderosa elaborazione della banca olandese Ing sulle correlazioni tra economia e Mondiali. A stupire non è tanto il mezzo punto di Pil che la manifestazione regalerà a Johannesburg ma il masochismo finanziario degli aspiranti vincitori: ogni brasiliano – secondo il sondaggio della Ing – è pronto a pagare 800 euro (due mesi di stipendio medio) pur di portare a casa la Coppa. I portoghesi 367. Il 32% degli argentini sogna per il proprio figlio un avvenire da calciatore alla Diego Milito. Il calcio è un sogno. Ma i sogni, a saperli sfruttare, sono spesso d’oro.