4 giugno 2010
SCHEDONE SULL’UCCISIONE DI MONSIGNOR PADOVESE IN TURCHIA
Monsignor Luigi Padovese, vicario apostolico dell’Anatolia e presidente della Conferenza episcopale turca, è stato ucciso a coltellate giovedì 3/6 a Iskenderun, l’antica Alessandretta, nell’estremo sud della Turchia. A ucciderlo sarebbe stato il suo autista, che lavorava per lui da quattro anni e mezzo. Si chiama Murat Altun, 26 anni, nessun problema fino a qualche tempo fa, quando ha cominciato a soffrire di turbe psichiche e di depressione.
In un primo momento è stato escluso ogni movente politico. «Sembra che si sia trattato di una questione personale, non politica», ha subito dichiarato il governatore della Provincia di Hatay, Celalettin Lekesiz. Lunedì 7/6 l’agenzia Asianews ha dato un’altra versione dei fatti: «Testimoni affermano di aver sentito il vescovo gridare aiuto. Ma ancora più importante, è che essi hanno sentito le urla di Murat». Murat avrebbe urlato: «Ho ammazzato il grande satana. Allah Akbar».
La ricostruzione degli inquirenti: monsignor Padovese verso le 11.30 lascia il vicariato per recarsi nella casa al mare, al numero 17 di Sultankoy site, distante solo pochi minuti a piedi. Secondo suor Eleonora de Stefano, per 22 anni sua segretaria particolare, nell’ultimo periodo il vescovo si sentiva molto stanco e voleva riposarsi qualche giorno. Poco dopo il vicario è raggiunto dal Murat, accompagnato in motorino dal fratello. I due devono parlare del prossimo viaggio a Cipro, dove il vicario sarebbe dovuto andare per la visita del Papa. Suor Eleonora: «Alle 13 l’ho sentito l’ultima volta, mi ha detto di annullare sia il biglietto di Murat che il suo, visto che non si sentiva tanto bene». A questo punto il Murat avrebbe colpito il prelato in giardino con otto pugnalate, in particolare un colpo al collo gli avrebbe quasi staccato la testa, secondo quanto raccontato dal missionario Roberto Ferrari al Resto del Carlino. Monsignor Padovese è spirato durante il trasporto in ospedale. Il ragazzo invece è stato trovato ancora sul luogo in possesso del coltello e arrestato. Interrogato a lungo, avrebbe confessato l’omicidio: «Ho avuto una rivelazione e l’ho ucciso». Tra i fedeli dellla comunità cattolica locale è forte però la convinzione che Murat non abbia agito da solo.
La ricostruzione di Asia News: il vescovo è stato accoltellato in casa ed è uscito per chiedere aiuto, fermato sulla soglia dal suo assassino che gli ha tagliato la testa. «Il grido – sottolinea AsiaNews – coincide perfettamente con l’idea della decapitazione, facendo intuire che essa è come un sacrificio rituale contro il male. Ciò mette in relazione l’assassinio con i gruppi ultranazionalisti e apparentemente fondamentalisti islamici che vogliono eliminare i cristiani dalla Turchia». Murat Altun deve aver percepito che il tentativo di farsi passare per matto non stava funzionando e da ultimo ha sostenuto che Padovese era un omosessuale, di cui lui, Murat, sarebbe stato una vittima. Ma è una versione a cui si presta, per il momento, molto poco credito.
Bernardo Cervellera, direttore di Asianews: «Più che altro penso che la pista religiosa sia una facciata. Potrebbe nascondere ”poteri occulti”, un po’ come avvenuto in Italia negli anni del terrorismo. I poteri a cui penso in Turchia stanno cercando di soffocare il premier Erdogan che sta perseguendo, attraverso il suo islamismo moderato, una linea che lo porti dentro l’Unione europea».
Sulle voci di un rapporto omosessuale tra monsignor Padovese e Murat l’arcivescovo di Smirne Ruggero Franceschini ha detto: «L’autopsia ha confermato che non c’è stato alcun rapporto sessuale né giovedì né in precedenza e la polizia comincia ad ammettere che il vescovo è stato ammazzato da almeno due persone».
«Uno spettacolo sconvolgente anche per me che sono stato cappellano in ospedale. La testa è quasi staccata dal collo, il corpo è lacerato da sette coltellate. Padre Padovese si è difeso, la polizia ipotizza che qualcuno lo tenesse bloccato mentre qualcun altro lo colpiva»(monsignor Ruggero Franceschini, arcivescovo di Smirne, dopo aver visto il corpo del vescovo a Adana, dove è stata eseguita l’autopsia).
Secondo Don Orione, cappuccino di Smirne, «il taglio alla gola è rituale. stato un sacrificio».
Monsignor Luigi Padovese era nato a Milano il 31 marzo 1947, da sei anni era vicario apostolico dell’Anatolia. Sacerdote dal 1973 tra i frati cappuccini, era arrivato in Turchia dopo essere stato titolare della cattedra di Patristica alla Pontificia Università dell’Antonianum e, per 16 anni, direttore dell’Istituto di spiritualità nello stesso ateneo. Per dieci è stato anche visitatore del Collegio Orientale di Roma per la Congregazione delle Chiese orientali e consulente della Congregazione per le Cause dei Santi. stato Wojtyla, l’11 ottobre 2004, a volerlo come vicario apostolico dell’Anatolia. Aveva rinunciato da oltre un anno alla scorta che gli era stata assegnata dopo la morte di don Santoro nel 2006.
Alto, rossiccio, «tranquillo e adorabile» secondo chi lo conosceva, Murat Altun negli ultimi mesi era cambiato, musulmano (anche se qualcuno ha detto che si era da poco convertito), soffriva di manie di persecuzione, era arrivato a dubitare di tutti e si era convinto che alcune suore volessero avvelenarlo. Monsignor Ruggero Franceschini, predecessore di Padovese, conosceva bene il Murat: «Non era un pazzo, ha lavorato per me per 11 anni ed era una persona tranquilla e serena che non aveva bisogno di alcun aiuto psicologico».
Sempre secondo Asianews Murat avrebbe tentato di farsi passare per pazzo o depresso prima dell’assassinio: «Ormai è certo che il giovane sia sano di mente. Non c’è alcun certificato medico che attesti la sua invalidità mentale. Negli ultimi tempi diceva di essere depresso, ma si pensa che questa fosse tutta una strategia per potersi difendere in seguito».
Lo stesso monsignor Franceschini però non è convinto che dietro la morte di Padovese ci sia solamente il gesto di un pazzo: «Si può pensare che qualcuno si sia servito di lui, da solo non può averlo fatto. Faccio fatica a credere a quello che dice la polizia. Quello dell’instabilità mentale dell’omicida è un luogo comune che era gia stato utilizzato per l’assassinio di don Santoro. L’aggressione di uno squilibrato è il modo più facile per chiudere il caso».
L’uccisione di monsignor Padovese ricorda infatti quello di don Andrea Santoro, ucciso il 5 febbraio 2006 a Trebisonda, sul Mar Nero, con due colpi di pistola esplosi mentre pregava nella chiesa di Santa Maria. A sparare era stato un sedicenne, probabilmente emissario di un gruppo integralista islamico.
Il 16 settembre 2007 poi padre Adriano Franchini fu pugnalato all’intestino nella sua chiesa di Izmir (Smirne) da un giovane definito «pazzo» dalla polizia locale. Lo stesso giorno, commentando l’accaduto, monsignor Padovese aveva detto: «Nonostante la popolazione turca sia generalmente buona, eventi del genere testimoniano che c’è un ramo malato nel grande albero della popolazione locale».
In Turchia vivono circa 30mila cristiani, lo 0,6% dei 70 milioni di abitanti. Alcuni degli agguati degli ultimi anni ad esponenti della comunità cattolica sono stati rivendicati dalle «Brigate della vendetta turca», che hanno dato vita a una sottorganizzazione, gli «Atebeyler». Guido Olimpo sul Corriere del 2007: «La particolarità del gruppo è l’uso di giovani attentatori, reclutati nelle sterminate periferie di Istanbul e Ankara. Una volta arruolati, sono condotti in appartamenti e indottrinati. I ragazzi subiscono un vero lavaggio del cervello».
«I turchi considerano i cattolici un pericolo perché li vedono come nemici dell’Islam e insieme dell’impero che fu. Da quelle parti vive ancora il ricordo della Sublime Porta. Se esaminiamo la questione in chiave geopolitica, la Turchia è uno dei punti di maggiore scontro tra cristianesimo e Islam» (il giudice Rosario Priore che ha seguito le vicende di Alì Agca, l’attentatore di Giovanni Paolo II, e dei Lupi Grigi).
Intanto è iniziato venerdì 4/6 il viaggio a Cipro di Benedetto XVI, che ha ricordato la morte di monsignor Padovese: «Quanto accaduto non può essere attribuito alla Turchia e ai turchi e non deve oscurare in alcun modo il dialogo con l’Islam».
Nel 2009, secondo l’agenzia Fides della Congregazione vaticana per l’Evangelizzazione dei popoli, sono stati uccisi 37 missionari, e cioè 30 sacerdoti, 2 religiose, 2 seminaristi, 3 volontari laici. Nel 2008 erano stati la metà. C’è dunque un trend ascendente del fenomeno, sia in Asia che in Africa. René Guitton ha fatto questa amara considerazione: «Il sempre più scristianizzato Occidente fa fatica a concepire che i cristiani possano essere perseguitati in quanto cristiani, perché essere tali, secondo uno slogan semplicistico che si sente ripetere spesso, significa stare al potere. Gli stessi cristiani faticano ad associare al cristianesimo il concetto di minoranza». L’arcivescovo Celestino Migliore, osservatore permanente della Santa Sede all’Onu, ha detto che i cristiani discriminati nel mondo sono 200 milioni: «A volte si ha l’impressione che con i cristiani si possa dire e fare tutto, quasi impunemente. E invece questa larga macchia esiste, nel mondo: persecuzione in alcuni casi, in altri discriminazione, in altri ancora condizioni tali da costringere i fedeli alla fuga o situazioni più velate, l’impossibilità di essere riconosciuti come pieni cittadini...».
I vescovi uccisi negli ultimi quindici anni sono dieci: la metà in Africa, due in America Latina, due in Medio Oriente e uno in Asia.
Da Avvenire del 04/06: «E proprio africano, è il primo nome della lista. Si tratta del vescovo di Oran, nell’Algeria occidentale, monsignor Pierre Lucien Claverie, domenicano, 58 anni: muore nell’esplosione di una bomba collocata nel vescovado il 1 agosto 1996. Poche ore prima aveva ricordato il martirio dei sette monaci trappisti assassinati il 23 maggio da un gruppo di integralisti. Il 1996 è un anno nei quale altri due vescovi vengono assassinati. Il 9 settembre, in un’imboscata tesagli mentre viaggiava in auto, viene ucciso l’arcivescovo di Giteba, in Burundi, monsignor Joachim Ruhuna, 63 anni. Era reduce dalla visita pastorale al seminario di Busasira. Il 29 ottobre viene ucciso in un agguato l’arcivescovo di Bukavu (nello Zaire) Christophe Munzihirwa Mwene Ngabo, 70 anni.
L’anno dopo un gruppo islamico ucciso a colpi di pistola il vescovo cattolico filippino Benjamin De Jesus , 56 anni, missionario degli Oblati di Maria Immacolata (Omi). il 4 febbraio 1997 e stava per recarsi a celebrare la santa Messa nella sua chiesa a Jolo, un’isola delle Filippine meridionali abitata in prevalenza da islamici. Nel 1998 a cadere sotto i colpi degli assassini è il vescovo ausiliare di Città del Guatemala, monsignor Juan Gerardi Conedera, 76 anni. Nella notte tra il 26 e il 27 aprile viene ucciso nella casa parrocchiale di San Sebastian nel pieno centro storico della capitale guatemalteca.
Era considerato il vescovo dei poveri e degli indigenti. Sempre in America Latina nel 2002 verrà ucciso un altro pastore della chiesa: l’arcivescovo di Calì, in Colombia, monsignor Isaias Duarte Cancino, 63 anni. Era il 16 marzo e viene ucciso mentre sta per recarsi a una cerimonia religiosa. Sempre in un agguato mentre viaggia in auto, viene ucciso il nunzio apostolico in Burundi, monsignor Michael Courtney , irlandese di 58 anni. Era il 29 dicembre 2004. L’anno dopo, il 14 luglio 2005, a morire sotto i colpi dei killer è monsignor Luigi Locati, italiano, 77 anni e vicario apostolico di Isolo, in Kenya.
L’ultimo nome di questa lista, fino a ieri, era quello di monsignor Paulos Faraj Rahho , arcivescovo caldeo di Mossul in Iraq, 66 anni. Rapito il 29 febbraio 2008, mentre usciva dalla Chiesa Santo Spirito di Mossul, da un commando di uomini armati, che uccide il suo autista. Sarà ritrovato morto il 12 marzo successivo. Ieri si è aggiunto il nome di monsignor Luigi Padovese, vicario apostolico dell’Anatolia in Turchia».