Richard Poplak, Libero 3/6/2010, 3 giugno 2010
«Che diavolo è questa cavolata?» disse bin Mahrabi. «Non c’è davvero fine all’idiozia umana?»
«Che diavolo è questa cavolata?» disse bin Mahrabi. «Non c’è davvero fine all’idiozia umana?». Naturalmente non era la prima volta che venivano poste domande del genere nella storia dell’intrattenimento televisivo, ma era la prima volta che se le poneva Abdullah bin Mahrabi. Di solito, Bin Mahrabi non è il tipo d’uomo che dà presto in escandescenze. Trentadue anni, panciuto, atteggiamento gentile e mani ancor più gentili; con quella sua tunica bianca sembra l’omino Michelin dopo una lampada. Ciononostante, difficile che fosse di splendido umore dopo il primo digiuno del Ramadan. Tutto ciò che voleva era sedersi per un’oretta e guardarsi qualcosa di divertente alla tv. Desiderio che condivideva con la ragguardevole cifra di ventidue milioni di compatrioti sauditi, molti dei quali avevano ugualmente scelto il canale più importante della regione la Middle East Broadcasting Corporation, alias Mbc con l’idea di guardare il programma che una martellante campagna promozionale aveva definito come assolutamente imperdibile. Nella più stupida, arcigna, spersonalizzante e noiosa teocrazia del pianeta, se uno ti promette quattro risate sarà meglio che mantenga la promessa. Non fanno ridere Il programma era la storia di questa famiglia di tizi arancioni («Gialli, papà, gialli» lo corresse il figlio minore, ricordandogli del suo daltonismo) chiamata Al Shamshoon. L’eroe e bin Mahrabi usava la definizione con spregio era un padre di famiglia chiamato Omar, che lavorava in una centrale nucleare della provincia americana. Anche se gli capitava di strozzare Badr, il figlio scavezzacollo, in fondo era un padre e un marito fedele; ogni volta che faceva qualcosa di stupido e le volte erano molte se ne usciva con un «d’oh!» che era diventato una specie di tormentone internazionale. (...) Per calmarsi, bin Mahrabi si tolse i sandali e poggiò le piante dei piedi sul fresco pavimento in ceramica. «Ahmed» disse al piccolo «cambia quel dannato canale». In tutta l’Arabia Saudita e oltre, un numero imprecisato di spettatori stava facendo lo stesso. (...) Secondo un mucchio di entusiastici notiziari occidentali, Al Shamshoon avrebbe debuttato nel primo giorno di Ramadan del 2005 per la gioia di centotrenta milioni di potenziali spettatori di lingua araba. I fan americani dei Simpson erano galvanizzati. «Questo significa qualcosa di assolutamente incredibile» scrisse un lettore al «National Review» dopo che la Abc e altri grandi network ebbero passato la notizia. «Significa cha abbiamo vinto la guerra di civiltà. finita, e l’Occidente ha vinto. Fra dieci anni ricorderemo questo momento come un punto di svolta nella cultura araba». (...) D’oh, con i Simpson arabi non ci si sbellica titolava il «Wall Street Journal». E di fatto il consenso generale non superò un grasso e tondo «mah». Secondo il notiziario della Abc, la Mbc aveva apportato alcune modifiche sostanziali allo show, togliendo qualsiasi cosa potesse far alterare un fondamentalista islamico dal nervo facile: niente birra, niente prosciutto, niente rabbino Krustofski. Homer Simpson senza birra Duff è come Pamela Anderson con una seconda, cioè una figura pop privata del suo marchio di fabbrica. «Bevo, ergo sono!» è l’homerico grido di battaglia. Mettendola in termini esistenziali, cosa diventa Homer quando non si comporta più da Homer? Al Jean, produttore esecutivo dei Simpson, è chiaro: «Non è Homer». Secondo le opinioni sui blog, la Mbc aveva ridotto Al Shamshoon alla mera situazione uomo-grasso-fa-cose-stupide. «Li hanno rovinati! Li hanno rovinati, sob...Perché? Perché, perché, perché...Oh, perché!?» scriveva il blogger Noors dal sultanato di Oman. Ma Noors era parte di un gruppo sociale coerente, identificabile? Poteva essere inserito in quella che ho chiamato ”generazione Al Shamshoon”, fatta di musulmani giovani e sensati come la mia guida libica Eder, amanti della cultura pop occidentale, trascinati dalla propria corrente e al contempo sottoposti alla propria realtà geografica, geopolitica e culturale? Che cosa significavano i Simpson per Noors, mi chiedevo? Era divertente guardare gli ”adoratori del demonio” comportarsi da goffe macchiette, impegnati a inciampare nelle spire della propria tirchieria e stupidità? O magari la serie derideva proprio la cultura di Noors? (...) All’emittente Scivolando nella sua sontuosa poltrona, con gli occhi rivolti ai messaggi che il suo cellulare gli notificava in continuazione, Mr Baddish (dirigente della Mbc, ndr) disse: «Direi che Al Shamshoon non è stato un grande successo. Altrimenti, avremmo senza dubbio continuato con un’altra stagione. Direi che è stato accolto bene, ma non oltre la media. Così abbiamo rivisto i nostri piani». « stato accolto bene?» chiesi, inserendo una nota di leggera incredulità nella voce. «Perché, che commenti ha sentito?» mi chiese lui di rimando, simulando nonchalance. «In tutta franchezza, molti commenti lasciavano intendere che lo show non funzionava. Specialmente le chiacchiere su internet». Mr Baddih sorrise. «Ah, già...Le chiacchiere su internet». Strizzò la sua pallina. «Immaginavo che si aspettasse responsi diversi...». Gli occhi profondi di Mr Baddih si abbassarono. « un grande marchio internazionale. C’erano molte stagioni. Poteva essere un prodotto molto facile per noi. Lo prendiamo per il nostro pubblico, lo mandiamo in onda anno dopo anno...voilà. Deve capire che il nostro non è stato semplicemente un doppiaggio, noi abbiamo arabizzato l’idea di base. L’abbiamo moderato sul piano culturale. Magari potrei dirle che lo abbiamo...addolcito? Tutte le azioni dei personaggi sono state portate su un piano che noi consideriamo accettabile». Mr Baddih guardò in su; una giovane filippina ci portò un vassoio con il caffè. Ce lo versanno in silenzio, interrotti solo dal rumore dei cucchiaini contro la porcellana. «Che ne è stato dell’ebreo Krusty il clown?» chiesi. «E del buon reverendo Lovejoy?». Alcuni direttori televisivi mi avevano riferito che i responsabili arabi delle programmazioni farebbero di tutto pur di eliminare qualsiasi personaggio cristiano – e a maggior ragione ebreo dagli show trasmessi in america. Secondo loro è un dato di fatto anzi, un dato di fede che gli ebrei siano così odiati dai sauditi da considerarli offensivi persino in un cartone animato. Di colpo Mr Baddih trovava le matite sul tavolo estremamente interessanti. «Queste cose...» disse con voce smorzata «sono cose complicate». Che cosa non va «E i personaggi principali femminili?» incalzai. «Vi era stato chiesto di moderare anche Lisa?». Mr Baddih s’irrigidì. «No, no, no...Perché? Quella roba l’abbiamo tenuta. Vuole sapere chi porta i pantaloni in questa società? Le donne». Mi versai dell’altro caffè. (...) «Dato che la serie non è andata bene come credevate, il problema non sarà proprio l’arabizzazione?» chiesi ancora. « chiaramente quello che ha infastidito alcuni dei fan di qui. E se lo aveste lasciato così? Solo ridoppiato, nient’altro». «No, non penso che sia questa la causa. Le masse che non parlano inglese non sanno com’è il programma in america. Ma a livello culturale non combaciava molto. Forse il senso dell’umorismo è un po’ troppo nordamericano. La comicità è una faccenda culturale. Una cosa è la serie drammatica; ma con quella brillante, o è bianco o è nero. Alla fine della fiera o ridi o pensi: ”No, non mi sembra divertente”». «Quindi considera la saga di Al Shamshoon un errore?». «No, no: in televisione si provano un sacco di cose, si va per tentativi. una cosa che prendo come parte del mio lavoro. Un errore è quando te ne esci con una cosa che offende davvero le persone. Ma quello non è stato un errore: quando sperimenti, impari dalle esperienze». Ma impari cosa? come arabizzare meglio la televisione americana? La natura del problema cominciava a prendere forma. L’elefante nella cristalleria di Mr Baddih Fattouh, per quanto poteva capire, era il suo pubblico di riferimento, ventidue milioni di sauditi conservatori.