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 2010  giugno 03 Giovedì calendario

LE MOSSE DEL CAV PER AVERE PI POTERI

Primo atto: arrivare a una soluzione definitiva con Gianfranco Fini. Secondo atto: gestire in prima persona l’impianto della manovra finanziaria aprendo anche a modifiche sostanziali che ovviamente non ne cambino i saldi complessivi. Terzo atto: presentare una riforma dei poteri dello Stato (semipresidenziale alla francese, o con una super presidenza del consiglio) che diventi da subito la bandiera dell’esecutivo. Silvio Berlusconi ha deciso di cambiare musica, e le prime note si sono avvertite con chiarezza ieri durante un vertice pomeridiano del PdL a palazzo Grazioli. Non fosse bastato quel che già aveva in animo di spiegare ai suoi, durante la riunione qualcuno ha portato un lancio di agenzia con l’ultima uscita del finiano di turno. Era Carmelo Briguglio, vicepresidente dei deputati PdL (stesso incarico un tempo ricoperto da Italo Bocchino) che forniva alla stampa la sintesi di un articolo in via di pubblicazione sul sito Internet di Generazione Italia: «Il governo Berlusconi», sentenziava il finiano, «sembra già vecchio, come una fotografia ingiallita. E il PdL sembra un pezzo di antiquariato». Soluzione? Lapalissiana: «un nuovo governo e un nuovo partito».
Ecco, se già il Cavaliere era pronto a dare fuoco alle polveri, quei dispacci di agenzia l’incendio lo avevano già fatto divampare. Quindi per sintetizzare la nuova linea d’ora in avanti basta inseguire Fini e i suoi per cercare di capire, trattare e ricomporre. Ogni decisione controversa dovrà essere portata ai voti negli organi istituzionali del PdL, a iniziare dal prossimo ufficio di presidenza. C’è una proposta? Si alzano le mani. Bocciata a maggioranza larga o semplice? Non importa, la proposta non esiste più, e tutto il partito si adegua alle scelte della maggioranza. Se poi nelle aule parlamentari qualcuno vorrà deviare da questa regola, sarà messo automaticamente al di fuori del partito. Berlusconi lo spiegò minaccioso a Fini il celebre giorno dello scontro pubblico fra i due. Poi ha messo il piede sul freno e nulla è accaduto. Da ieri non si frenerà più, e da quel che ha spiegato il presidente del Consiglio ai suoi dovrà chiarirsi ed eventualmente risolversi una volta per tutti il rapporto fra la stragrande maggioranza del PdL e il gruppetto dei finiani.
Certo, si correrà qualche rischio. appena stata approvata la manovra finanziaria, la situazione internazionale è delicata, la speculazione mondiale non ha chinato la testa e tutti i mercati restano ancora molto fragili ed esposti. Proprio per questo con uno sguardo alla situazione esterna e uno a quella politica interna Berlusconi ha deciso di prendere nelle sue mani le redini della manovra. Come si dice, ci metterà lui la faccia: tanto per iniziare sarà il premier a spiegarne l’impianto e a comunicare anche la possibilità di rilevanti modifiche a parità di saldi in Parlamento. A dare retta ai suoi più stretti collaboratori, l’operazione avrà un doppio vantaggio: ridare un’impronta politica a un testo che oggi o non ne ha, o non ha comunque visibile un marchio liberale e di centro-destra; e mettendo la propria faccia, togliere quella di Giulio Tremonti, troppo esposta in queste settimane. Il Cavaliere ha avuto la sensazione che Tremonti abbia vestito fin troppo i panni del salvatore della Patria baloccandosi con troppi ambienti più o meno palesemente ostili al premier (dal gruppo Repubblica a una buona parte degli azionisti del Corriere), offrendo benzina a chi puntava a una successione a palazzo Chigi, magari attraverso un governo più tecnico guidato dal ministro dell’Economia.
La finanziaria sotto la regia di Berlusconi non sarà inemendabile e anzi dovrà essere arricchita in parti fondamentali di norme più efficaci per aiutare lo sviluppo (lette meglio anche quella su zero Irap al sud per le nuove imprese dipenderà solo dalle compensazioni di bilancio di quelle Regioni e rischia di restare lettera morta). Il primo rischio è Fini, il secondo rischio verrà dalla gestione di Tremonti. Facendo la somma il premier ha messo in conto anche il terzo rischio: quello della caduta del governo e di nuove elezioni. Anche per questo il terzo punto del suo piano è destinato all’emersione in tempi ravvicinatissimi: la grande riforma dei poteri dello Stato e di chi è scelto dai cittadini per governarlo. Berlusconi aveva già indicato una sua opzione subito dopo le regionali: il modello semi-presidenziale francese a turno unico. Ma non è il modello quello che conta. Il tema vero è quello di rafforzare sensibilmente i poteri di chi guida realmente l’esecutivo, stia a palazzo Chigi o al Quirinale. diventato un chiodo fisso nella testa di Berlusconi. In modo non felicissimo l’ha spiegato ai partner internazionali durante il vertice Ocse di Parigi, riesumando Benito Mussolini. Cose simili ha spiegato in ogni occasione agli imprenditori incontrati, l’ultima volta solo pochi giorni fa per una cena a villa Gernetto. In Italia conta poco chi guida l’esecutivo, perché i poteri veri sono nelle mani dei gerarchi. Oltretutto qualche gerarca usando quei poteri amplia quelli personali, talvolta in modo non trasparente e perfino illegittimo.
Come sostiene uno dei più fidati amici del Cavaliere «lui ora era fermo come un cane da caccia durante la punta, ma sta per scattare. E su quella preda vuole fare la sua prossima campagna». Riformare i poteri: se sarà possibile in questo parlamento dopo avere passato indenne finanziaria e ostacolo-Fini. Se non sarà possibile, rivolgendosi direttamente agli italiani e chiedendo il loro voto proprio su quello: scegliete fra un capo della azienda Italia che la faccia funzionare per il bene di tutti e un manipolo di gerarchi pronti a mettere i bastoni fra le ruote e fare ingrippare il motore, perché tutto resti sempre come è.