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 2010  giugno 03 Giovedì calendario

PROVINCIA/2

L’identità e la sua culla –


Un compromesso fra localismo e universalismo, fra lamento e rivendicazione, fra mugugno e poetica, fra vivibilità e noia. la provincia, la grande metafora dell´antropologia italiana. Zoccolo duro di un´identità controversa e sfuggente, fatta di popolo più che di cittadinanza, di comunità più che di società.

Provincia per forza e per amore, per geografia e per storia. Provincia di fatto, ma in fondo anche di diritto. Tanto che il codice giustinianeo definisce l´Italia domina provinciarum, signora delle province, la celebre "donna di province" dantesca. Segnandone in un certo senso il destino di provincia all´ennesima potenza, orfana di quella Roma che un tempo fu la sola urbe ed orbe dello stivale e del mondo, e che ha polverizzato la sua eredità storica in una miriade di piccole patrie. Nessuna città ne ha preso il posto, nemmeno la capitale di oggi. Che non è mai riuscita a diventare il modello nazionale unico e irraggiungibile, a omologare la nazione a sua immagine e somiglianza.

 per questo che il provincialismo è l´anima del carattere nazionale, l´unico tratto comune in una trama di differenze locali, territoriali, comunitarie, paesane che nel bene e nel male, fanno l´Italia.

Paese di piccole province ma di grandi provinciali. La maggior parte dei protagonisti della nostra storia sociale, politica e culturale sono nati lontano dai grandi centri. E spesso hanno fatto proprio della loro lontananza una leva per sollevare il mondo. Come Giacomo Leopardi, che trasforma la celebre siepe del suo natío borgo selvaggio, simbolo stesso della chiusura e della limitatezza, in una vertiginosa finestra sull´infinito, facendo della remota Recanati una regione dell´anima. E in tempi più vicini Leonardo Sciascia, che ha fatto della sua Sicilia una metafora della condizione umana e che appartiene al mondo proprio perché profondamente figlio della piccola Racalmuto. Belvederi paesani con un cannocchiale puntato sull´umanità.

 quel che mostra la storia italiana di ieri e di oggi, da Gramsci a De Gasperi, nato ad Ales l´uno e a Pieve Tesino l´altro. E, mutatis mutandis, da Bossi a Di Pietro. Spesso e volentieri lo sguardo paesano riesce a far quadrare il cerchio tra locale e globale. Ad immaginare in grande proprio a causa del suo radicamento in una realtà ad alta definizione perché piccola, locale, particolaristica. Fatta di differenze forti che convivono a contatto di gomito, di antiche nazioni diventate regioni che continuano a declinare al presente la loro biodiversità storica. Che le rende uniche, tipiche. Doc come i loro dialetti e i loro cibi. Identità profondamente sentite, talvolta risentite.
In fondo la provincia non è solo una realtà amministrativa, non è una semplice unità politico-territoriale ma è una intonazione dell´essere. E in questo senso non è mai inutile, residuale: non è provincia dell´uomo per dirla con Canetti.

Anche per questo in Italia ad essere provinciale non è necessariamente la provincia. Che al contrario, come mostrano il cinema e il teatro, è la grande riserva dei caratteri e dei tipi nazionali. Il catalogo di un interminabile Amarcord che, proprio come i personaggi del grande provinciale Fellini, custodisce i mille frammenti dell´immagine complessiva della nazione.

Forse non è un caso che la famosa casalinga di Voghera, nata negli anni Sessanta dalla penna di Alberto Arbasino come paradigma del buon senso della provincia lombarda, sia diventata un ologramma della concretezza affidabile e senza grilli per la testa dell´Italia profonda. Dove per essere uomini di mondo bastava aver fatto il militare a Cuneo. gli uomini si scannano e inganno e derubano, nel "corso della storia" come si dice.